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Archeologia editoriale. Angelo Maria Ripellino: Scontraffatte chimere (Pellicanolibri, 1987) 7
Angelo Maria Ripellino (1923 - 1978)
Angelo Maria Ripellino (1923 - 1978) 
23 Luglio 2009
 

segue RETROSPETTIVA



La barchetta è un cristallo


La barchetta è un cristallo, e il suo nemico

è il cielo febbricoso tutto nuvole:

se il cielo spande squamette di mica,

la barca esplode in un mucchio di piume.


Anch’io sono invischiato in quel racconto,

e non voglio restare sui suoi margini.

Anch’io sfoglio le pagine del mondo,

come porte che stridano sui cardini.


Anch’io mi appassiono alle macchie di Marte,

oggi la lirica è anch’essa una spècola.

Adoro i tuoi colori, le tue carte,

le tue invenzioni, ventesimo secolo.


Ma non starò come un cane sapiente

a misurare l’altezza dei nani,

e non aspetterò grame prebende

dalla cassa di grassi ciarlatani.


Lo so, più volte mi cadranno addosso

armadi a specchi, muffite dentiere,

ma nessuno dirà che sono un fossile,

dissepolto da stolide macerie.


Come sporche marsine-pipistrelli,

le ombre malate cadano sull’acqua.

Le primavere, le brinate, i geli

splendano sul cristallo della barca.



*


Sempre, per le creature che s’illudono,

l’organo romba in un giorno di luce,

sfavillando di angeli, ma poi

quante menzogne e colori malati,

quante piogge di pece, quanta morte

porta l’amore che parve felice.

Per anni tu vedi in un dolce binocolo

betulle, genziane, specchietti fioriti,

e ad un tratto il sipario si spalanca

su un paesaggio di rami stecchiti.

Quanti archi di trionfo e orologi con musica,

quante false candele, quanti emblemi:

e tutto è soltanto uno schermo

che copre paesaggi di rami stecchiti.

Per anni tu credi a una fulgida fiaba,

tessuta dagli aghi dell’organo in giorni felici,

e ad un tratto t’accorgi che la favola

è un povero armadio di stracci, una vile fanghiglia

uno spauracchio gelido che uccide

le ultime tue speranze, la tua brama

di splendere e sorridere.




Su una macchina inutile

(costruita da un pittore)


Sulle braccia stecchite del tuo meccanismo

si posano stelle e giallastri volatili,

e i fiocchi di carta compongono un prisma

di nevicanti colori, un cielo di coriandoli.


Sospesa in aria con alette di freccia,

tibie di pennelli, sangue di trementina,

la tua macchina becca, scavando una breccia

nel vetro d’un paradiso in rovina.


Figlia di Klee, bislacca slogatura

di barchette, di piume, di rami spinosi,

durissimo ghiaccio, ondeggiante armatura

di nastri sfacciati, arlecchino legnoso:


solenne e furba come un gatto sacro,

altalena d'Astolfo, ippogrifo-meccano,

innàlzati con travolgente spettacolo,

balzando fuori dell’angustia umana.



*


La mia Seicento è un cristallo danzante,

una barchetta perduta tra file di pini.

Ed io temo che al di là del dosso,

dietro un sipario di pioggia verdognola,

spunti d’improvviso ad inghiottirla

una montagna luccicante d’organi.

Già sento nel vento la musica grave,

che schiocca e sbuffa come una vela,

già vedo negli specchi delle rane

il riverbero d’una grande tastiera.

Branchi di nubi giallastre e affilate,

simili a stormi di pesci volanti,

guizzano in fretta verso la montagna,

che sfavilla come una cattedrale.

E in questo scintillío la mia Seicento

sparirà barcollando, minuscola nave

che Dio fa dondolare nel suo palmo.



*


Le perle della notte risplendono sul cielo di zaffiro,

file di scarpe riposano sulla ribalta dei davanzali.

