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Maria G. Di Rienzo. Al Presidente della Repubblica
08 Luglio 2009
 

Egregio signor Presidente della Repubblica,

ricorda il suo primo discorso alle Camere dopo l'elezione alla massima carica del nostro paese? Io lo ascoltai alla radio, e non l'ho dimenticato.

Da tempo prendo tutto quello che i politici dicono con le pinze, e non ci conto mai più del necessario, però nelle sue parole c'era qualcosa che mi dava una piccola speranza. Mi sembrò, allora, che in quel che lei disse ci fosse un poco d'amore. Una nazione non è mai solo un'estensione di territorio delimitata da confini geografici e politici, una nazione è tale perché composta da individui umani legati da una storia comune e da un patto di cittadinanza: poiché pare che il nostro Presidente sappia questo, mi dissi, e che per quegli individui provi interesse e persino affetto, il nostro futuro potrebbe essere meno difficile.

Purtroppo non è andata così, signor Presidente, ed io oggi le scrivo con un sentimento prossimo alla disperazione. Quel che ha avuto culmine nel varo di leggi razziali in Italia è una costruzione in corso da anni, un lavoro continuo e martellante che ha trasformato il nostro paese in una tragica barzelletta. È possibile che tutto quel che ci viene dal suo ufficio, Presidente, sia l'invito ad “abbassare i toni”? Lo chiede a noi, che resistiamo al degrado e alla violenza, perché i discorsi siano adeguati al livello a cui è sceso questo paese? Ammetto che si trova molto in basso, qualunque sia la scala etica su cui vogliamo misurarlo. È un paese in cui i politici condannati o inquisiti cancellano i loro reati e i loro processi per decreto. È un paese in cui ad un'informazione già non libera si è messo di recente un ulteriore bavaglio. È un paese in cui è al vaglio una proposta di legge che garantirebbe il “diritto all'oblio”: e cioè, che noi cittadine e cittadini non si debba più neppure sapere i trascorsi penali di chi ci governa. È un paese in cui se i voli di stato sono usati per trasportare “giullari e ballerine”, si legifera subito per coprire detti voli col “segreto di stato”. È un paese che ha creato mezzo milione di cittadini fuori legge, quelli provenienti da altri paesi, con il cosiddetto “decreto sicurezza”. È un paese che ha umiliato le sue forze dell'ordine non garantendo loro mezzi e organico, ma costringendole a subire l'istituzione di forze paramilitari parallele (le sedicenti “ronde di cittadini”): i poliziotti hanno dovuto scortare questi probi viri durante i loro inutili pattugliamenti, signor Presidente, e persino hanno dovuto sedare i tafferugli da loro causati. Lei come si sentirebbe, al loro posto? È un paese che ha distrutto l'indipendenza della sua magistratura, così che noi cittadine e cittadini non si possa più contare sul fatto che “ci sarà pure un giudice a Berlino”. Quel che conta oggi è avere le conoscenze giuste e farsi sponsorizzare dal potente in carica. Non c'è modo di dare il nome di “giustizia” a questo stato di cose, ne converrà, signor Presidente.

Nel suo discorso di insediamento, infine, lei porse il suo tributo alle donne italiane, ricordandone i traguardi e le difficoltà. A suo tempo gliene fui grata. Ma oggi come oggi, le confesso che provo solo frustrazione e disgusto rispetto al trattamento subito dalle donne in Italia, native e migranti. Se gli stupri avvengono durante periodi elettorali, la cosa viene nascosta: a Roma hanno aspettato quaranta ore a dare la notizia di due violenze carnali, una perpetrata e l'altra tentata, perché erano in corso le elezioni europee, e se non fosse stato per un giornalista che aveva avuto le notizie per vie traverse e le aveva postate su internet, il periodo di silenzio sarebbe stato ancora più lungo. I nostri parlamentari stilano elenchi delle deputate più carine o meglio vestite. Il nostro capo di governo traffica in “ragazze immagine” quale “utilizzatore finale”. Signor Presidente, lei legge mai la stampa estera? Io lo faccio regolarmente, ed è per questo che ho saputo (dal Guardian e dal New York Times) che una donna italiana ha prodotto un documentario scioccante dal titolo Il corpo delle donne. Il filmato spazia fra centinaia di ore di tv italiana, dai privati canali del nostro primo cittadino alla televisione di stato, e a detta della sua autrice Lorella Zanardo comporlo «È stata un'esperienza terribile, perché non pensavo avrei visto un tale ammontare di umiliazioni».

Quando non fanno da accessori muti o sono impegnate in balletti pseudosessuali, le donne in tv sono usate come gambe da tavolo, spinte a forza sotto le docce, appese come pezzi di carne in un finto frigorifero e così via. Signor Presidente, la prossima volta in cui leggerà di una banda di ragazzini che violenta la coetanea, di un marito che spara alla moglie, di un ex fidanzato che massacra una donna a botte, tutte situazioni in aumento nel nostro paese, si chieda quanto tali azioni sono state legittimate a priori, e da chi. Non è questo il momento di parlare sottovoce, mi creda. Se mai l'amore che avevo creduto di sentire nelle sue parole è stato vero, questo è il momento per lei di alzarla, la voce. Se non altro, noi che urliamo dai tetti ci sentiremo meno sole e meno soli.

Con il massimo rispetto,

 

Maria G. Di Rienzo, Treviso

(da Voci e volti della nonviolenza, 7 luglio 2009)


 
 
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