Torino 6 e 7 giugno 2009. Fraintesi subito la sua affermazione, pensai fosse chiara e di unica interpretazione; infatti quando la segretaria del seggio 488 mi disse: “non so per chi votare o meglio, voterò chi mi assicurerà un posto di lavoro”, credetti di trovarmi di fronte ad una sorta di voto di scambio in salsa artigianale.
Non ci volevo credere, tanta sfacciataggine da parte di chi in quel seggio rappresentava comunque una sorta d’istituzione, rivolta per di più a me rappresentante di lista di un’eterna opposizione che s’è fatta opposizione anche quando l’è toccato governare.
Volli però capire, probabilmente feci una smorfia, lei si girò verso il marito presidente di seggio e disse, provando a motivare la sua affermazione: “Sai, sono precaria da una vita, occorre arrangiarsi, non ho mai avuto un lavoro che durasse per più di un anno consecutivo e a trentadue anni comincia a pesare”.
Il ragionamento all’apparenza di univoca direzione prendeva forma e si dirigeva da un’altra parte, in maniera più complessa ed articolata.
Quella che infatti sembrava essere la richiesta di una singola persona in realtà, provando ad analizzare l’attuale situazione italiana, al di là di festini privati ed imbarazzanti nudità istituzionali, è lo straziante urlo di un’intera generazione di trentenni, che altro non vede nel suo futuro che precarietà.
Non era quindi una marchetta o una sorta di raccomandazione che mi chiedeva la segretaria del seggio 488 ma con quella affermazione in realtà chiedeva qualcosa di più composito quanto semplice: politiche del lavoro serie, che arrivino da destra o da sinistra poco importa.
Sì perché con la caduta degli imperi, del comunismo prima e del capitalismo selvaggio poi, non ci si aggrappa più ad ideali ma si prova a restare in piedi su un mal equilibrato piedistallo di valori.
E’ chiaro che questi valori però si costruiscono guardandosi attorno; la televisione, mezzo di comunicazione di massa, non offre molto e quel poco che offre non è certo qualificante. (fine primo turno)
Torino 21 e 22 giugno 2009
Torno adesso dal ballottaggio e dal voto referendario; il villaggio di Asterix, come amiamo definire noi ciò ch’è rimasto ancora inalterato attorno alle macerie delle giunte provinciali e comunali della destra piemontese, ha resistito.
Il referendum tutt’un’altra storia, la segretaria di seggio sempre lì presente al suo posto, precario per definizione.
Riprendiamo i nostri discorsi interrotti al primo turno e si fanno subito più complessi; scopro con amara (ma nemmeno poi tanto) sorpresa, che per molti destra e sinistra sono uguali, così come le domande che ad entrambi gli schieramenti politici, vengono poste.
Io non penso sia così e provo a spiegarle il perché: “la sinistra cara debora, ha sempre lottato per i ceti meno abbienti, per un’uguaglianza sociale, per un egual accesso di tutti al bene comune.
La destra invece è egoismo, menefreghismo, l’arrangiarsi di pochi a scapito di tanti. E’ questo che vuoi?”.
“Io voglio una stabilità lavorativa, voglio poter progettare il mio futuro in maniera un tantino serena” disse lei.
Non riuscivo più a costruire una risposta convincente, la discussione si è protratta in questa maniera per diversi minuti, finche il marito presidente non la richiamò all’ordine.
Ed ora il mio perenne dibattito con me stesso, con ciò che rappresenta per me ancora un partito politico e quello che amaramente più non è, dopo questa discussione diveniva più forte.
Com’era possibile? Non avevo più risposte, proprio io che ho sempre creduto nella politica delle risposte alle esigenze dei cittadini.
La politica, i cittadini, è questo il binomio sempre più lontano, sempre più distante l’un l’altro. E sta proprio qui, in questa lontananza che la domanda della segretaria del seggio 488 cresce, prende forma con il pericolo oramai quasi certezza, di trovare risposte sempre più equivoche, di breve respiro e corto raggio. (fine spoglio, ci vediamo alla prossima tornata elettorale)
Salvatore Sblando