Sento il lamento dei tacchi, il singhiozzo dei lacci,

mentre le signore in bigodini rimboccano il lenzuolo.

Scarpe infangate si coprono il viso,

scarpe sfondate nascondono gli occhi,

scarpe slabbrate sbattono le palpebre:

hanno vergogna dinanzi alle stelle.

Curve sulle suole, si rannicchiano,

mentre le signore in bigodini

con minuscole spugne butterate

cancellano le nuvole e i sentieri

dai piumosi paesaggi delle guance.

Le scarpe scalcagnate hanno vergogna

dinanzi al maestoso rigoglio stellare,

dinanzi ai laghi di gemme celesti.

E con un lungo sospiro ripensano

al dolce luccichío delle vetrine

in cui, navigando fra quinte di specchi,

come agnelli di cera pasquale

issavano la bandierina del prezzo.

Presto o tardi le donne-bigodini,

ora incollate al miele dei guanciali,

le getteranno in un ruvido sacco,

comprando altre barche di cuoio.

Presto o tardi anche queste con invidia

guarderanno, cariche di rughe,

lo sfavillío insolente delle stelle

sui laghi di zaffiro.



*


Attorno alle ruote fiammanti e scoscese del treno

un mare di papaveri si gonfia e gorgheggia

sulla pancia cretosa della terra.

Che gioia per gli occhi guardare la rossa pianura

che il sole punzecchia con spilli di luce,

la distesa di fuoco, il brulicante diavolio

di corolle che urlano come anime di peccatori.

Dentro azzurre voliere, con palpito di piume,

i papaveri muovono un ballo stizzoso e accigliata

finché il sole li nutre, e con creste di galli

beccano l’aria malata del torpido maggio.

Ma, ahimè, quando il sole si stanca del giuoco

e con gesto senile sprofonda in cuscini di nuvole:

il rosso sgargiante dissolve in violacea tristezza

come un raglio violento in mestissima nenia,

e con ispidi peli, con steli tremanti

s'incurvano in flusso e riflusso, perduti, i papaveri,

simili a macabra folla di emblemi di morte.



Fuga


Fermo dinanzi alla chiesa,

nel dolce sole domenicale

un albero di palloncini copre

due mani grandi come le mani di Lazzaro:

per ordine di angeli-finanzieri

il bimbo ne avrà in dono

uno rosso e baffuto,

simile a Pietro il Grande.


Nella pausa che corre tra l’adagio e l’allegro,

fugge il mito di gomma,

stridendo come corda di violino

(ahimè, che buffa è l’orchestra)

e addio, come a una lettera impostata.

Ma quali mani ti riceveranno

dietro le quinte dell’aria?



*


Freddissima notte. Con fiamma violacea

i tranvieri saldano i binari.

Lampade scialbe vacillano al vento,

la luna acquosa nuota alla deriva

per labirinti di lame e di specchi.

I frantumi del mondo intirizzito

graffiano come schegge di cristallo

le nostre mani arrossate dal gelo.

Fra le immense distese della vita

l’anima stanotte abbrividisce,

cullata dalle ali di piccole luci,

nere come semi di papavero.

Nella scatola magica del tempo,

su un fondale di nebbia alabastrina,

danzando fra quinte di ghiaccio

con stivaletti di feltro, balugina

una perfida e dolce ballerina,

la nostra ormai perduta giovinezza.




Weissensee


Da specchi spettrali spuntano i giunchi,

spezzati e sommersi dall’acquivento:

fragili steli con occhi malati,

su cui piangono tremuli uccelli.

Dal verde lucente del centro del lago

dardeggiano strisce di verde biancastro,

stelle filanti lattiginose

sprizzano da gorghi di smeraldo,

per morire sui margini, ove il sorbo

risplende di rosse perline

infilate con aghi di pioggia.


Con grandi archi, con pialle, con tràccole

intere famiglie di rane,

aggrappate alle travi del ponte,

intrecciano un chioccio concerto scricchiante,

cullando il lago come una dóndola

sospesa nel vuoto spazio

della nerissima notte.



