Caro Mentana, caro Vinci,
ho appreso, con notevole ritardo, che in occasione del decennale della scomparsa di Lucio Battisti lei, Mentana, dopo aver chiamato Mogol e successivamente Lavezzi, Vandelli ed altri, ha terminato la seconda puntata di “Matrix” sull’argomento, dicendo «Prima o poi riuscirò a portare qui Pasquale Panella…».
Purtroppo non sono riuscito a sapere se quel proposito è stato poi realizzato. Se così non fosse e se l’idea fosse ritenuta ancora valida per almeno uno di voi, mi permetto di suggerire una proposta-provocazione che potrebbe piacere a molti italiani e, in particolare, ai lettori di Tellusfolio, così sensibili alla lettura di testi poetici, con o senza virgolette.
Siamo vicini a settembre, a un nuovo anniversario. A Panella, se invitato, andrebbe ricordato il pensiero dell’esercito dei mogoliani.
Un mogoliano doc non può che risultare allergico ai testi con cui ha sfregiato e ridicolizzato le sempre splendide musiche del Mozart della musica leggera mondiale. Allo sconcerto del primo impatto, seguirono irritazione e rabbia, aumentate dalla lettura di articoli in cui i critici, per non sembrare poco intelligenti e poco aperti alle novità, lodavano lo sperimentalismo fonetico delle intelligentissime accozzaglie di parole in italo-esperanto.
Panella dovrebbe sapere, o ricordare, chi è stato il più grande estimatore della fantasia, della originalità di Mogol, sostenendo l’insuperabilità dei suoi risultati artistici. Chi, con i fatti, non con le parole e le interpretazioni indimostrabili, ha sostenuto e dimostrato la non sostituibilità di Mogol nell’interpretare atmosfere e sfumature delle musiche del più grande innovatore della musica leggera? È stato, senza dubbio, Lucio Battisti.
Aveva deciso di troncare il sodalizio perfetto e miracoloso, la simbiosi poetico-musicale con Mogol. E per vari motivi: economici e di gelosia-rivalità, sentiti soprattutto dall’ambiziosa e velleitaria Valezia, nome d’arte di sua moglie. Ma anche per la sua voglia genuina di scoprire nuovi orizzonti. In quella spinosa occasione riconobbe che nessuno al mondo avrebbe potuto sostituire Mogol nello scrivere sia testi veri, seri, che originali e umoristici, intrisi di follia (tipo Innocenti evasioni). Nessuno sarebbe stato in grado di descrivere le psicosi moderne, le pretese tragicomiche dell’“uomo disperato” e le atmosfere reali e surreali che lui, Battisti, sapeva inventare con una originalità e una freschezza che nessun altro era ed è tuttora in grado di creare. Avrebbe potuto scegliere il sostituto anche all’estero. Ma sapeva benissimo che, quantunque bravo, non avrebbe potuto uguagliare, né tanto meno superare, la perfezione con cui Mogol incastonava le parole, i significati, le sfumature, alle musiche. La fretta e la continua spinta di Valezia gli fecero dimenticare che Mogol aveva realizzato con successo insuperabile, anche il linguaggio isterico, quello folle, quello sperimentalmente innovativo, restando però sempre nel comprensibile, nell’intelligente e, soprattutto, nel gradevole. Se avesse voluto andare verso lidi ancora più nuovi, tentando il detto e non detto, i giochi di parole, i doppi e tripli sensi, avrebbe potuto spingere Mogol a farlo. E Mogol era il tipo ideale per fare cose nuove, spinte, anche apparentemente astruse, ma ripeto, intelligenti e comprensibili. L’incantesimo di quella compenetrazione artistica unica, era però ormai rotto e Valezia una sera, insofferente, spedì Lucio a fare la spesa, troncando malamente i discorsi tra i due, proprio su questi temi.
Valezia, forse come tanti, nel sentire cantare Lucio, aveva sicuramente pensato “Certo che sono parole centrate. Ma cosa ci vuole a fare altrettanto?” Il fatto è che una considerazione simile poteva essere fatta solo “dopo” aver ascoltato le parole incasellate da Mogol. Con tutti gli evidenti suggerimenti dati da Battisti, alcuni dei quali completamente azzeccati (come quelli per il testo della difficile e originale Windsurf), bastò un solo tentativo per dimostrare che Valezia non avrebbe potuto sostituire Mogol, senza farlo rimpiangere furiosamente.
Lucio allora fece la più grande e bella dichiarazione di stima e di amore artistico verso Mogol, la sua anima con parola. Certo che, nel serio, qualunque sostituto ne sarebbe uscito ridicolizzato, sostituì con il grottesco, le più alte vette raggiunte dalla musica leggera italiana. Vette molto, molto più alte delle ripetitive collinette dei Beatles.
Se Battisti-Mogol fossero stati inglesi e dichiaratamente conformi alle “ideologie alla moda”, gli anglosassoni, oltre a farli Baronetti, avrebbero trovato il modo di dar loro anche un Nobel. Altro che i premi Nobel per la letteratura a Bertrand Russell, Winston Churchil e Dario Fo.
Panella aveva messo ampiamente le mani avanti dichiarando: «Per scrivere canzoni bisogna essere stupidi». Credendo di dimostrare che lui stupido non era, preferì dimostrare d’essere un furbacchione. Non riuscendo a rinunciare eroicamente ai guadagni sicuri che gli avrebbe garantito Battisti, e non potendo, nemmeno tentare di reggere il confronto con Mogol anche per un solo testo, seguì il consiglio obbligato che Battisti gli dava per primo: rifugiarsi nei falsi intellettualismi del più irritante non-senso. Neanche nella più becera rivista goliardica o nei giornaletti delle parrocchiette si leggono scempiaggini in una specie di italo-esperanto, buttate così “alla prima che mi viene in mente, basta che le sillabe siano nel numero giusto.”
