dedicato ad Angelo Quattrocchi
Meno male che non sono Baricco, così posso scrivere cosa cazzo mi pare senza problemi di marketing. Meno male che non sono Baricco, così nessuno mi può far dire cose che non penso. Meno male che non sono Baricco, così non devo avere un’opinione su tutto, persino su chi vincerà il prossimo Premio Strega o su come impiegare i soldi per la cultura. Meno male che non sono Baricco, così sono libero di pubblicare a destra e a manca - da Stampa Alternativa a Historica passando per Il Foglio Letterario, Mursia, Mediane, Profondo Rosso, Eumeswill, Perdisa e chi più ne ha più ne metta - guadagnando poco meno di un cazzo, ma divertendomi parecchio. Meno male che non sono Baricco, così posso occuparmi di cose poco intellettuali, tipo il cinema porno ai tempi di Joe D’Amato, l’horror italiano di Mario Bianchi e la scena lesbica tra Lilli Carati e Gloria Guida in un film mitico che non conoscerete di sicuro, ma s’intitola Avere vent’anni e l’ha girato un geniaccio del passato come Fernando di Leo. Meno male che non sono Baricco, così non mi sento schiavo delle politiche editoriali. Faccio quello che mi gira, vado là dove mi porta il cuore - per dirla con la Tamaro - traduco scrittori cubani, racconto la storia del cinema horror italiano, mi occupo di giovani narratori, scrivo racconti senza senso come questo, mi lascio prendere dalle passioni. Sono un uomo libero. E la libertà non ha prezzo. Dico quel che cazzo mi pare, tanto non ho niente da perdere.
E allora lasciatemi dedicare questo racconto a un uomo che manca parecchio a tutti noi spiriti liberi. Lasciatemi ricordare Angelo Quattrocchi di Malatempora, uno scrittore - editore anarchico e ribelle, uno tipo me, ma molto più politicizzato. Lui ci credeva ancora a questa nostra sinistra così mal ridotta, cosa ci volete fare. Lui ci credeva e io l’ammiro per questo. Ho voluto bene ad Angelo Quattrocchi. L’ho considerato un maestro, un po’ come Marcello Baraghini di Stampa Alternativa. Abbiamo fatto tante cose insieme, ricordo ancora una sera d’estate a Piombino - eravamo nel 2002 - noi due a presentare un volume di racconti fantapolitici intitolato Twin Towers che parlava di attentati alle torri gemelle. Veniva da un concorso letterario organizzato dal Foglio e da Malatempora, ma quante ce ne dissero: inopportuno, offensivo, antiamericano… e non era niente di tutto questo, era solo un voler affrontare il problema in modo diverso, esorcizzando la paura. Non lo capirono. Quattrocchi organizzò pure a 35 Trasgressivi, una serie di racconti estremi scritti da esordienti e dentro ci mise pure una cosa mia di tanto tempo fa. Sempre Quattrocchi pubblicò un’antologia di racconti a tematica gay e ci infilò un mio racconto che fece incazzare tanta gente solo per il titolo, un po’ fortino certo, visto che era Il frocio. Un po’ come Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda che le persone serie la criticano senza averlo mai visto, ché il titolo spaventa le anime pure. Angelo Quattrocchi per me era uno da rispettare, solo per il fatto che aveva delle idee, lottava per realizzarle e si faceva un culo grande così dalla mattina alla sera. Non aveva la smania di cercare un grande editore per i suoi libri, pure se scriveva roba buona, contro la televisione, sui misteri italiani, su eventi mafiosi del passato, su Veltroni e Berlusconi. Angelo Quattrocchi lottava contro l’editoria di mercato, faceva contro editoria pura, movimentista, predicava lo sbattezzo, non aveva un dio da venerare, santi da pregare e religioni da osservare. E adesso che una malattia canaglia ce l’ha portato via, ci sentiamo tutti un poco più soli. Povero Angelo, che - come ha detto un mio caro amico - un giorno ti sei accorto di aver perso il cognome e sei volato in cielo. Leggendo questo racconto avresti scosso la testa per dire: “Sei sempre la solita testa di cazzo senza peli sulla lingua…”. È vero, Angelo, ma mi sento sempre più solo.
Gordiano Lupi