*


La luna ha un giallo viso di calmucco.

Il mio cuore è ferito. Sono stanco

delle parole bardate, dei trucchi,

delle lusinghe imbrattate di fango.


Come un'anguria pesa la mia testa,

una terribile luce vi splende,

ma gli uomini meschini sono asbesto,

che la poesia non riuscirà ad accendere.


Come un inerme capriolo sperduto

fra le implacabili mura di Tebe,

sempre il poeta s’invischia nel glutine

di queste seppie che schizzano nebbia.


Rubano ai versi figure e cadenze,

pestando, come cavalli di piombo, la vita.

Aridi, tirano in giuoco la scienza,

dal loro squittire il mio cuore è ferito.


La luna ha un giallo viso di calmucco,

lascia sul mondo una bavosa stria:

da questa gente di stoppa e di stucco

potrà salvarmi solo la poesia.



--------


INDICE

1 (01 Aprile 2009)

Prefazione di G. Spagnoletti


2 (11 Aprile 2009)

Di me, delle mie sinfoniette


Ultime

Stop

Non era questo il mio poeta

Da quando Dio mi ha abbandonato

Questi detriti di un grande giuoco

Il vecchio, il giovane e le mele di Merano


3 (04 Maggio 2009)

E domani?

Molti leggono ancora «Mein Kampf»

Mi sono scelto una sposa

Scalpiccìo di cavalli di piombo

Di glicini lilla si inonda la vita

La vecchina

Verrai ogni tanto a visitarmi sottoterra

Il mio corpo era un groviglio di piaghe

Verde pastello con zafferano

Racconto


4 (18 maggio 2009)

Osservazioni

Giro con la mia valigia piena di stracci

Dopo il passaggio dei treni

Anche la morte di un insetto

Mandar telegrammi di protesta

Sono arrivati gli antropidi, i paraumani

Il re delle aringhe la notte

Spaurito come Kafka

Rerich veniva da Rjurik

Piatto di piombo striato

Non si può fuggire

Sarò un soprammobile

Una noia agghindata mi governa

Burlina mia, vai alla mostra dei cani

È un servo rozzo di dolore

Vi sono mesi in cui

Sono il tuo accendino

Risata nera di pistola

Ti porterò un gallo

Correre da pagliaccio

I bambini mi guardano

Sono un caffè di provincia, coperto di mosche


5 (01 giugno 2009)

A proposito di «Autunnale Barocco»

Salamandre azzurrine guizzano dal boccale

La testa si perda, d’accordo, ma almeno

Una ragazza di nome Gemona

Questa musica mi entra nelle ossa

Pupazzi di pasta di mandorle e di cannamele

Non si accorgeranno nemmeno

Sai che significa essere bruciati

Come rassegnarsi al termine della morte

Il buon tempo antico era una grossa mela

(alla maniera di Blok)

Saskia non vuole che io muoia

Poesia, sii sana e feconda


6 (01 luglio 2009)

Retrospettiva

L’ombrello

Il pellicano becca il suo petto

Ho pena del fiume Sill

Lucerna piena di fantasmi, il mondo

Ciascuno taglia e ricuce la propria vita

Sul lago, contemplando monsieur Delamour

Tubi di pantaloni, scarpacce muffite

Quand’è pronto il vestito di gala

Vi fu un tempo in cui per le pianure

Dunque il dissidio fra padri e figli...

In ogni goccia di tinta è il presagio


7 (questo post)

La barchetta è un cristallo

Sempre, per le creature che s’illudono

Su una macchina inutile (costruita da un pittore)

La mia Seicento è un cristallo danzante

Le perle della notte risplendono sul cielo di zaffiro

Attorno alle ruote fiammanti e scoscese del treno

Fuga

Freddissima notte. Con fiamma violacea

Wiessensee

La luna ha un giallo viso di calmucco


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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