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Moonisa: Nigeria-Pipelines insanguinate, terra-genti e tradizioni dissacrate
24 Giugno 2009
 

Cronaca di una Guerriglia

(o di una guerra civile?)

La vita cittadina del lontano Nord nigeriano nulla pare avere a che fare con i sonni agitati della gente che vive nel Delta del Niger. La seconda metà del maggio 2009 si è tinta di nuovo di sangue quasi (o senza quasi?) all’insaputa del mondo e persino del resto della Nigeria. I giornali locali hanno parlato dei ‘disordini’ nel Sud; Vanguard ha titolato: Soldiers seize militants armoury// Oil, gas, pipelines blown up// JTF rescues 10 hostages// Death toll rises to 65” (!!!).

Un’incursione segreta della Joint Task Force (JTF) nigeriana nel famoso camp 5 ha portato, secondo le notizie ufficiali, alla liberazione di 10 ostaggi (6 Filippini e 4 Nigeriani) e al sequestro di grossi quantitativi delle armi dei ‘guerriglieri’ ma…, se posso essere sincera, tale notizia non mi rallegra. Provo sollievo, ovviamente, per gli ostaggi (tra i quali, 6 Filippini- sempre secondo le notizie ufficiali) liberati, ma non riesco a non pensare al rovescio della medaglia…

Quelle che i giornali definiscono ‘armi’ (fucili antiaerei, ovvero lanciarazzi/ dinamite e motoscafi superveloci) avrebbero storie interessanti da raccontare (sul perché della loro presenza e sulla loro provenienza), ma non mi risulta che (nella nazione di riferimento o all’estero, per quel che ne so) vi sia interesse a correre il rischio di ascoltare quelle ‘storie’. Le conseguenze dell’operazione in questione sono state, secondo le fonti ufficiali, le seguenti: i Ribelli hanno fatto saltare le condutture Worri-Escravos (del petrolio Chevron) e quelle del gas (Abiteye); ci sono state 65 vittime.

L’autorità militare ha detto che non si è trattato di una rappresaglia, da parte della JTF, ma di una missione di salvataggio/ che i soldati sono stati attaccati dai ribelli e hanno dovuto difendersi; che prendere il sopravvento non è stata una passeggiata, perché molti militari sono rimasti feriti anche in modo grave, pur essendo meglio armati ed equipaggiati/ che i Filippini liberati riportavano segni di torture ed erano terribilmente malconci/ che i ribelli avevano sequestrato lo staff della petroliera MV Spirit e rubato il carburante/ che la JTF ha recuperato due navi sequestrate e verificato l’infondatezza della vanteria dei ribelli di aver catturato una nave da guerra nigeriana.

Le condutture danneggiate fanno parte della linea che porta il petrolio grezzo (prodotto da Chevorn-Texaco) alla raffineria di Worri, alla compagnia petrolchimica WRPC e anche il greggio alla raffineria di Kaduna (danneggiata anni addietro dai ribelli e riparata con costi ingenti- riferiscono le fonti ufficiali). Una commissione (di vari pezzi grossi del governo federale e del governo locale, commissari vari, il governatore del Delta State, Emmanuel Uduaghan- gli Stakeholders, tra cui i rappresentanti della JTF e dei leader della Ijaw Youth Organization) riunita d’urgenza, in Worri, ha cercato, per ore interminabili, di porre fine al massacro. Gli anziani sono stati investiti di tutto il loro ascendente atavico, per far ‘intendere’ le ragioni della ‘non premeditazione’ dell’incidente (got out of control) non solo ai giovani ribelli, ma anche ai militari della JTF (che –per inciso– ha bombardato gli stanziamenti umani della zona). La commissione ha, infine, ordinato, il ‘cessate il fuoco’ (Il Delta State ritiene la cosa un semplice intoppo sulla via della pace, che vuole ristabilire in modo duraturo e finale, per mezzo delle trattative pacifiche che questo ‘incidente’ ha messo a repentaglio). I contendenti, intanto, riordinano i ranghi, ristabilendo le nuove frontiere-trincee; le condutture vengono riparate e la zona ‘bonificata’. Mi domando di quale ‘bonifica’ si possa parlare, in una zona (conosciuta palmo a palmo dai ribelli e minata perennemente con dinamite; tenuta in scacco da pattuglie-incursioni militari) che, ahimè, appare senza speranza… Ci sono stratificazioni-problemi a vari livelli-varie ramificazioni (prossime e remote), in quella zona; dipanarle (per comprendere) è possibile agli uomini; risolverle mi appare impossibile (o possibile soltanto a Dio, l’unico essere onnipotente -più potente, in questi tempi terribili, delle multinazionali), ma, qui e ora, atteniamoci ai fatti contingenti del caso.

