Francesco Barilli (1943) è un autore interessante che purtroppo ha prodotto poche pellicole. Comincia come attore e sceneggiatore, infine debutta alla regia con il cortometraggio Nardino sul Po (1968) e subito dopo con il thriller orrorifico Il profumo della signora in nero (1974), seguito dall’altrettanto notevole Pensione paura (1977). Scrive soggetti per il cinema e tra questi ricordiamo La gabbia girato da Giuseppe Patroni Griffi. Tra gli altri suoi lavori citiamo il film per la televisione Una malattia come le altre e Le chiese di legno, episodio contenuto in La domenica specialmente. Dirige molti documentari e lavora per la televisione realizzando in tempi recenti la fiction Giorni da leone. Barilli tiene un’interessante rubrica sul mensile Nocturno Cinema dove racconta la sua voglia di tornare a fare cinema, ma in piena libertà. L’opera di Barilli è stata oggetto di una giornata studi al cinema Trevi di Roma, il 29 maggio 2009, diretta da Marco Giusti, esegeta del cinema italiano nascosto, ma vitale. È venuto fuori il tema di una sgangherata carriera, che faceva presagire un futuro notevole da regista, per poi interrompersi dopo le prime tre opere. Barilli ha sempre fatto molte cose in vita sua - e continua a farle - alternando la passione per pittura, scrittura, cinema, televisione e molto altro ancora, con la caratteristica di non avere mai avuto priorità. Francesco Barilli non è un autore da cinema del 2000, senza dubbio, lo diciamo in senso positivo, perché - lui come Corrado Farina e pochi altri - ha gettato la spugna non per carenza di idee, ma per assoluta idiosincrasia alle mode del momento. Veniamo ai due horror.
Il profumo della signora in nero (1974) è un bel thriller a tinte horror scritto dal regista con la collaborazione di Massimo D’Avack, interpretato da Mimsy Farmer, Maurizio Bonuglia, Mario Scaccia, Orazio Orlando, Donna Jordan (il famoso sedere dei jeans Jesus: “chi mi ama mi segua”), Jho Jhenkins, Carla Mancini e la bambina Daniela Barnes, che da grande prenderà il nome di Lara Wendel.
Silvia è perseguitata dai traumi e dai fantasmi della sua infanzia, per questo sembra diventare un’assassina, ma c’è qualcosa di strano e forse le cose non sono come sembrano. Silvia ascolta impressionata, insieme al fidanzato Roberto, il nero Andy che parla di magia nera. Il problema è che dopo quel colloquio comincia vedere strane presenze: una donna riflessa in uno specchio che la guarda e si cosparghe di profumo, la madre morta mentre fa l’amore con un uomo e orribili ricordi infantili. Silvia si sente in balia di una catena di eventi terrificanti e sinistri che culminano in una seduta spiritica alla quale partecipa controvoglia. Viene ordito un complotto ai danni di Silvia, ma chi sono gli autori e cosa vogliono lo scopriamo soltanto alla fine della pellicola.
Il film è inquietante e ricco di suspense, ben realizzato come ambientazione romana e popolato di strani personaggi prelevati dal mondo della magia e del cannibalismo. Barilli si ispira alle sue passioni: il cinema di Polanski, le fiabe stile Alice nel paese delle meraviglie e inserisce suggestioni grandguignolesche. Il finale è terribile, forse uno dei più disturbanti del cinema horror italiano. Le musiche di Nicola Piovani, ispirate a Ennio Morricone, sono semplicemente stupende e conferiscono a una pellicola elegante e bizzarra un tocco di poesia. Persino Paolo Mereghetti concede due stelle e mezzo allo sfolgorante esordio di Barilli che faceva sperare in una nuova stella dell’horror italiano. Mimsy Farmer è una grande protagonista, perfetta nel ruolo di donna tormentata dai fantasmi del passato, che rende realistico il clima da minaccia incombente e da cospirazione che pervade la pellicola. Tutto deriva dal suo passato, da problemi psicologici legati a turbe sessuali, da un’infanzia che non è stata capace di rimuovere completamente. Il ritmo della storia è lento, ma ricco di suspense e di suggestioni macabre, insiste sulla follia della protagonista e sulla doppiezza dei caratteri di chi la circonda. Barilli è un regista dotato di stile elegante che sa far recitare ottimi attori come Mario Scaccia (un vicino strampalato) e Orazio Orlando (stupratore in canottiera). Silvia da piccola è Lara Wendel (ancora Daniela Barnes), mentre quando cresce è l’ottima Mimsy Farmer. Da ricordare come grande scena di suspense la prima apparizione della signora in nero riflessa nello specchio della camera del fidanzato. Barilli compie un capolavoro di sequenza, tra musiche suggestive, scenografia, fotografia e montaggio rallentato. Lo spettatore resta incollato alla poltrona in attesa di un evento imprevedibile. Le parti oniriche sono realizzate molto bene e Mimsy Farmer dà vita a un personaggio nevrotico, suggestionato, irretito dalle sue paure e da una banda di perversi adoratori del male. La protagonista rivede l’omicidio della mamma che lei fece cadere dal balcone, crede di parlare con una se stessa bambina, si veste come sua madre, in un crescendo di follia che confonde realtà e suggestione. Barilli è un regista dotato di un notevole senso del ritmo e della suspense, inserisce particolari macabri, ma non sono mai eccessivi. Si ricorda come un capolavoro di sequenza horror Silvia che serve il tè ai morti, imitando il Cappellaio Pazzo di Alice nel paese delle meraviglie. Un pizzico di Buñuel nell’occhio verde in primo piano, ma anche un ricordo di Sergio Leone per rendere ancora più inquietante un’atmosfera sinistra. Il finale è un capolavoro. Silvia è stata irretita da una setta satanica che l’ha spinta al suicidio creandole intorno una realtà da magia nera che non si è mai verificata. Non ha ucciso nessuno a colpi di mannaia, è stata soltanto suggestione, perché i suoi aguzzini sono schierati di fronte al suo cadavere per aprirlo e cibarsene come cannibali. Un finale spiazzante fa giudicare imperdibile questa pellicola per gli amanti del buon cinema italiano.
(Da Breve Storia del cinema horror italiano – di prossima pubblicazione)
Gordiano Lupi