E se l’Italia unita fosse solo una beffa?
Scorrendo l’indice delle poesie di Vito Riviello, l’occhio cade prima o poi inevitabilmente, su La battaglia di Lissa (1987), su quello scontro navale teatrale e scenografico del 1866, che si svolse nelle acque dell’Adriatico tra austriaci (che poi a volerla dire proprio tutta, erano per la maggior parte veneti) e italiani del nuovo regno “unito”.
Fu in quel 20 luglio che la nostra flotta, nonostante la superiorità numerica e navale e le astute strategie del piano d’attacco, fu pesantemente battuta dal nemico “C’è la sconfitta di Lissa/ in ogni cuore./ Lo scandalo del legno lo smalto celestino/ che copriva il rossore”.
Basti pensare che dopo la battaglia, l'ammiraglio austriaco Tegetthoff dichiarò con scherno: «uomini di ferro su navi di legno avevano sconfitto uomini di legno su navi di ferro».
Ecco, i testi di Vito Riviello sono ricchi di eccitanti spunti e riferimenti storico-letterari, assunti a pretesto per tracciare brillanti analogie o metafore della società odierna, in una formula il più delle volte spiazzante. Viviamo di bell’aspetto, forma e tanta apparenza –sembra dirci il poeta anticonformista del verso- ma poca sostanza, proprio come a Lissa, dove l’Italia schierava una flotta maestosa dai nomi rumorosi e altisonanti.
C’è in questa poesia lo sberleffo, non di una regione, ma di un’Italia intera (di ieri come di oggi) che cambia, che si trasforma e che perde (ma l’avrà mai avuta?) la propria connotazione unitaria e identitaria “Il progetto d’Italia d’una volta/ è finito in bocca al lupo/con un addio cupo”.
La provocazione è forte: “Il territorio nazionale/ è un trattato di geometria”.
Vi si legge tra le righe il miracolo del boom economico che non è altro che cerume da facciata, l’indididualismo sfrenato, un’americanizzazione capillare degli atteggiamenti (abbiamo tutti la faccia di H. Bogard).
Allo sberleffo, come constatazione di fatto e denuncia, si intervallano punte di lirismo davvero alte, che appartengono alla sfera della memoria perduta, fatta di un’esistenza più semplice e sognante, di effettiva sostanza e meno apparenza.
Piace, infine, la chiusa dei versi finali, di un’Italia “gloriosa” beffeggiata e da museo, per ciò che avrebbe potuto essere e non è stata! Per quel processo di unità (inteso come affratellamento, condivisione e solidarietà) mai sentito e mai veramente realizzato.
Eppure, in tutto questo andazzo e falso sollazzo, con un verso dallo stile felicemente gucciniano, Riviello, da buon guascone, entra in scena ribadendo a chi ha buone orecchie ancora da ascoltare: “facciamola finita facciamo l’Italia unita!”.
Maria Pina Ciancio
La battaglia di Lissa
Il progetto d’Italia d’una volta
è finito in bocca al lupo
con un addio cupo.
Nessuno più saluta i treni
prima dell’ultimo dirupo
né i viaggiatori sognano
gli azzurri lampadari
……………………delle case intraviste
C’è la sconfitta di Lissa
…………………………. in ogni cuore
Lo scandalo del legno lo smalto
……………………………….celestino
che copriva il rossore.
……..Il padovano somiglia al Potentino
………………………per tipo d’utopia.
Sognando un’aquila-manifesto
……………………...berla a garganella
……………………….l’acqua minerale
…………………………....nel contesto.
Non vi sono più le sere viola
che ci rendevano miopi per dolcezza
facendoci vedere in primo piano
solo vecchi toscani.
………..Abbiamo ancora le biciclette
……………….della Canosa-Terlizzi.
E la tristezza dell’aiuola
s’è fatta ragione urbana
una ragione che scotta
abbiamo la faccia di H. Bogard.
……………L’incubo lasciato cadere
………………sul pavimento di cera
…………………non è più angoscia
…………………………..deflagrata.
Facciamola finita facciamo l’Italia unita.
La sola cosa che dobbiamo fare
nel mezzo del cammin di nostra
……………………………………..vita.
…………..Alla Scala pubblico austriaco
…………………...al Nabucco fischiato
……………...Zorro nel sud è un murale.
…………………..Il territorio nazionale
……………...è un trattato di geometria.
Eravamo un paese che stava sugli alberi
di tanto in tanto una macchina
correva nella luna.
Leggevamo il giornale sulla sdraia.
Alle feste dei patroni
eravamo tutti sui balconi
come su palloni aerostati.
Non è che tu mi manchi
proprio tanto se la tua mano
ancora saluta dal museo romano
…………………………..di Salisburgo
(da Dagherrotipo, Vito Riviello, Milano, Scheiwiller 1978)