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Alejandro Torreguitart Ruiz. Risparmio o morte!
27 Luglio 2009
 

Cambiano i tempi, si modificano gli slogan. Risparmio o morte! mi piace, certo si adatta meglio alla nostra situazione di Patria o morte!, ché ora come ora chi cazzo ci pensa più alla patria?

Babbo no, però. Lui è della vecchia guardia. A lui piaceva di più il patriottismo, quel maledetto nemico yankee da combattere, l’embargo sempre più duro e la sindrome dell’assedio, i vermi che se ne vanno, le scorie da eliminare… Cosa ci volete fare? Lui è un romantico della Rivoluzione, ha partecipato a tutti gli atti di ripudio, fa le marce, segue le riunioni del CDR, va a votare ogni volta che lo chiamano e sulla scheda scrive sempre il nome che gli dicono. Adesso è un po’ di tempo che gli girano le palle, dice che noi giovani siamo disfattisti, vogliamo distruggere il lavoro fatto in cinquant’anni di Rivoluzione. Ha saputo che ci sono persone che pubblicano critiche controrivoluzionarie su internet ed è uscito di melone. Io mica gli ho detto che sono amico di Yoani Sánchez - pure se su internet non ci scrivo, preferisco la carta - mica lo voglio far morire d’infarto povero babbo che ci crede ancora a questa comica Rivoluzione, forse perché pure lui l’ha fatta e gli costerebbe ammetterne il fallimento. In ogni caso oggi siamo tutti davanti alla televisione, ché Holguin è lontano, mica ci si può andare, dall’Avana ci vogliono almeno cinque ore, se si trova un mezzo pubblico che non si rompe e se c’è abbastanza benzina. E poi, detto tra noi, chi avrebbe voglia di andare a sentir parlare Speedy Gonzales. Passi Fidel quand’era nei suoi cenci, ma il topastro non lo reggo proprio.

Accendi la televisione – fa mio padre.

La mamma molla sul tavolo fagioli e riso da pulire per cena, sospira rassegnata e ubbidisce come sempre.

Comincia la messa? – ironizzo.

Un po’ di rispetto per chi pensa al nostro futuro – dice lui.

Se vedessi un futuro potrei credere che qualcuno ci sta pensando.

Mamma sorride dietro la grande pentola dove prepara il congrís.

Babbo non risponde. Adesso è tutto preso dallo sventolio di bandiere bianche e rosse in una piazza gremita di magliette e persone bruciate dal sole. Il vecchio spera nel miracolo della politica che affronta i problemi della gente. Niente di più improbabile.

È un discorso importante… – mormora.

Si festeggia una sconfitta. Cosa può venir fuori d’importante?

Fidel era un grande. Una follia come l’assalto alla Caserma Moncada che costò la vita a tanti giovani cubani trasformata in festa nazionale, la celebrazione di un evento, il primo atto armato della Rivoluzione. Altri avrebbero voluto soltanto dimenticare un giorno così infausto. Lui no. Lui trasformava in oro tutto quello che toccava. Speedy Gonzales al massimo gli riesce con il formaggio. Adesso ha buttato fuori un sacco di gente dal governo, dice che facevano i festini col nemico e s’erano dati ai lussi borghesi. Perez Roque non mi piaceva nemmeno quando rideva, ma Carlos Lage pareva un tipo a posto. Vai a sapere dov’è la verità e le cose che combinano in certi posti. Ma ora zitti che è arrivato lui, questa volta non parla Francisco Soberon e neppure un ministro qualsiasi, no, questa volta ascoltiamo il generale in persona.

Sono sicuro che nessuno di voi mi può vedere, caso mai vedrete un’ombra. Ecco, quell’ombra sono io –, dice.

Cazzo se è un grande il vecchio Speedy. Lui è sempre stato un’ombra. Non ha mai brillato di luce propria. Ora la mette in battuta, parla di un effetto controluce che mostra una sagoma scura, ma centra il bersaglio.

Niente latte per tutti. Niente olivo per il nemico. Niente di niente, babbo. Sono cazzi da cacare. Solo risparmio o morte!

Disfattista. Sei un maledetto disfattista. Tu e i tuoi amici che scrivono su internet.

Io scrivo in Italia, babbo. E mangiamo anche con quello…

Mamma sorride. Si vede che approva, ma non può contraddire il vecchio. Ha messo riso e fagioli sul fuoco.

Ne abbiamo ancora per molto? – chiede.

No, mamma. Lui è di poche parole. Mica è come il fratello…

Non contano le parole. Servono i fatti – dice mio padre.

Sono sempre mancati. E adesso non ci sono nemmeno le parole.

Mio padre mi fulmina con lo sguardo. Spenge la televisione. Cerca di non darlo a vedere, ma si capisce che è deluso. Il discorso dell’ombra mica gli è piaciuto. Si aspettava grandi cose e ha dovuto accontentarsi della solita retorica. E intanto il tempo passa, il crepuscolo si avvicina, questa gente al potere resta nell’ombra, ma non si eclissa. Tutto il resto è la solita vita di sempre.


Alejandro Torreguitart Ruiz

L’Avana, 26 luglio 2009

Traduzione di Gordiano Lupi


 
 
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