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Lanfranco Turci: Riflessioni post-elettorali
Lanfranco Turci
Lanfranco Turci 
15 Aprile 2006
 

Durante la campagna elettorale ho girato per molte province del Centro Italia, con qualche puntata al Nord e in Sicilia. Ho girato con appuntata sulla giacca la spilletta della Rosa nel pugno riscontrando ovunque curiosità, interesse e passione politica.

Ho trovato parecchie aree dello SDI rivitalizzate dal nuovo progetto, animate dalla convinzione che dopo anni di sopravvivenza sotto l’ala protettiva dell’Ulivo e dei cugini maggiori DS, si fosse finalmente imboccata una strada autonoma e più ambiziosa. Ho trovato militanti radicali impegnati generosamente a costruire incontri, distribuire volantini, montare tavolini ai mercati rionali.


A proposito: quale diversità antropologica fra queste due etnie politiche intelligentemente confluite nel progetto della Rosa nel Pugno! Da una parte lo SDI, classico modello, in piccolo, dei partiti della sinistra: comitati regionali, federazioni, sezioni, amministratori locali, sindacalisti, cooperatori, associazionismo. Dall’altro i radicali: piccoli gruppi di militanti, professionisti, imprenditori, insegnati, studenti. Una presenza puntiforme, senza strutture fisse, collegata unicamente dal ruolo insostituibile di Radio Radicale, da email e dai telefonini. Eppure una rete capace di sforzi miracolosi e animata da una dedizione personale che non si ritrova più neppure nelle migliori sezioni dei DS. Da un lato una politica che vive prima di tutto nel territorio, nelle amministrazioni locali, muovendosi fra gli interessi organizzati e non organizzati. Dall’altro una politica che vive di grandi campagne nazionali su singoli issue, portati all’attenzione dell’opinione pubblica con iniziative di testimonianza a volte eclatanti. Si pensi per tutti, alla vicenda umana, unica per spessore morale, di Luca Coscioni e alla sua battaglia per la libertà della ricerca scientifica. Ebbene è stata di grande interesse, anche per una riflessione a posteriori, vedere come queste due diverse famiglie politiche si fossero coordinate e fuse in tante realtà locali. E come invece in altre fossero rimaste impegnate su percorsi diversi, per quanto paralleli.


A rifletterci oggi – dopo un risultato elettorale non esaltante per la Rosa nel Pugno – si può meglio capire il tipo di tensioni che si sono messe in moto e come ci si debba muovere per governarle e per fare progredire questo progetto politico.


Vediamo un po’ di capire che cosa è successo.

Non c’è dubbio che la presenza della Rosa nel Pugno abbia fatto la differenza fra la vittoria del centro-sinistra e la sconfitta del Polo. È stato sicuramente la Rosa nel pugno che ha spostato quel tanto di voti radicali e in parte ex socialisti da un campo all’altro. Eppure il dato della Rosa nel pugno è stato al di sotto delle aspettative che erano maturate al suo interno e anche fra gli osservatori esterni. La spiegazione, salvo smentite da parte di analisi non ancora disponibili sui flussi elettorali, potrebbe stare nel fatto che sia i radicali che i socialisti hanno pagato un prezzo abbastanza alto alla scelta molto impegnativa che hanno compiuto: quello cioè di non limitarsi a una semplice alleanza preelettorale, ma di puntare a un nuovo soggetto politico laico, radicale, liberale, socialista.

Una parte dell’elettorato socialista più tradizionale non ha condiviso questa scelta, per una sorta di idiosincrasia storica di gran parte della sinistra verso i radicali, marchiati con lo stereotipo di fondamentalista del mercato e di liberisti antisindacali. A complicare il rapporto con una parte dell’elettorato tradizionale ha giocato anche il fatto che nella campagna elettorale è stato quasi inevitabile che la Rosa nel pugno mettesse l’accento sui suoi temi più distintivi: da quelli della laicità e dei diritti civili fino ai temi più spigolosi delle coppie di fatto, dei diritti degli omosessuali e dell’eutanasia. Erano i temi più elaborati, già pronti nel cassetto degli attrezzi. Gli altri temi di Fiuggi dalla scuola alla giustizia, dal mercato del lavoro alle liberalizzazioni, erano poco più di slogan ancora poco elaborati, carenti di una cornice politico-culturale capace di spiegarli, sorreggerli e trasformali in un vero e proprio programma. D’altro lato un partito liberalsocialista moderno non lo si improvvisa. La costruzione di un partito dal profilo chiaro e percepibile presuppone un dibattito culturale e una elaborazione di merito che è ancora in gran parte da fare.