Esistono fior di studi commissionati ad istituzioni e università soprattutto americane, il cui scopo era di scoprire la ricetta della canzone di successo.
L’esperimento di Battisti è servito a rispondere ad una delle tante domande che i ricercatori si sono posti.
Battisti (che anni prima aveva deriso i testi non-senso) avrà certamente pensato che se gli italiani ascoltano e comperano prevalentemente dischi in inglese in cui non capiscono una parola, questo sta a significare la non rilevanza delle parole rispetto alla linea melodica e al ritmo. A parità di non comprensione, avrà pensato che un testo incomprensibile in italiano, con la dolcezza della lingua e qualche brandello di frase significativa qua e là, sarebbe stato accettato dai giovani, più di un testo in inglese...
Il flop dell’esperimento stabilisce che l’acquirente di dischi non accetta buffonate-furbate sistematiche nella propria lingua. Flop indiscutibile di vendite, di interpretazioni da parte di altri cantanti, di memorizzazione da parte del pubblico. C’è qualcuno di voi che ricorda un testo, un “verso” del poeta (anche lui!) Panella? Tutto ciò a dispetto di un gruppetto di appassionati che ritiene il periodo panelliano di gran lunga il migliore di Battisti e da tutti i punti di vista. Da buttare via, per banalità, la produzione con Mogol.
Ed ecco la scommessa provocazione.
Sostengo che tutti i parolieri (per non parlare dei poeti) avrebbero saputo fare, e sanno fare, meglio, molto meglio, del frastornato, farfugliatore, alzheimeriano Panella.
Aspettiamo contributi da parte dei lettori, che manderemo all’attenzione di Mentana, Vinci e, ovviamente, di Panella (per dargli qualche idea da parte di stupidi che però scrivono testi meno stupidi dei suoi). Il contributo deve consistere in un testo perfettamente adattato ad una delle musiche di Lucio Battisti, sfregiate da Panella.
Chiedendo scusa e perdono a Di Scalzo, Cipollini e a tutti gli altri letterati che scrivono su TF, o che lo leggono, riporto un testo scritto e musicato, subito dopo l’uscita del secondo album della funerea accoppiata Battisti-Panella. Un inno a Mogol.
IL S E N S O D E L N O N-S E N S O
Rem tene, verba sequentur. (Catone)
Suona la balalaica,
in una messa tutta quanta laica,
una vecchietta che va in bicicletta
ha sempre fretta...
Suona e balla, Màrica,
mentre mi osservi con quell'aria onirica
la bocca mastica una gomma arabica
con grande ritmica
Studi quella sintetica
e ci arrumori, ma la tua melodica
sarebbe bella con meno informatica
e alogorroica.
Ha voce un pò metallica
ma Màrica non si rammarica,
Màrica mica è Rica,
Màrica ammira Rica
Màrica ti ricarica
anche se è un poco anemica
e a volte è troppo erotica,
teorica e tautologica
elettrica e famelica,
isterica ti morsica
anche una natica!
Battisti, Battisti, Battisti...
che testi tristi...
del grande tuo splendido pathos,
che uso puoi farne,
parlando di cosce fritte,
sia detto inter vos,
pronunci solo parole... che stanno zitte.
Battisti, Battisti, Battisti...
che fritti misti...
se questo totale non-senso
ancora perdura
il senso del non-senso
sarà la fregatura
di vecchi azzeccagarbugli la turlupinatura...
Ogni dieci anni io brucerei
gli scritti altrui e tutti quanti quelli miei
ed i dipinti e le sculture
in polvere farei con una scure
per ricominciar da zero,
senza confronti col passato intero.
Battisti, Battisti, Battisti,
tra i pessimisti,
ma dimmi chi t'ha convinto
a darti per vinto,
della tua insalata russa
ne scrisse già Trilussa:
“Se vuoi l'ammirazione degli amici,
nun fa’ capire mai quello che dici...”.
Battisti, Battisti, Battisti,
ma perché insisti?
Io credo tu possa far meglio...
...con dei vocalizzi...
piuttosto che far concessioni
verso le ultime generazioni
che amano i testi in inglese
o in cretinese...
Lufùcifiòfo, Lufùcifiòfo, ofò Lufùcifiòfo
chefé dificìfi? Chefé dificìfi? Chefé dificìfi?
Mafà chefé cafàcchifìofò,
mafà chefé cafàcchifìofò,
mafà chefé cafàcchifìofò
dificìfi?
(linguaggio “farfallino”: ogni vocale è seguita da una effe
o da altra consonante e poi ripetuta.
In voga tra i giovanissimi.
“Traduzione”: Lucio, Lucio, o Lucio, che dici? Che dici? Che dici? Ecc.)
Lento e scandito
Battisti, battesti Battisti,
sul tasto dei testi,
un tempo col tuo “Canto libero”
al cielo alzavate una stele,
adesso aumenti soltanto la Grande Babele...
a tempo
e a Mara a leggerli li desti?
Perché li detesti...
Erotica e famelica
incredula ed isterica,
ci vendica e ti morsica
vieppiù famelica!
Rem tene, verba sequentur,
Rem tene, verba sequentur,
Rem tene, verba sequentur,
Rem tene, verba sequentur...
Paolo Diodati