La rilettura (in chiave popolare) degli eventi è che la JTF rispettasse la direttiva delle trattative; che ci fosse una sorta di tregua tra militanti IYO e militari e che questi ultimi potessero passare, senza essere attaccati, usando pochi colpi sparati in aria come ‘codice’ di non aggressione, quando e se si trovassero ad attraversare, per altri motivi, le acque prospicienti il famoso camp 5 (sottratto dai Ribelli ai dipendenti delle ditte straniere, per farne il loro quartier generale). Pare che il colonnello responsabile della JTF della zona sia cambiato e che l’arrivo del nuovo colonnello abbia comportato il cambio delle direttive nei confronti dei problemi della zona del Delta; pare, altresì, che l’attacco in questione sia stato messo a segno in gran segreto, con il preciso intento di cogliere i Ribelli di sorpresa, snidarli tutti e liberarsi del movimento della Gioventù Ijaw che c’è alla base (cosa più facile a dirsi che a farsi, poiché ciò che accade nel delta del Niger non è la ribellione temporanea e superficiale dovuta a un disagio passeggero, ma la cima di un iceberg mastodontico e grave e ha radici profonde, ramificate nella mente e nel cuore delle comunità del Delta). La gente semplice con cui ho parlato mi ha detto: “I militari hanno fatto quel che hanno fatto, perché sono arrivati in silenzio e in gran segreto, perché, se così non fosse stato, non un solo soldato sarebbe tornato vivo a raccontare gli eventi”. Le genti del Sud simpatizzano, ovviamente, con i Ribelli (che non sono entità incorporee e che sono ‘sangue del loro sangue’- parenti delle varie comunità) e raccontano vere e proprie leggende sul coraggio dei Ribelli e su episodi in cui “I soldati non hanno chance di farcela” e “ci lasciano le penne, perché, contro i Ribelli i loro fucili non sparano”.

Credo che sia stato per non alimentare tali ‘leggende’ che il colonnello intervistato dalla stampa locale abbia dichiarato, come ho scritto prima, che ci sono stati tra i soldati soltanto feriti (seppure gravi); la verità (e la sanno tutti, stampa compresa) è che i militanti della IYO, dopo essere stati attaccati, hanno teso un agguato alle truppe della JTF (al Chanomi Creek) e hanno ucciso un tenente e almeno altri sei soldati, quando la loro barca (con mitragliatore), in ritirata, si è capovolta nel canale.