Questo spiega la difficoltà di “vendere” il progetto Rosa nel pugno a un elettorato più popolare di tradizione socialista e di sinistra, che fra l’altro non è ancora pienamente ricettivo verso i temi più ostici della laicità e dei diritti civili.

Per altro verso è indubbio che anche i Radicali hanno pagato un prezzo alto fra il loro elettorato degli ultimi anni. Un elettorato tradizionalmente border line fra il centro-destra e il centro-sinistra, ma con nette opzioni modernizzanti, nei cui confronti il programma dell’Unione non brillava certo per appeal e la incompletezza del progetto della Rosa nel pugno rappresentava un ulteriore handicap. Berlusconi si è accorto con ritardo della strategicità di questo elettorato, ma negli ultimi giorni il pressing si è fatto incalzante, per cercare di smascherare il “tradimento” di Pannella. Credo che la compresenza di questa perdita di voti verso destra e verso sinistra da parte delle due componenti costituitive della Rosa nel pugno abbia finito per oscurare quel nuovo afflusso di voti che sicuramente c’è stato da parte di soggetti terzi. Parlo dei giovani elettori, fra i quali circolava molta simpatia verso la Rosa nel pugno, e parlo di elettori di provenienza diessina e di altre parti della sinistra. I sondaggi elettorali ci parlavano di questo afflusso. Tutti noi ne abbiamo avuto diretta testimonianza nel corso della campagna elettorale. Si tratta di un dato che ora va riscoperto e valorizzato, perché ci può far capire quanto sia veramente nuovo il progetto della Rosa nel pugno, quali possono essere le sue potenzialità e infine, nell’immediato, ci può aiutare ad amalgamare le sue diversi parti. Infatti non è facile la fase che si apre ora per la Rosa nel pugno. C’è un’area evidente di sofferenze e di resistenza in casa socialista. Un’area in cui confluiscono anche problemi irrisolti del passato, ma che ha ripreso fiato dopo il risultato elettorale del 9 e 10 aprile. C’è chi ripropone l’obiettivo mitologico dell’“unità socialista”. C’è chi più realisticamente punta alla confluenza nel Partito democratico, di cui si prevede un rapido decollo.

Non voglio qui discutere della probabilità o meno di una accelerazione della costruzione del Partito democratico. Credo possibile che l’esito negativo dei DS e della Margherita al Senato possa spingere i gruppi dirigenti di quei partiti a gettare il cuore oltre l’ostacolo e a cercare di nascondere con una decisione puramente organizzativa e nella enfatizzazione mediatica conseguente i problemi politici e culturali irrisolti. Ma essendo stata proprio la Rosa nel pugno ad avere posto in modo più o meno compiuto quei problemi nel confronto elettorale e nell’agenda politica (in sintesi la laicità dello stato e l’approccio liberalsocialista ai problemi istituzionali ed economico-sociali), quale spazio avrebbe mai una componente socialista che rinunciasse al progetto della Rosa nel pugno e si accodasse come un ospite penitente a quello che fino a ieri abbiamo criticato come la possibile riedizione in sedicesimo del compromesso storico? Escludo che Boselli e la gran parte dei quadri e dei militanti socialisti che hanno vissuto come una sferzata di energia, di vitalità e di orgoglio la campagna elettorale della Rosa nel pugno possano ora accettare un tale esito. I Radicali peraltro mi sembrano più che mai convinti a giocare il tutto per tutto per dare un seguito a questo progetto.

Anche per loro l’eventuale implosione del progetto Rosa nel pugno avrebbe un costo molto pesante.

Dopo aver sacrificato una quota significativa di voti alla scelta del centro-sinistra, (quella che Pannella chiama la scelta dell’alternanza prodiana dentro cui combattere la battaglia per l’alternativa liberale e socialista), la caduta della Rosa nel pugno lascerebbe i radicali senza una strategia credibile e praticabile. Per garantire la continuazione del progetto la cosa più urgente è che i radicali si facciano carico dell’esigenza di costruire con la componente socialista una soluzione di forte visibilità della Rosa nel pugno già alle prossime elezione amministrative. Cominciando già da questa occasione a costruire anche una classe dirigente amministrativa locale di provenienza radicale. Altrettanto rapidamente, occorre affrontare il problema del funzionamento del nuovo soggetto politico, della costruzione dei suoi gruppi dirigenti e dell’accesso delle nuove forze che vogliano confluirvi. Viene qui il ruolo di quanti di noi provenienti dai DS o da aree vicine ai DS hanno deciso di impegnarsi in questo progetto.

