Ho sempre amato, durante i miei numerosi spostamenti in auto, guardare i cartelloni pubblicitari che in genere sono messi ai bordi delle strade, proprio in direzione dello sguardo.
Fin da bambino infatti, si rischia di venir sommersi ed attratti da numerose di queste pubblicità; uno degli shock che infatti mi porto dietro fin da quando ero poco più che adolescente fu quello provocatomi da un cartellone affisso ai bordi della piazza più grande del mio quartiere, il suo slogan recitava: «Arna e sei subito alfista».
Chi di voi ha memoria lunga infatti ricorderà che di quel modello si persero ben presto le tracce ma i danni provocati da quella pubblicità furono notevoli. Io personalmente, ad esempio, da allora detesto tutti i modelli di quella casa automobilistica.
Nonostante ciò, nel corso degli anni ho sempre continuato ad amare la visione pubblicitaria di questi cartelli; all’interno di essi infatti ho imparato a studiare l’evoluzione di una società, intuirne i gusti, le abitudini e capire come gli stessi venissero indirizzati.
Uno degli ultimi cartelli che hanno attratto la mia attenzione è di recente affissione; era aprile, le elezioni europee alle porte e la conseguente campagna elettorale imminente.
Cartelli giganteschi, 3mt per 6mt, affissi in ogni dove tappezzavano le pareti di qualunque muro; non si è tirato indietro nessuno come in una sorta di gara a chi ce l’aveva più grande e a chi, soprattutto, la diceva più grande.
Bello senza dubbio era quello che su sfondo bianco con scritta corsiva recitava: «Smettetela di litigare» ed in basso a destra la firma stilizzata di Casini.
Quelli a cui però diedi la palma del vincitore furono una serie di cartelloni giganti, costruiti nella seguente maniera: un gruppo di ragazzi che trascinavano una parola dall’evidente messaggio positivo all’interno del manifesto ed altri ragazzi subito sotto che ne trascinavano un’altra dall’ovvio segno negativo, dal centro verso l’esterno con alcune lettere di questa parola già fuori quadro. In basso a destra, il simbolo del partito, il PD.
È così che senza dubbio alcuno feci vincere il premio a questo genere di pubblicità decisamente diretta, chiara, per niente allusiva e particolarmente a quella dove all’interno del cartello veniva trascinata a forza la parola «Lavoro» e buttata fuori a spinta la parola «Precariato».
La pubblicità a mio avviso deve far riflettere, non deve farci comportare da automi, io personalmente mi pongo in questa maniera di fronte ad essa. Feci così anche con la pubblicità a cui affibbiai il primo premio.
Non si sa infatti o molti comunque non sanno che per tenere in piedi, in vita un partito politico, non servono soltanto i militanti, i consiglieri circoscrizionali, comunali e regionali, i segretari o coordinatori come si chiamano ora ma occorrono anche un nutrito gruppo di dipendenti che va sotto il nome di segreteria tecnica.
All’interno di essi ci sono spesso dei ragazzi, provenienti per lo più dall’ambito della militanza, poco più che trentenni e che cominciano ad affacciarsi per la prima volta nel mondo del lavoro.
Certo un lavoro un po’ particolare, a diretto contatto con la politica, i politici, i giochi di corrente, gossip e presunti tali.
Tutto ti aspetteresti da un partito politico che ha appena concluso la propria campagna elettorale buttando fuori dai propri cartelli pubblicitari la parola precariato, tranne che vedere quei dipendenti inquadrati nella segreteria tecnica, essere assunti a contratto a tempo determinato, ad un anno nella migliore delle ipotesi.
Tutto regolare per carità, però giocando sulla militanza dei propri aderenti trasformati in dipendenti, si rischia quantomeno di peccare d’ipocrisia con quanto affermato non solo nelle pubblicità ma in pompa magna anche nei programmi elettorali.
Questo modo di porsi in maniera così sinceramente ambigua provoca dei grossi danni; infatti dopo qualche anno di continuo ed estenuante rinnovo contrattuale, questi ragazzi che inizialmente sono spinti da spirito di partecipazione, lasciando così da parte ogni diritto, arrivando a lavorare anche per dodici ore al giorno, perdono col passare del tempo, ogni motivazione politica divenendo anch’essi ambiziosi nell’accezione peggiore del termine.
Molti di essi infatti, dopo anni di un precariato di questo tipo, sognano di poter lavorare per lo staff di questo o quel politico che nel frattempo è stato eletto al consiglio comunale o meglio ancora in Parlamento.
Maledetto Morin e a quando dicevi che «rinunciare al migliore dei mondi non vuol dire rinunciare ad un mondo migliore»!
Salvatore Sblando