Il camp 5, ora, pare essere nelle mani della JTF (che si dice in control), come la NNPC, nave petroliera nigeriana MV Spirit (dichiarata intatta), che era stata sequestrata e dirottata al porto di Warri, dove era diretta anche un’altra nave cargo sequestrata nel Chanomi Creek. I militari dicono che siano stati i Ribelli (ora in fuga) a cercare lo scontro con loro e che l’operazione chiamata Cordon and search fosse diretta a liberare la gente del Delta da intimidazioni, fastidi ed estorsioni e dai crimini commessi dai militanti del movimento di liberazione. Peccato che l’ipotetico ‘fine’ da raggiungere non giustifichi affatto i ‘mezzi’ impiegati. L’autorità militare aveva preannunciato alla popolazione che “avrebbero potuto esserci sparatorie in seguito alle quali i Ribelli avrebbero potuto rifugiarsi nei loro campi principali”. La conclusione dell’avvertimento era stata: «This may lead to our torching such camps» (“Ciò potrebbe portarci a dare alle fiamme detti campi”). Il tono ‘normale’ con cui si annuncia che si possono ‘arrostire’ strutture e persone, in un unico rogo, è semplicemente agghiacciante e ancora di più lo è quello della conclusione del giornale che ne parla: And this the JTF did. E ‘queste’ cose sono, dunque, accadute: vere e proprie comunità umane sono state arse vive. Non sto dando nessuna notizia straordinaria al mondo (mio Dio!), cioè nessuna notizia-scoop: la stampa locale ne ha parlato, con toni smorzati e matter of fact («And this the JTF did»/ E ciò la JTF ha fatto…)- ma ne ha parlato. Nessuno sa di queste cose, quando accadono. Non ci sono servizi televisivi o giornalisti-inviati speciali. Nessuno parla di niente e tutto rimane sepolto nell’annuncio-avvertimento (riferito da informatori) riportato dalla stampa (e nella sua terribile epigrafe: «and this the JTF did»)… Il mondo (vicino e lontano) scorre come sempre e nulla sa. In loco non c’è nessun ‘rumore’ sulle stragi sbalorditive e terribili (che, tra le righe stampate suonano come ‘ovvie’ e persino scontate…). Una vita, due vite, dieci, sessanta, cento, parecchie centinaia (e, alla lunga quante migliaia?) cancellate… non smuovono nulla, non cambiano nulla, non fanno rumore, non raggiungono le orecchie né il cuore di nessuno… Il silenzio… è la cosa che colpisce a tradimento la logica della sensibilità (e quelli che il mondo chiama valori umani)…

Le notizie post-tragedia sono che l’autorità militare ha annunciato alla popolazione del Delta operazioni di routine della JTF, nell’area, e ha esortato la gente a non lasciarsi prendere dal panico (e… non riesco, ahimè, a non sentire odore di nuove tragedie ‘occulte’).

La dicotomia delle fonti informative è sempre scontata, purtroppo (qui più che altrove). Ci sono sempre due verità. Ho raccontato quella proveniente dalle fonti ufficiali. Cercherò, ora, di abbozzare l’altra (‘accreditata’ presso il popolo). Si era detto (forse per dare la sconfitta dei militanti del movimento di liberazione per scontata) che il guerrigliero leader del famoso Camp Five (il leggendario Tompolo) fosse morto. Un suo braccio destro ha, invece, detto (anche alla stampa locale) che egli è vivo e vegeto e più determinato che mai; ha poi fatto varie dichiarazioni (che gettano una strana luce su quelle ufficiali); eccole: 1) gli ostaggi non erano 10 ma 15 ed erano tutti Filippini; 2) 2 ostaggi sono morti e 3 sono stati feriti gravemente, in seguito ai bombardamenti ‘sganciati sul camp 5 dalla JTF; 3) i Ribelli non ne sanno più nulla, dal momento in cui sono fuggiti, per salvare le loro vite; 4) soltanto i militari, che ancora occupano il camp 5, conoscono il loro destino. La cosa non è finita lì. Ci sono stati fatti terribili, subito dopo, poiché la JTF è andata a bombardare dei villaggi proprio in un’occasione festiva.

