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La difficoltà non è una malattia
14 Aprile 2006
 
In veste di insegnante di scuola primaria ho partecipato recentemente a due corsi di aggiornamento e formazione riguardanti il primo la “Dislessia e Disturbi Specifici di Apprendimento: che fare?”, il secondo “l’ADHD, Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività”. Ho già presenziato in passato a convegni su questi temi, mi sono anche documentata da autodidatta e devo confessare il mio grande sconcerto e la mia perplessità di fronte a terapie comportamentali, metodologie di intervento, misure compensative e dispensative proposte da questi “luminari” nei confronti di alunni etichettati “dislessici” o “affetti da ADHD”, sindrome quest’ultima alquanto controversa, basti citare una frase del Dr. Fred Baughman in The Future of ADD: «Sia la FDA che la DEA (Ente governativo americano) hanno riconosciuto che l’ADHD non è una malattia, né organica né biologica» o il Dr. Thomas Armstrong, PhD in The Myth of the ADD Child: «L’ADHD non esiste. Questi bambini non hanno alcun disturbo».
Durante il corso sulla dislessia e nel materiale avuto in dotazione viene precisato dai docenti che la dislessia non è una malattia, ma al termine della prima lezione vengono fatte vedere delle immagini in cui appaiono dei cromosomi ritenuti responsabili di questo “disturbo”; viene inoltre detto che è un disturbo a base neurologica e genetica e che di dislessia non si potrà mai guarire. Nelle varie lezioni che seguono viene affrontato l’utilizzo di metodologie di intervento nei vari ordini di scuola e vengono pubblicizzati programmi (software) per questi bambini etichettati “dislessici”.
Durante un dibattito un’insegnante chiedeva come mai, visto che non è una malattia, vengano citati i cromosomi e i geni e la dislessia venga elencata nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (testo di riferimento per la psichiatria di tutto il mondo). A questo punto rimango veramente sconvolta e scioccata dalla risposta della docente che, scocciata e alterata emotivamente, le risponde dicendo che lei non lo sapeva e che quell’insegnante doveva chiederlo ad un ospedale.
Quello che so è che le malattie sono disfunzioni del corpo umano e se si è ammalati esiste una scienza oggettiva, la medicina, che attraverso esami specifici e sensibili, stabilisce una diagnosi e di conseguenza una terapia.
Alcune correnti psichiatriche affermano che la dislessia sarebbe dovuta ad alterazioni genetiche; se ciò fosse vero potrebbero fare diagnosi usando un test genetico, come si fa oggi per qualsiasi vera malattia genetica; e se così fosse, non sarebbe più di competenza psichiatrica, vi sarebbero test specifici biologici per confermare la diagnosi e nessuno ricorrerebbe più ai test attuali (domande, prove di abilità e questionari, che di scientifico non hanno niente) per fini diagnostici. Queste prove non esistono, se esistessero distinguerebbero i sani dai malati!
Durante i miei 25 anni di insegnamento ho visto bambini che avevano difficoltà di vario tipo: problemi nell’imparare a memoria filastrocche, tabelline, che invertivano o confondevano suoni simili, che erano lenti nel leggere o nel fare calcoli… Con molta pazienza, mettendomi in discussione come insegnante, proponendo loro esercizi mirati, pongo e oggetti e utilizzando per ogni età un linguaggio a loro comprensibile, un dizionario per le parole di non immediata comprensione, una metodologia di studio funzionante, giochi didattici, ogni alunno è sempre riuscito a raggiungere gli obiettivi prefissati nella programmazione didattico-educativa.
Non concordo con quanto affermato dalla logopedista durante il corso, che un bambino se, alla fine della prima elementare o a metà della seconda, non acquisisce gli strumenti di base, va segnalato. Ma dove è scritta questa cosa? I bambini non sono robot! Ognuno ha il suo ritmo di tempo: quello su cui mettere l’accento è che un bambino interiorizzi e comprenda le conoscenze, acquisisca di conseguenza le abilità al fine di essere competente e in grado di mettere in pratica. Non ho mai dispensato nessun bambino dall’uso della lettura, mettendo al suo posto il computer; il bambino numerose potenzialità e abilità, sta a noi insegnanti tirargliele fuori. Perché si insiste sul ridurre tutto a cause psico-fisiche e non didattiche? Anche noi insegnanti possiamo sbagliare! Da molti anni a questa parte si assiste ad un declino dell’istruzione e dei valori tradizionali e sono questi che noi dobbiamo ristabilire.
