Nota dell'autrice: Durante questa intervista, un membro in servizio del corpo paramilitare iraniano Basiji ha narrato del suo ruolo nel sopprimere le manifestazioni di protesta delle scorse settimane. L'uomo ha anche raccontato nel dettaglio gli aspetti dei suoi compiti precedenti nella milizia, compresa la sua partecipazione agli stupri di minorenni iraniane prima dell'esecuzione della loro condanna a morte. L'intervista si è data in condizioni di anonimato. Per le stesse ragioni di sicurezza, il nome della terza persona che l'ha favorita non può essere rivelato.
*
Fondata dall'ayatollah Ruhollah Khomeini nel 1979 come “milizia del popolo”, il gruppo di volontari chiamato Basiji è subordinato alle Guardie della rivoluzione e fortemente leale al successore di Khomeini, Khamenei.
L'intervistato, che è sposato con figli, ha parlato subito dopo il suo rilascio dalla prigione. Era detenuto per aver commesso il “crimine” di aver lasciato andare due ragazzini, un maschio di tredici anni ed una femmina di 15, che erano stati arrestati durante una delle dimostrazioni di protesta seguite alle elezioni presidenziali dello scorso giugno.
«Ci sono stati molti altri, poliziotti o membri di forze di sicurezza, arrestati perché avevano mostrato clemenza verso i manifestanti in strada, o perché li avevano lasciati andare senza il consenso dei loro superiori», dice il volontario. Il suo biasimo per la tremenda violenza impiegata dagli apparati di sicurezza iraniani contro i dimostranti va a quelle che chiama “forze di sicurezza importate”: «Hanno reclutato nei piccoli villaggi anche ragazzi di quattordici o quindici anni, ed hanno dato loro talmente tanto potere che questi ragazzini, mi dispiace dirlo, ne hanno davvero abusato. Fanno quel che gli pare. Forzano le persone a svuotare i portafogli, prendono quel che vogliono dai negozi senza pagare, molestano le ragazze, che sono cosi' terrorizzate da non riuscire neanche a muoversi». Questi giovani ed altri vigilantes volontari, ha aggiunto, hanno commesso la maggior parte dei loro crimini in nome del regime.
Quando gli ho chiesto del suo ruolo nella brutale repressione dei manifestanti, e se rimpiangeva qualcosa che aveva fatto, ha risposto evasivamente: «Non ho aggredito nessuno di loro, ma anche se l'avessi fatto è mio dovere eseguire gli ordini. Non ho rimpianti, eccetto che per il periodo in cui ho lavorato come guardia carceraria, durante la mia giovinezza».
Alla domanda sul perché si fosse unito ai volontari del gruppo Basiji, ha replicato: «Quando avevo 16 anni, mia madre mi porto' ad una stazione Basiji e li supplicò di prendermi con loro, perché nel mio futuro non c'era niente. Mio padre era stato un martire della guerra in Iraq, e lei non voleva che io mi dessi alle droghe o che diventassi un criminale di strada.
Non ho avuto scelta».
*
L'uomo si guadagnò presto la stima dei propri superiori, tanto che a 18 anni gli fu conferito l'“onore” di sposare temporaneamente le ragazze detenute prima della loro esecuzione. Nella Repubblica islamica, ha spiegato, è proibito eseguire una condanna a morte su una vergine. Perciò, la notte prima dell'esecuzione si tiene per lei una cerimonia “matrimoniale”, dopo la quale è costretta ad avere rapporti sessuali con la guardia carceraria che è diventata il suo temporaneo “marito”.
«Per questo provo rammarico», ha detto l'uomo, «anche se i matrimoni erano legali».
Perché il rammarico, se i matrimoni erano “legali”? «Perché», ha continuato, «potevo vedere che le ragazze erano più spaventate dalla loro notte di nozze che dall'esecuzione che le aspettava al mattino. E resistevano sempre, per cui si doveva metter loro un po' di sonnifero nel cibo. Al mattino avevano tutte un'espressione vuota. Sembrava quasi che fossero pronte a morire o che lo desiderassero. Ricordo come piangevano ed urlavano quando (lo stupro - nda) era terminato. Non dimenticherò mai come una di loro, appena finito, prese ad incidersi il volto e il collo con le unghie: si praticò profonde ferite dappertutto».
*
Ritornando agli eventi delle ultime settimane, ed alla sua decisione di lasciare liberi i due ragazzini, il volontario ha detto che “onestamente” non sa perché l'ha fatto, anche se la decisione ha condotto al suo arresto: «Forse è stato perché erano così giovani. Sembravano bambini, ed io sapevo cosa sarebbe accaduto loro se non fossero stati rilasciati». Ha aggiunto che un maschio è ritenuto responsabile delle sue azioni dopo i 13 anni, ma che una femmina è responsabile già a nove, per cui è stato il rilascio della fanciulla a metterlo veramente nei guai. «Però non sono stato maltrattato. Non mi hanno neppure interrogato sul serio. Mi hanno messo in una piccola stanza e mi hanno lasciato lì. Era duro essere isolato, così ho passato la maggior parte del tempo pregando e pensando a mia moglie e ai miei figli».
Sabina Amidi
(dal Jerusalem Post del 19 luglio 2009, traduzione di Maria G. Di Rienzo,
diffusa in Notizie minime della nonviolenza in cammino, 31 luglio 2009)