Alcuni capi delle comunità di Gbaramatu, che si erano recati, con molta gente a Oporoza, per il Festival di Amaseikumo, hanno riferito che la JTF ha bombardato le comunità Ijaw lì riunite per quella celebrazione tradizionale/ di essere scampati ai bombardamenti fuggendo/ di aver fatto in tempo a vedere che il contributo alla morte è stato altissimo, anche per via delle suddette celebrazioni, che sono un forte richiamo di folle. Il capo della comunità di Kunukunuma, Akowei Oboko, ha dichiarato al Sunday Vanguard che molta gente è stata uccisa da jet ed elicotteri bombardieri della JTF, che hanno fatto incursione e bombardato dappertutto. Il pover’uomo era in preda allo sconforto: «We don’t know what we have done to warrant this attack by the JTF, is the federal Government at war with usLa domanda dell’anziano capo è commovente, ma anche illuminante: “Il Governo Federale è in guerra con noi?” Tali parole vanno lontano…/ vengono da lontano… e vanno lette come segue: “Il Governo Federale (quello del Nord, del Sud, del Middle Belt, degli Hausa, degli Yoruba, degli Igbo, degli Ijaw e di tutte le etnie varie) è in guerra con una parte del Sud?!?”// “Il Governo Federale (quello che dovrebbe difendere il Nord come il Sud e amministrare le ricchezze del Nord come del Sud) è in guerra con noi del Delta del Niger?!?”// “Il Governo Federale (quello della nazione di cui ‘noi’ facciamo parte) viene a bombardare ‘noi’?!?”// “Ma non vede il Governo Federale, il ‘nostro’ governo, che ‘noi’ stiamo subendo torti terribili e siamo allo stremo/ non vede che stiamo reagendo a uno stato di fatto insostenibile/ non vede che stiamo chiedendo il suo aiuto/ non sente le nostre voci/ non sa che dovrebbe essere lui a farsi carico del peso che noi ci stiamo assumendo/ non capisce che i nostri giovani valorosi rendono un servigio al governo, ergendosi contro la depauperazione e la distruzione del nostro-suo delta?!?”// “E… il Governo Federale turns a deaf ear? Eppure dovrebbe guarire dalla sordità (e, se non vuole ricordarsi delle vie diritte della gestione del patrimonio nazionale, dovrebbe almeno ricordarsi della tenacia dell’Igbo Biafra e… di quella prima sanguinosa ‘amputazione’ della nazione chiamata Nigeria…)”.

A- La situazione è tragica, perché sono i giovani che si ribellano (alle ingiustizie e all’escalation dello scempio che sta accadendo nel delta del Niger) e che combattono ed è la comunità indifesa che ne paga le conseguenze terribili e viene fatta oggetto di genocidio (nel silenzio generale del mondo intero…). No, la parola ‘genocidio’ non è fuori luogo (e neppure esagerata), purtroppo. Ecco che cosa ha detto al Sunday Vanguard il capo della comunità di Benikurukuru, Godspower Gbenekama (anche lui giunto a Oporoza, per il funestato Festival di Amaseikumo e anche lui tra i fortunati che sono usciti vivi dall’agguato indiscriminato a tutti i presenti di ambo i sessi e di ogni età): “Il Festival di Amaseikumo in Oporoza è stato interrotto e tanta gente è stata uccisa quando la JTF ha attaccato con elicotteri, navi cannoniere, bombardieri e barche da guerra. Erano stati raccolti 25 cadaveri quando sono fuggito da Oporoza, uno dei feriti è il capo tradizionale. Più di 20 persone sono disperse e non conosco il motivo di tale genocidio. Parola mia, la JTF era venuta per spazzare via la comunità. Come possono usare tali armi contro innocenti e indifesi cittadini. Mentre vi parlo, nessuno in quel villaggio può dormire nella sua casa, tutti devono scappare e sono fuggiti nel bush, sono quelli che non potevano correre che la jtf ha bombardato e ucciso. Molti fabbricati sono andati distrutti e i giovani sono adirati, il Governo dovrebbe richiamare la JTF all’ordine”.

