Perché Claudio Di Scalzo si ricreda. In data 24 giugno 2009, in quel di Mestre (Venezia), ho partecipato alla serata di letture poetiche, chiamata a mio avviso con un terribile anglicismo poetry slam (da estimatore di Dante preferirei sempre la purezza del nostro idioma), ricavandone una piacevole impressione. Ho tifato per Sara Pozzato perché sa anche il latino e conosce le cantate di Bach. Con questa mail invito il Direttore di Tellusfolio a ricredersi dal suo giudizio (“Su Poetry Slam. Facciamo della poesia la più bella puttana (escòrt) che ci sia. Prima che sia mòrt”, Calamaro Gigante, 29/06/2009, ndr) che svelle, assieme alle radici della spelta, quelle proficue dell'erba buona del linguaggio poetico nella sua attualità.
Distinti saluti,
Bruno Prosdocimi
P.s.: allego, e. g., due video estratti da youtube.
DUE POESIE DI SARA POZZATO
*
Attraverso il bicchiere ti guardavo,
e la tua bocca di rimando sorrideva.
Non ricordo dove né quando:
era forse uno di quei frammenti scollati
dal giorno, liberi e rari,
che si cercano per una vita
dentro i labili incastri del caso.
Chissà di che parlavamo,
quali erano i nostri vestiti, i nostri nomi.
Solo, in un attimo capivo,
dietro a quel vetro che vibravo nell’aria
come a prendere tempo,
cercando un appiglio,
che nei tuoi occhi in fondo sconosciuti
si condensavano gli anni, i gesti, i respiri.
In quell’attimo senza contorni
tutta mi annullavo in un punto
e poi rinascevo più forte, più fragile,
accettando felice di contraddire una vita,
lì, seduta a un tavolo stretto
nella minuscola piazza
di non so più che città.
ESTATI
Giorni di mesi bugiardi
segnava un calendario d’inganni,
maestro di strane grammatiche.
E io ci credevo, bambina,
e studiavo soltanto l’infinito futuro.
Calpesto quegli aghi, dopo trent’anni,
qui, nella stessa pineta,
e guardo al passato, soltanto remoto.
Ricordo, riascolto
lo sbattere dei miei secchielli,
dei tuoi tacchi sull’asfalto sabbioso.
Risento, riannuso
l’odore di crema dolcissimo
e i consommé della sera,
calda malinconia di pensione completa.
Quante promesse ti feci, nonna,
quando scartai quel regalo
cui ti costrinsi, con occhi imploranti:
due braccioli colorati di rosa
e la tartaruga per salvagente.
“Li userò poco, quel tanto che basta
a fare amicizia col mare”.
Oggi, fra i miei libri pesanti,
di grammatiche serie e antiche sintassi,
ancora mi perdo, intenta a cercare
quella nostra declinazione
d’affetti, di speranze, di plurali,
di una vita ai primi passi:
è l’unica tavola cui aggrapparmi,
perché io, nonna,
non ho ancora imparato a nuotare.
Da Declinazione d’affetti, Lieto Colle, giugno 2009
www.youtube.com:80/watch?v=Ol6r-HRySmE
www.youtube.com:80/watch?v=_U5mlKNBznU&feature=player_embedded