Il 27 ottobre 2005, nel sobborgo parigino di Clichy-sous-Bois, esplose una rivolta di bande giovanili che portò il governo francese, pochi giorni dopo, a dichiarare uno stato d’emergenza: più di trecento veicoli furono bruciati, una trentina di giovani arrestati. In quei giorni, rapidamente, via sms, via e-mail, i gruppi ribelli delle diverse località dell’Île de France si organizzarono e si arrivò, il 7 novembre, ad un bilancio spaventoso: 1.400 veicoli bruciati, 400 arresti. Giravano bombe molotov, armi da fuoco, l’odore del branco era miscelato alla risposta repressiva delle forze dell’ordine.
Questa gente di periferia ci appare lontana, strana, senza un Dio o comunque con un Dio diverso (più estremista). Infatti, di fronte alla notizia di un atto di vandalismo ai danni di una scuola, un furto, un camion cisterna guidato da un gruppuscolo di adolescenti che va a sbattere da qualche parte (“per vivere qualcosa di forte” diranno), l’adulto ripiega generalmente in un sentimento di fratellanza con una certa morale della tranquillità, del divertirsi ma in maniera adeguata, delle letture buone. Acquistano valore le radici, si vorrebbe ripudiare la strana entità che provoca disordine (sono stranieri) e ci si allaccia ad un nazionalismo che ci fa sentire più uniti, assieme, emotivamente caricati: l’identità che ne risulta non è nemmeno frutta della razionalità, ma è piuttosto emozionale, animalesca, tipica del branco.
Mio padre faceva il soldato lancia-mine e il nemico era comunista. Si trovava bene, nel branco di soldati. In fondo erano soci e il nemico rosso scendeva dal Lucendro, credo. O dal Lucomagno. (Nel tempo libero suonava il Sessantotto, ma credo fosse un moderato…) Io a metà/fine anni Novanta, ebbi a che fare con il PKK… Mangiai un salametto nostrano nei pressi del lago del Sella e ci rimasi virtualmente secco. Ci deve sempre essere un nemico, altrimenti non si sa più a chi contrapporsi, la gente ha bisogno di ordine, di un bianco che abbia un nero come negativo contro cui scatenarsi come una tribù o come un branco, questa volta adulto!
I giovani, nella società delle reti, non sono più bianchi o neri. Nel loro insieme sono di un grigio complesso, un colore che contiene anche potenza creativa, propulsiva. La tribù dei grigi detiene grande fragore emotivo, ha il bisogno mostruoso di mostrarsi, è una rete comunicante inarrestabile, contraddittoria come il mondo in cui vivono i ragazzi, anche quelli svizzeri. Si naviga tra il bene e il male. Non siamo un po’ così anche noi adulti, che abbiamo messo lì questo sistema affascinante ma rischioso, chiedendo ai giovani di crescerci? Ci lamentiamo della nostra creatura come il dottor Victor Frankenstein che scappa dal suo “mostro”? Miliardi di ponti sono stati gettati attraverso la tecnica. Costruire muri è inutile. E allora il relativismo, che favorisce il dubbio, che ci fa esistere qui e là nello stesso tempo, reale e virtuale, fa paura, infastidisce chi vorrebbe un mondo come dovrebbe essere, chi crede nella Verità. Sessant’anni fa Orwell pubblicò 1984: rappresentò il partito supremo con un Grande Fratello da opporre ad un Goldstein, riprodotto sullo schermo in modo da scatenare la rabbia degli individui alienati. Berlusconi ha un indice di gradimento del 72%. L’ha detto lui su Rete quattro. In Ticino c’è chi invoca il sistema maggioritario, le alleanze trasversali e addirittura la rinascita cosmica del paese. C’è chi chiede la bomba atomica.
Il problema, a parte gli scherzi sulla bomba atomica (è uno scherzo vero?) è davvero che a bianco non si contrappone più il nero. Alla vera destra non si contrappone più la vera sinistra. Anche se in una sorta di teatralità politico-mediatica, si tende a riordinare i pezzi per tranquillizzare lo spettatore quasi che il tempo non corresse poi così veloce. E invece è una saetta, fila via velocissimo e la gente ha paura. Ha paura del grigio, di ciò che non è bianco o nero, ma è contaminato: le banche, la compagnia aerea di bandiera e altre icone che infondevano certezze hanno perso pezzi e siamo in un’epoca dove le icone prodotte dai media dell’immagine ci possono far divertire, ma sono tutt’altro che solide.
Come si comporta il nostro branco di giovinastri di fronte alle reti dei poteri trasversali, delle alleanze popolate da una sorta di fratellanza? Ha bisogno di manifestarsi, di mostrarsi in modo emozionale, assolutamente allo stesso modo in cui un leader politico fa capire al telespettatore che ce l’ha lungo.
Michel Maffesoli, nel suo libro Icone d’oggi, uscito da poco per i tipi di Sellerio, espone in modo davvero lucido quelle brutalità insite nelle relazioni sociali. «Brutalità che, come un filo rosso, ossia in modo sotterraneo ma non per questo meno reale, ritroviamo nelle sale di redazione, nelle commissioni universitarie. In ognuno di questi luoghi, e l’elenco potrebbe allungarsi, l’importante è aiutare chi fa parte del clan e respingere chi è fuori. Intendiamoci: questi processi di inclusione e di esclusione avvengono sempre sotto il manto della razionalizzazione, con argomenti miranti a legittimare quella che è solo un’espressione del nostro vecchio fondo animale: conquistare uno spazio vitale, risparmiare l’aria che si respira» (p. 230).
È l’odore del branco.
In questa silenziosa decadenza, forse c’è ancora del buon grigio che detiene potenza. La democrazia è grigia. La Svizzera è grigia.
Daniele Dell’Agnola