Il Capo Godspower Viavrivinde ha detto allo stesso giornale di aver visto dieci morti in Kurutie, mentre fuggiva, via Sapele, e si rifugiava in Warri, e il capo Oyagha Heaven ha detto che il combattimento era tra giovani Okerenkoko e la JTF, quando egli è fuggito (“Le truppe JTF avanzavano verso Okerenkoko, che abbiamo sentito essi vogliono attaccare con la scusa che fa da quartier generale ai guerriglieri nel regno. I giovani li affrontavano a cinque miglia di distanza dalla comunità. Ma al momento, la gente ha abbandonato la comunità, è fuggita nella foresta e non mi aspettavo che facesse altro quando ha visto gli elicotteri e i bombardieri lanciare le bombe sulle vicine Kurutie e Kunukunuma. Abbiamo sentito dire che Okerenkoko sarebbe la prossima nel programma di attacco e che pensano persino di rintracciare i capi che si sono rifugiati in Warri e di arrestarli, ciò sarebbe una mossa sbagliata”).

Le parole dei capi contengono a fatica lo sdegno e sono un capolavoro di dignitosa pazienza adagiata sulla rabbia repressa, come esca su brace (che il Governo Federale dovrebbe cogliere, infine, per rinsavire e… per porre fine alle connivenze letali che decimano il suo popolo e colpiscono al cuore la nazione).

B- La situazione è tragica perché la leadership nigeriana ne è consapevole (al contrario del resto del mondo che, quando sente parlare di ‘esplosioni’ nel Delta del Niger e di morti, non capisce bene di che si tratti e accantona la ‘notizia’ tra quelle poco chiare e… da dimenticare). Il leader federale dell’etnia Ijaw (il capo Edwin Clark) è, come suol dirsi, fuori dalla grazia. Ha fatto un appello al ministro della difesa e alle alte cariche dello Stato, per bloccare le invasioni della JTF (per il genocidio perpetrato ai danni degli Ijaw). Le sue parole (indirizzate al ministro segretario del Governo Federale e comandante in capo della JTF) non lasciano nulla all’immaginazione/ sono un “j’accuse” chiaro-forte-toccante e disperato: “Buon giorno, le vostre direttive alla JTF di bombardare, uccidere e distruggere gli Ijaw negli ultimi tre giorni consecutivi a dispetto del mio appello è senza dubbio una premiditata e deliberata decisione del Governo Federale di eliminare gli Ijaw per avere accesso indisturbato al nostro petrolio e al nostro gas. Procedete pure ma non ce la farete mai. Noi vinceremo perché Dio onnipotente è dalla nostra parte”.

E… questa è l’amara-terribile verità: Dio soltanto può aiutare gli Ijaw e le varie comunità del delta a liberarsi della peste più ‘bubbonica’ che esista sulla faccia della terra: la mafia del profit, che prolifera nel mondo come la peggiore specie di virus che colonizzi e distrugga ogni forma di vita. Il mondo dovrebbe pensarci e prendere ‘qualche’ provvedimento (ma prenderlo bene!), prima di fallire miseramente e di accorgersi troppo tardi di aver lasciato in ostaggio (nelle mani di entità-guadagno senza scrupoli) la vita dei popoli nigeriani del delta e di molti altri popoli mondiali.

C- La situazione è tragica, perché i leader del Sud (i legislatori locali- coloro che hanno ascendente sulla gente di ogni età, dove l’anzianità conta e l’esperienza e la posizione insigniscono gli uomini di potere) esortano alla calma e contano su una soluzione dei problemi (in un arco di tempo ragionevole…). Che cosa faranno, quando le condizioni peggioreranno e il disprezzo per la vita oserà nuove e più efferate frontiere-genocidi generalizzati (perché, se un miracolo gigantesco, che parli lingue straniere e suoni corni capaci di interrompere la caccia alla ‘volpe’ dell’ingordigia dei petrolieri e di richiamare i levrieri multinazionali, non si verificherà, questo è ciò che accadrà)? Il legislatore del regno Gbaramatu, Godwin Beninibo, si è adoperato al meglio delle sue capacità, per favorire il ritorno alla normalità, non esimendosi dal chiedere al presidente Yar’Adua di richiamare all’ordine la JTF e di ricordargli che il Gbaramatu è “part and parcel” della Nigeria e che ciò che sta accadendo può definirsi “una nazione che combatte il popolo che dovrebbe proteggere dalle aggressioni esterne”.

