Cantastorie, menestrello, anche un po' giullare. Emilio Prata è della classe 1929, l'anno in cui Stalin epurava Trotskij, della strage di San Valentino, a Chicago, e del crollo di Wall Street; il 24 luglio, sotto il segno del Leone, nasceva il futuro missionario dell'allegria. Per necessità, sino ai 50 anni, lavoratore in una fonderia di ghisa e nella meccanica pesante, compresa una decade alla Rusconi; per vocazione accanito lettore di Tex Willer e cantautore e umorista. Autodidatta e artigiano della musica, inventore del “Cha Cha Cha della Ghisolfa”, Emilio Prata vanta anche un invidiabile matrimonio – manca un anno al 60° – con una bella e dolce signora di origine istriana che gli ha regalato due figli.
Emilio Prata è un ragazzo della via Gluck. Il papà era venuto da Treviso a Milano, chiamatovi come carpentiere per l'impresa della Stazione Centrale, a due passi dalla famosa strada. Nato in una portineria, come il fratello e la sorella, Emilio a 5 anni d'età già si alzava alle 5:30 del mattino per pulire il marciapiede o per spalare la neve di inverni che ricorda freddissimi, molto più freddi di quelli contemporanei. Il piccolino, lo chiamavano gli amici dell'adolescenza, quando andavano a piedi, o saltando alla cavallina, dal “paese della via Gluck” in Piazza Duomo. Ma Emilio Prata, El Milieto, era già alto 1 metro e 90 centimetri. La risata è potente, l'allegria contagiosa, la voce tonante, la chitarra sempre pronta. Uno stornellista, cantante, interprete, autore di acrostici in note, cabarettista di 80 anni suonati in una maniera splendida. A Quarto Oggiaro, dove vive da tanti anni ormai, lo chiamano, per l'appunto, il missionario dell'allegria.
«Dopo quasi quarant'anni di lavoro in fonderia e da meccanico per macchine utensili» racconta il nostro «ho imbracciato di nuovo la chitarra e mi sono inventata questa vita da suonatore: nelle osterie soprattutto, ma anche negli ospedali, nelle case di riposo, negli asili, ovunque ci sia bisogno di allegria». Il suo Jingle Bells in meneghino è un must.
Una vita lunga e un entusiasmo sempre giovane... «Sono nato in via Gluck al numero 10, ben prima della canzone di Celentano! Una vita da poveri, difficile, ma c'erano amicizia e solidarietà. Ricordo bene anche il calore fra la gente che s'incontrava per strada, e questa comunque è un'abitudine che non ho perso».
La vita di Emilio è trascorsa dalla Milano dei perduti giochi, come la lippa e il Giro d'Italia sui cordoni dei marciapiedi con i tappi a corona, ai barconi sulla Martesana e alle carrozze coi brumisti, passando per le difficoltà della quotidianità di una Quarto Oggiaro che per un certo periodo ricorda assediata da gravissimi problemi – «Non è stato facile: bisognava montare addirittura di guardia per tenere i figli lontani dal pericolo della droga» –, alla più stretta attualità, vedi l'Expo 2015. Nulla sfugge del resto all'acuta osservazione del Milieto.
«Dalla vita non esce vivo nessuno», esclama ridendo e allora stemm su alegher e, anche se Natale è passato... «Gesù bell, Gesù bell/ Gesù bon e bell,/ guarda giò,/ fa' guarì chi sta tanto mal. Sì!/ O Gesù, o Gesù,/ che sei Re dei Re,/ fa che a tocch, propi a tocch/ manca mai el pan.../ Ma che bell, ma che bell/ l'è rivà Natal;/ ma che bell, ma che bell/ l'è nassu el Bambin. Sì!».
Trascinante. «Avanti a oltranza», esplode omerico e gioioso. El Milieto, il missionario dell'allegria: altro che città cupa el sò Milan.
Alberto Figliolia