Amore e poesia ritornano a scambiarsi eternità sulle pagine di Tellus e Tellusfolio. L'intreccio di versi e sentimenti non smette di appassionare, anzi - ne siamo certi - trova oggi più che mai animi disposti all'ascolto e alla lettura. La rubrica riprende, a mia cura, rinnovando anche la consuetudine dell'intervista d'amore poetico, dove l'intervistato sceglierà la poesia del cuore, quella cioè in cui riconosce il suo sé innamorato, che più mette in vibrazione le sue corde nascoste.
Uno spazio di riguardo sarà riservato alla letteratura latina, nella convinzione che le pagine antiche, pur nella loro complessità e talvolta inaccessibilità, abbiano ancora molto da dare anche a noi, frenetici abitanti dell'oggi. Non ospiteremo né impartiremo lezioni metrico-stilistiche: tenendoci a debita distanza da atmosfere troppo accademiche, così come da banalizzanti semplificazioni, proporremo una rilettura di alcuni testi lirici latini, da Catullo a Ovidio ai poeti cosiddetti minori della produzione più tarda, molto spesso ingiustamente negletti. Scoperta o riscoperta che sia, ci auguriamo di stimolare nei lettori spunti d'interesse e curiosità. E grazie al web, che offre mille possibili e impossibili sentieri, non saranno rare le interazioni con la musica, con la pittura, con le arti in generale. Sarà, la nostra, un'amplificazione del concetto stesso di Poesia grazie alla quale continueremo a valicare felicemente i confini delle discipline e delle arti per tracciare un disegno quanto più possibile colorato e vario.
Inauguro la pagina con una scelta particolare, proponendo due brevi poesie di un autore tardo antico, Ausonio, vissuto nella seconda metà del IV secolo d. C. La poesia latina di quel periodo non segue ormai più i rigidi schemi delle età precedenti: forma metrica e contenuto si svincolano l'uno dall'altra e i vari generi e stili si mescolano, portando a pieno compimento una tendenza che già Ovidio aveva inaugurato.
Sono versi teneri, lievi e non privi di raffinatezze, dedicati dal poeta alla sua amata giovane schiava di nome Bissula. Forse anche per una “simpatia” tutta personale, li ho ritenuti adatti a riaprire la rubrica e salutare l'estate appena schiusa.
Bissula
4.
Delicium, blanditiae, ludus, amor, voluptas,
barbara, sed quae Latias vincis alumna pupas,
Bissula, nomen tenerae rusticulum puellae,
horridulum non solitis, sed domino venustum.
Delizia, moina, gioco, amore, piacere,
barbara, ma vincitrice, la piccola mia, su tutte le smorfiose del Lazio,
Bissula, nome un poco sgraziato di delicata fanciulla,
un poco ruvido per chi non è abituato, ma tutta grazia per il suo signore.
5.
AD PICTOREM DE BISSULAE IMAGINE
Bissula nec ceris nec fuco imitabilis ullo
naturale decus fictae non commodat arti.
Sandyx et cerussa, alias simulate puellas:
temperiem hanc vultus nescit manus. Ergo age, pictor,
puniceas confunde rosas et lilia misce,
quique erit ex illis color aëris, ipse sit oris.
AD UN PITTORE, SUL RITRATTO DI BISSULA
Non esiste cera né colore che possa rendere Bissula:
il naturale splendore non si consegna all'artificio.
Vermiglio e bianco, ridisegnate altre fanciulle:
le mani d'artista ignorano l'armonia di tinte su quel viso. Allora forza, pittore,
versa rose di porpora e mescola gigli,
rubane una sfumatura di vento e otterrai il colore del suo volto.
*
Decimo Magno Ausonio (Burdigala/Bordeaux, 310 ca – 393/4 d. C.) compì i suoi studi a Tolosa e a Bordeaux, dove divenne professore di grammatica e retorica. Nel 364 fu chiamato a Treviri, alla corte dall'imperatore Valentiniano I che lo aveva prescelto come maestro dell'erede al trono Graziano. Prima di ritirarsi a vita privata in seguito alla morte di Graziano (383), aveva ricoperto prestigiose cariche pubbliche e un consolato. Ausonio è considerato tra gli autori latini più noti e fecondi della seconda metà del IV secolo d. C. La sua opera più conosciuta s'intitola Mosella, componimento che descrive un viaggio compiuto lungo la Mosa e che si sviluppa nell'elogio della bellezza del fiume e delle meraviglie del paesaggio.
A Bissula, sua giovane schiava germanica, dedicò una raccolta di poemetti in gran parte andati perduti - come del resto quasi tutta la sua intera produzione. Dai pochi giunti fino a noi (il proemio e quattro brevi liriche) s'intuiscono comunque grande spontaneità e delicatezza.
A cura di Sara Pozzato