D- La situazione è tragica, perché la violenza reiterata (innescata da interventi ‘forestieri’) sta dissacrando le tradizioni e mira a snaturare le molte e ricche culture del delta. L’aggressione mortale a folle riunite per le celebrazioni più solenni dell’anno (come il festival di Amaisekumo) è un atto esecrando che parla di caduta di argini pericolosamente vicini al non ritorno. L’interruzione di un rituale tribale sarebbe stata già grave; la volontaria aggressione armata, a scopo mattanza indiscriminata, di varie comunità riunite in manifestazioni di pace, tese alla venerazione delle divinità locali-all’invocazione degli antenati e alla benedizione dei campi e dei beni di sopravvivenza, è un atto talmente grave che non trova ‘traduzione’ nel comportamento di individui nigeriani verso altri Nigeriani…

Le personalità importanti legate alla regione del delta sono tutte arrabbiate (ma sono anche potenti/ il Governo Federale non lo dovrebbe dimenticare) e scalpitano, perché lo stato di fatto contro ogni logica razionale e umana progredisca verso argini più ragionevoli e verso la difesa della vita delle Comunità del delta. Pere di Akugbene Mein ha detto: “I Padri Regali sono profondamente preoccupati sulla situazione prevalente nel regno di Gbaramatu del Delta State, l’Associazione dei Legislatori tradizionali della Comunità Petrol-minerale di Nigeria (ATROMPCON) ha richiamato all’immediato ‘cessate il fuoco’. Ordiniamo a tutte le parti coinvolte nella schermaglia di rinfoderare le spade e di dare alla pace una chance”.

 

