Suicidio per amore
Era un freddo pomeriggio di ottobre, Izga era appena tornata a casa e la stanchezza si faceva sentire sul suo corpo. Dopo una giornata molto stressante, avrebbe voluto sdraiarsi sul letto e lasciarsi avvolgere da un dolce sonno, ma qualcosa distolse i suoi pensieri. Incuriosita dal fruscio appena percepito, uscì di casa, anche se con timore, e vide che un alito di vento stava catturando le foglie secche ormai cadute, che avevano sopportato la primavera e l’estate. Il cielo aveva qualcosa di strano, ma nello stesso tempo era meraviglioso. Le nuvole erano bianchissime e pure come la neve; tutte bombate e soffici, sembravano l’abito di una sposa. Le tonalità dell’atmosfera variavano da colori candidi ad altri sgargianti e forti. Nell’aria si spargeva un profumo intenso di caldarroste e a Izga vennero in mente i tempi felici trascorsi con suo marito.
La principessa viveva in un castello imponente accanto al fiume.
Aveva tutto ciò che una donna potrebbe desiderare, ma le mancava la cosa più importante: l’amore.
Suo marito era morto in guerra e da quel giorno il tempo per lei si era fermato; non esistevano più la notte e il giorno, il sole e la pioggia. Dentro il suo cuore albergavano solo sentimenti di amarezza e di rimpianto per tutto ciò che aveva perduto. Per colmare il vuoto della sua solitudine, trascorreva le notti in compagnia di molti cavalieri per poi mandarli via, poiché nessuno riusciva ad amarla come l’aveva amata suo marito. Grazie alla sua sensualità e alla sua bellezza, catturava come prede molti giovani, poiché nessuno poteva resistere al suo amore. Organizzava feste sfarzose nelle quali venivano serviti cibi e bevande di vario genere, e per l’occasione, le piaceva indossare abiti lussuosi di raso, di seta e di merletti preziosi .
Vi erano suonatori, danzatori e spettacoli di ogni tipo ma nulla la consolava, poiché il pensiero di suo marito non l’abbandonava mai.
Il ricordo delle corse che facevano felici intorno al castello e i grandi galà, che meravigliavano le persone del tempo, turbavano incessantemente i suoi sogni.
Alla fine di ogni festa, Izga invitava i giovani nella sua deliziosa camera da letto, addobbata con un telo rosso appeso alle pareti e con un gran letto ricoperto con lenzuola bianche, interamente ricamate.
La camera era arricchita da un grande tappeto molto pregiato, che aveva comprato insieme a suo marito durante un viaggio.
“Io sono la principessa Izga
dell’Ilstein, vieni nel mio castello,
felice là sarai. Nelle mie bianche
braccia, sopra il mio bianco
petto, posar devi e sognare
d’ogni folla il diletto”.
Così cantava… Una mattina, dopo aver congedato il cavaliere con il quale aveva trascorso la notte, si sentì profondamente triste, e, ripensando al suo povero marito, decise di trovare una soluzione al suo dolore.
Nell’aria c’era un’atmosfera magica; nel cielo si delineavano ampi spazi che, quasi argentei vicino al suolo, diventavano, via via che si saliva, di un colore tra il celeste e un azzurro intenso, mentre una forza sovrumana faceva apparire a tratti miriadi di brillantini, simili a confetti dai mille colori.
Quel momento fu rapido, ma sublime e surreale.
Izga si affacciò alla finestra, agguantò un coltello e nella magica frenesia di quel momento si uccise.
– Così sarò per sempre con mio marito, – sussurrò sul suolo gelido, su quel tappeto intriso di ricordi e piano piano si spense per amore.
La poesia è lo strumento con cui il poeta ci fa immedesimare nei suoi pensieri e ci spinge a fantasticare.
Ilse
Io son la principessa
Ilse, dell’Ilsestein;
vieni nel mio castello,
felice là sarai.
Voglio il tuo capo aspergere
con le mie fonti pure;
i tuoi dolor disperdere,
o uom di troppe cure.
Nelle mie bianche braccia,
sopra il mio bianco petto,
posar devi e sognare
d’ogni fola il diletto.
Baciarti e amarti voglio
Con quello stesso ardore
Come Enrico ho baciato,
il morto imperatore.
E stiano morti i morti,
e sol vive il vivente;
io sono bella e florida,
freme il mio cuor ridente.
Scendi nel mio castello
di vetro; cavalieri
e fanciulle ivi danzano
tra uno stuol di scudieri.
E frusciano gli strascichi,
tintinnano gli sproni,
e i nani tambureggiano
tra lieti canti e suoni.
Ti avvincerà il mio braccio,
che a Enrico si posò
Sopra l’orecchio quando,
fuor la tromba suonò.
Questa poesia, tratta dal Libro dei Canti di Heinrich Heine (poeta tedesco 1797-1856), parla di una principessa; “Ilse” è il suo nome, ma in realtà è un fiume, che illude i suoi amanti invitandoli al suo castello e promettendo loro amore e felicità che mai darà. Sono presenti in essa elementi fantastici, fiabeschi e gotici.
Il castello è un elemento gotico-fiabesco che insieme al tema della morte contorna la poesia di una magica e lugubre atmosfera. Soggetti fantastici sono i nani e le streghe, che con i loro incantesimi inducono ad azioni irreali gli esseri umani.
Abitano il castello scudieri, cavalieri e dame, che danno una nota di allegria ma forte è il tema: amore–morte. Ilse attira e cattura con il suo bell’aspetto baldi giovani e, dopo una notte d’amore, li lascia perché in cuor suo vive ancora l’unica persona che ha veramente amato: il re Furici I, morto tra le sue braccia.
Il tema amore-morte della poesia e i quadri di seguito riportati mi hanno suggerito il racconto che vi abbiamo proposto:
Francesco Podesti, I novellatori del Decameron, 1851ca; olio su tela. Treviso, Museo Civico
Vincenzo Cabianca, I novellieri fiorentini del secolo XIV, 1860; olio su tela. Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti
Jean-Honorè Fragonard, Il bacio furtivo, 1788 c.; olio su tela, m 0,45 x 0,55. San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage
John Everett Millais, Ofelia, 1852; olio su tela, cm 76 x 112. Londra, Tate Gallery
Ambra Banelli
Suicidio per amore fa parte della sezione “Racconti introspettivi per immagini” presente nel libro Sapere per Creare a cura di Anna Lanzetta (Morgana Edizioni, 2008)