Ricordo che durante il dibattito un genitore di una bambina dislessica parlava male dell’insegnante di sua figlia. Allora io dico: è stata l’insegnante la causa del problema di sua figlia, non la figlia!!! La scuola è un luogo di istruzione e vi devono lavorare professionisti, che abbiano una metodologia di studio funzionante per i loro studenti, che amino i loro studenti, che li comprendano, li aiutino nelle difficoltà della vita.
Per quanto riguarda invece il corso sull’ADHD sono rimasta senza parole quando durante il corso una docente, oltre ad aver precisato la mancanza di prove scientifiche riguardo questo “disturbo”, le chiedeva come faceva “l’esperta” a pubblicizzare nell’Associazione di cui lei fa parte il metilfenidato, che altro non è che il principio attivo del Ritalin, un derivato dell’anfetamina, farmaco utilizzato per la cura dell’ADHD, che ha causato la morte di molti bambini.
A questo punto “l’esperta” risponde dicendole che era tardi, in realtà il corso doveva chiudere alle 19, che né lei né l’insegnante erano un Neuropsichiatra infantile e che a lei non interessava. Questa è la responsabilità di un ex-insegnante a cui dovrebbero stare a cuore i bambini? Dare uno psicofarmaco a un bambino è avvelenarlo, non curarlo!
Ero sconvolta! “L’esperta”, ex-insegnante elementare, fa corsi sull’ADHD, promuovendo terapie comportamentali su bambini etichettati “affetti da questo disturbo”, sul quale non risulta essere stata scoperta nessuna anormalità fisica o disfunzione, e nel sito dell’Associazione di cui lei fa parte c’è scritto:”Numerosi studi hanno dimostrato che farmaci psicostimolanti, come il metilfenidato, sono particolarmente efficaci nel migliorare sia il deficit attentivo che l’iperattività”. Questo farmaco è una droga; in uno studio della DEA (ente governativo USA) si legge: «All’uso prolungato di metilfenidato sono stati associati episodi psicotici, illusioni paranoiche, allucinazioni… Sono state riportate gravi conseguenze fisiche e la possibilità di morte». Gli effetti collaterali includono: «cambiamenti di pressione sanguigna, angina pectoris, perdita di peso, psicosi tossica. Durante la fase di astinenza c’è la possibilità di suicidio». Inoltre Terry Woodworth, vicedirettore della Dea, l’Antidroga, dice: «Il Ritalin, ridotto in polvere e sniffato, produce euforia». Per parecchi ragazzi è l’anticamera di droghe anche pericolose (Lawrence Diller, un pediatra autore di Correre col Ritalin).
Concludo la mia lettera richiamando l’attenzione degli insegnanti sul nostro scopo: istruire i nostri alunni, non stigmatizzarli, etichettarli, per poi farmacologizzarli.
Io non attuerò mai certe terapie sugli alunni.
Ricordiamoci una cosa: come eravamo noi da piccoli? È con una pillola, con false etichettature che abbiamo capito? Se un bambino ha difficoltà a scuola ciò potrebbe essere dovuto al fatto che è molto creativo, o molto intelligente, o con difficoltà nell’ambiente che lo circonda e ha bisogno di aiuto e comprensione in modo che questo non comprometta il rendimento scolastico. Un buon insegnamento può salvarlo da “etichette” che comunque lo faranno sentire diverso. Tutti i bambini del mondo possono avere delle difficoltà a scuola; chi non ne ha mai avute?
La difficoltà non è una malattia!
Problemi di relazione con la famiglia o con un’insegnante, alti livelli di piombo, mercurio, i pesticidi, troppo zucchero, possono provocare i sintomi dell’ADHD.
Allora io dico stop a questo nascosto e subdolo programma creato dalla psichiatria per controllare i nostri bambini, e di conseguenza la società del futuro, creando malattie inesistenti. Apriamo gli occhi!
 
Antonella Marzaroli

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