Facciamo il punto della situazione

La comunità del Gbaramatu (nel delta del Niger) ha vissuto un venerdì che vorrebbe cancellare dal calendario (il 15 maggio 2009); è stata martoriata dagli scontri tra militari (della JTF federale) e guerriglieri (del Movimento di Emancipazione del Delta: MEND), con perdite di vite giovani (che la nazione farebbe bene a piangere come ‘forze’ perdute sul solo fronte che le occorrerebbe: quello della rinascita). È parere comune che ciò non avrebbe dovuto accadere (e… che sarebbe stato ‘evitabile’). La JTF ritiene, comunque, che la route della peace map non si sia mai interrotta (!!!) e ciò fa ai miei occhi l’effetto della cipolla cruda e al mio petto quello di un pugno insostenibile. C’è di più, però, e ciò è anche peggio: dello stesso avviso è la DWSC (Delta Waterways Security Committee), che essendo stata istituita dal governatore (Emmanuel Uduaghan), per mantenere la pace nelle vie navigabili del suo Stato, non dovrebbe e non potrebbe (in alcun modo) ritenere ‘normali’ incidenti i genocidi, anche quando e se siano commessi in altri Stati (!). Tutta la strategia di ‘persuasione’ delle forze governative consiste 1) nell’aver chiesto (intimando) alle agenzie della sicurezza e a tutti gli Stakeholders di ‘astenersi’ dal prendere posizioni, 2) nell’aver attestato uomini armati fino ai denti lungo i crinali del delta (“per calmare i bollenti spiriti dei giovani Ribelli”). Tra il Delta State e i Freedom Fighters c’era un dialogo (e le consultazioni continue davano, sì, un’impressione di pace). Tale ‘impressione’ è durata per ben due anni (anche perché un leader dei Combattenti per la libertà, il famoso Tompolo, ha dato una mano alla DWSC, in quello che credeva un sentiero verso una pace veritiera). Tutto ciò era servito (solamente, ahimè) a permettere alle varie eminenze grige dello Stato Federale (e alla loro JTF) di potersi vantare dello stato di pace apparente del Delta State e di poterlo additare come modello da seguire ai vari governatori del delta del Niger. Il Delta State può essere definito uno Stato pilota, a mio avviso, e il suo governatore merita rispetto, ma… la mia umile opinione è che, forse, l’ammirevole uomo di stato non si renda conto del fatto che i suoi sforzi verso la pace procedano con passi da gigante nano (con le gambe corte come quelle di un neonato…- con tutto il rispetto per il governatore Uduaghan, riveribile persona). È un uomo dalla mente aperta, che ha ‘importato’ il suo ‘progetto’ di pace dall’Irlanda e che si è dato da fare non poco. È lui, infatti, il governatore che ha parlato di pace nel primo summit dei South-South governors, a Calabar (evento che invita alla speranza, con la sua sola nascita ed esistenza…). Questo governatore ha regalato al suo Stato un periodo abbastanza pacifico, anche quando negli Stati confinanti succedeva il finimondo; ha ottenuto che il ‘servizio’ dell’esercito arginasse la criminalità, senza interferire con la ‘tranquillità’ del luogo; ha reso possibile una base di comunicazione tra militari e guerriglieri e una politica di non belligeranza tra i due schieramenti ineliminabilmente sospettosi l’uno dell’altro/tra i due nemici capitali sempre pronti a massacrarsi a vicenda (i militari rispettavano i territori di Tompolo, avvertivano i Guerriglieri del loro passaggio con spari amichevoli e, qualche volta, si fermavano addirittura a scambiare brevi conversazioni con loro); ha dato un po’ di respiro ai guerriglieri, sfibrati dalle schermaglie e dalle battaglie continue e bisognosi di speranze in qualche spiraglio di possibili soluzioni; ha dato alle compagnie petrolifere la possibilità di lavorare e di aumentare la produzione. Tutto ciò ‘suona’ ammirevole, ma…, nella mia mente rimbalza il refrain (oramai ‘antonomasizzato’) di una vecchia-cara pubblicità: “Sì, va be’, ma l’Ancillotto…?” Cioè: va bene tutto, vanno bene i tentativi di pacificazione del luogo, ma… chi legge non sente un campanello d’allarme, forte e chiaro, suonare a intermittenza, prima, e a distesa, poi? Dove portava ‘ (e dove porta, se viene ‘mummificata’) questa’ via di ‘pace’-non pace? I Guerriglieri aspettano…/ i militari temporeggiano (salvo stragi intermedie)/ gli Stakeholders continuano a riunirsi/ le compagnie petrolifere lavorano (e… guadagnano)/ lo Stato (locale e federale) spartisce la loro elemosina ‘sostanziosa’, e… il popolo (?), che cosa fa il popolo, nel frattempo…/ che cosa mangia il popolo/ come e dove vive il popolo (in una terra che più non è come prima e che, alla lunga, lo ucciderà con aria-terra-acqua infette)/ come si cura il popolo (in una terra che non investe nulla nella ‘bonifica’ dell’ambiente e nelle strutture di ‘cura’, né nella programmazione di nessuna delle due cose vitali)? Potrebbe vivere come centinaia-migliaia-milioni di anni fa (come no?) e attingere dalla ‘natura’ cibo e mezzi per curarsi (se non gli portassero via pure ‘quella’)…

Lo specifico caso di queste stragi finali (definite genocidi da chi ne sa di più –e chi ha contato i morti ‘silenziati’/ chi conosce il numero ‘totale’ e finale delle stragi, se le sole notizie che si hanno provengono dallo ‘scenario’ raccolto dai sopravvissuti in fuga, nei primissimi momenti della ‘corsa’ contro il tempo che ha salvato le loro vite?) ha un iter del tutto scontato. C’è stato uno ‘scoppio’ di ‘violenza’ (e scopro che questo termine terribile, in certi casi può suonare troppo ‘mite’ e riduttivo), direbbero i più, dopo un periodo relativamente lungo di pace, sono cambiati i vertici militari locali; è giunto un maggiore-generale nuovo a comandare la JTF, ad Effurun, ha dichiarato che non accettava compromessi con i Ribelli e ha innescato la miccia di ‘azioni’ che somigliano molto a ‘missioni’ sanguinarie (aggiungendo al danno la beffa e facendone ricadere la colpa sui Guerriglieri). I combattenti per la libertà del Delta raccontano che l’attacco militare è stato lanciato al campo di Iroko contemporaneamente a quello lanciato al camp 5 e che, presi completamente alla sprovvista, essi sono stati costretti a rispondere agli spari e a difendersi. Il succo della loro posizione è: “Avevamo concordato un processo di pace, tramite il governatore Uduaghan, con il Governo locale e federale, ma…, dopo i tragici eventi, come facciamo a gettare le armi, se prima non sappiamo che intenzioni abbiano i Governi? Si è parlato di amnistia, ma… è tutto troppo aleatorio e… non possiamo fidarci”. L’altra faccia della medaglia è la versione dei vertici militari, che addossano la colpa a “qualche soldato zelante” (che avrebbe allertato i Ribelli contro gl’ignari soldati in ‘pacifica ricognizione’).