Durante la campagna elettorale io non mi sono mai considerato un ospite, sia pure bene accolto. La simpatia che ho riscontrato in tutte le iniziative fra i militanti socialisti e radicali andava al di là di un plauso alla testimonianza che io potevo rappresentare, in quanto dirigente diessino passato alla Rosa nel pugno o in quanto ex tesoriere e coordinatore della recente campagna referendaria. Fin dall’inizio io mi sono proposto con le mie opinioni sulla Rosa nel pugno, sul suo significato per la sinistra italiana e sulle sfide che avremmo dovuto gestire nel futuro. Credo che il contributo di chi viene dai DS e da battaglie riformiste nei DS e nella sinistra in genere possa essere prezioso nella costruzione della Rosa nel pugno. E particolarmente utile può essere l’apporto di chi sa parlare insieme il linguaggio socialista e il linguaggio radicale. Non perché fra gli uni e gli altri occorra un interprete, ma perché chi ha vissuto insieme l’una e l’altra esperienza può essere prezioso oggi per amalgamare sensibilità, linguaggi e approcci alla politica.

In questo senso spero che l’impegno mio, di Biagio De Giovanni, di Salvatore Buglio e di altre compagne e compagni che si erano mossi già da prima verso i socialisti, i radicali e la Rosa nel pugno possa stimolare altri militanti della sinistra ad aiutarci in questa impresa.

Nei DS le aree che hanno più assonanza con noi sono quelle di provenienza riformista e ulivista. Aree in parte distinte, in parte sovrapposte. Sia gli uni che gli altri sono fortemente interessati ai temi della laicità e dell’innesco della cultura liberale nella sinistra. Gli uni sono più convinti che una sinistra a vocazione maggioritaria (per usare una parola molto di moda qualche anno fa) possa nascere solo da un forte nucleo liberalsocialista. Sono perciò gli interlocutori più prossimi al progetto della Rosa nel pugno. Gli altri sono più fiduciosi sull’effetto rigeneratore che quasi miracolosamente potrebbe nascere da un rimescolamento di tipo ulivista-prodiano della diverse aree riformiste. Purtroppo non sembra però quello dell’ulivismo prima maniera l’approdo cui tende oggi il progetto del Partito democratico. Proprio questo fatto ci induce a tenere una forte sollecitazione verso questi compagni, affinché il confronto fra di noi solleciti una riflessione critica più generale nella sinistra e nel centro-sinistra. Mi accorgo che con queste considerazioni ho sviluppato il rapporto Rosa nel pugno-Partito democratico partendo da un confronto per linee interne fra diverse aree dei DS o provenienti dai DS. Ma è evidente che questo schema di ragionamento vale più in grande per il rapporto fra Rosa nel pugno e centro-sinistra. Penso infatti che la Rosa nel pugno non debba guardare al progetto del Partito democratico come a qualcosa da combattere e ostacolare in tutti i modi. Bensì come a un progetto da cambiare nella sua impostazione. A noi sta a cuore una grande sinistra maggioritaria, non succube nei confronti dei veti della Conferenza Episcopale Italiana. Questo dovrebbe essere pacifico e sarà il primo banco di prova per Prodi, Fassino e Rutelli. Perché proprio questa questione, finora rimossa, potrebbe costituire il primo ostacolo capace di inceppare la ripresa del discorso sul Partito democratico.

Ma a noi sta a cuore anche una sinistra non oligarchica nel suo modo di funzionare, né tributaria verso i riti statalisti e assistenzialisti vecchia matura. Questi sono i picchetti essenziali. All’intero di questi picchetti ci sta un campo enorme, in gran parte ancora da esplorare. Qui comincia la vera costruzione della Rosa nel pugno, che richiede una grande raccolta di intelligenze, di esperienze, di competenze tecniche e di passioni civili e politiche per organizzare questo vasto campo. Dobbiamo essere capaci di fare tutto ciò lavorando su un doppio piano, quello “micro” della Rosa nel pugno e quello “macro” del centro-sinistra, senza perdere di vista i liberali che stanno ancora nel polo.

E dobbiamo farlo secondo un metodo di partecipazione politica democratica, aperta e meritocratica, che dia spazio a chi vuole partecipare e dia a tutti le chance di vedere riconosciuti capacità e impegno. Il tutto alla luce del sole e sotto il vaglio dell’opinione pubblica. Deve valere in piccolo per la Rosa nel pugno e in grande per una sinistra rinnovata e riformata. Qualunque sia il nome con cui alla fine vorremmo chiamarla.


Lanfranco Turci

(da Notizie radicali, 14/04/2006)


 
 
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