È una brutta storia di accuse vicendevoli tra ribelli e militari (gli uni accusano gli altri di rendere la zona inabitabile ai villaggi rivieraschi, da cui la gente scapperebbe in massa, per paura delle incursioni armate e delle uccisioni; gli altri accusano i loro ‘nemici’ di rendere poco sicura l’importante zona commerciale e di essere una vera e propria ‘piaga’.

 

Gli Occidentali sentono parlare del Movimento di Emancipazione del Delta del Niger, generalmente, in concomitanza di rapimenti e di esplosioni. Pochi sono coloro che sanno qualcosa di più e che sono preoccupati per le genti (e le terre) di quell’area del mondo. La trasmissione “Report” di Domenica 7 Giugno 2009 ha dato modo a molti di farsi un’idea chiara di ciò che accade nelle acque e sulle rive del delta del fiume Niger e, di conseguenza, in Nigeria. Sono in molti, ora, a sapere che esistono i gas flaring (e ad immaginare che, dietro quelle che appaiono come schermaglie dovute a piccoli gruppi fuori controllo, ci sia qualcosa di più…).

Chi non ha voce in capitolo non ha chance di essere ascoltato e, se trova giustizia agli occhi di qualche giusto, viene sfacciatamente ignorato insieme ai rappresentanti della legge (là dove le vie del dio denaro sono infinite proprio come le vie impensabili e non rintracciabili delle acque sotterranee). Eccone la prova: una delle comunità residenti nella regione del Delta del Niger (quella Iwerekan), sostenuta dalla Environmental Rights Action (e dall’allora suo direttore, Nnimmo Bassey), ha presentato ricorso contro la joint venture (Nigerian National Petroleum Corporation/ Agip, shell, ChevronTexaco, Exxonmobil e TotalFinaElf). Un giudice nigeriano dell’Alta Corte federale lo ha accolto (Dio sia lodato, “in cielo, in terra e in ogni luogo”!) e ha stabilito (15 novembre 2005) che la pratica del gas flaring è illegale (peccato che -a distanza di circa quattro anni- nulla sia cambiato e che la Joint Venture continui a bruciare i gas -sic etiam… sicuter- alla faccia di quel giudice e della vita umana e ambientale, quotidianamente…).

La sentenza di quel giudice giusto e onesto (e benedetto da Dio) fu accolta con grande gioia da tutti ( e dalle organizzazioni, in special modo –vedi CRBM- che erano e che sarebbero rimaste, disperatamente, voci nel deserto), nell’illusione speranzosa che il gas flaring cessasse (al più presto) di essere utilizzato.

 

Sapendo quanto sopra…, come stupirsi dell’esistenza di una dissidenza armata e quali chance si può immaginare che possano mai avere gl’intrepidi Don Chisciotte del Delta del Niger contro le forze preponderanti che hanno volti-radici-stature al di là di ogni immaginazione (se i voli delle senrine ventose del buonsenso e della speranza non giungeranno numerose e… per imprevedibili vie)?

 

Moonisa

 

 

...fine prima parte


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