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Alberto Figliolia: Gaetano Orazio, L'elemento e le singole forme 
Al castello Riva Bianca di Lierna, dal 27 giugno all'8 luglio
23 Giugno 2009
 

Il “Caso Orazio”. È la felice e geniale definizione di Philippe Daverio per un artista invidiabile per talento. Talento artistico e umano, inscindibilmente. Gaetano Orazio è nativo di Angri, provincia di Salerno, ma da anni vive a Cremella, nel lecchese. Un pittore che si muove fra gli elementi della natura, con disinvoltura e rispetto. Un osservatore che ritrae e interpreta con estrema acutezza e sensibilità ciò che vede, e sa vedere dentro e oltre. Un naturalista e un astrattista, ma non funziona con l'arte di Orazio il gioco delle etichette o catalogazioni: i suoi lavori sfuggono a qualsivoglia incasellamento e “fuggono” verso l'autentico senso delle cose, quel che si è perduto, quel che va disperdendosi. Inafferrabile eppur tangibile, potente, è il panorama emotivo della sua arte; un orizzonte tuttavia mai disgiunto dall'analisi serena e forte dell'intelletto.

Le betulle dipinte da Gaetano Orazio sono commoventi, non vi è altro da dire. Come le salamandre, animali-simbolo, totem indifesi contro una civiltà incivile che distrugge implacabilmente l'ambiente in nome dell'ottusa legge del profitto, o i suoi pettirossi, lepri, farfalle, libellule, pesci, gli agnelli o la croce lancinante e lacrimante ai cui piedi giacciono gli stracci morali dell'umanità, immagine del calvario quotidiano che tutti attende al varco, disperazione e, insieme, riscatto e speranza.

Reduce da una splendida mostra, “Attorno alla croce”, organizzata dal Comune di Montefalco, in Umbria, nel Complesso Museale San Francesco, Orazio – il faber, l'anacoreta – sarà con le proprie opere ospite, in giugno, della comunità di Lierna, fra lo splendore delle acque del Lario. L'acqua peraltro è uno dei punti focali della sua meditazione, medium e metafora, fisicità e anelito, memoria ancestrale: i suoi pellegrinaggi nei torrenti brianzoli, le esplorazioni di rivi e sorgenti, massi, sassi e legni, sedimenti, derive, la fascinazione e gli echi di quell'universo che corre, liquido e trasparente, alla meta, ora in un sussurro ora in un silenzio urlante, pacificazione, respiro, genesi. Che corre, al mare che sarà.

Bombe e Colombe... Non mancano tesi e antitesi nella pittura di Orazio, così evocativa e poetica, mistica senza dimenticare il sociale, rabbia che muta in nostalgia di ciò che non è mai stato, ma che avrebbe potuto e che forse sarà. Nascono note sparse, forse sperse ma clamorosamente genuine, dai quei dipinti che ti lacerano dolcemente l'anima.

«...ci stupisce ogni volta la scelta dei supporti su cui scuotere e sorprendere i nostri sguardi: dal riutilizzo dei telai serigrafici alle stoffe, ai pannelli metallici. Più un oggetto pare umile, povero, più si presta a risorgere attraverso un impianto artistico che rende visibile la nobiltà delle trame, l'unicità esclusiva di tali strumenti. Che, nelle tue mani, diventano mistero, nuvole, croci», ha scritto nel catalogo alla mostra di Montefalco Luigi Marsiglia, centrando un altro degli aspetti esclusivi del pittore: la superiore e superba capacità immaginifica, per la quale un ceppo o qualsiasi oggetto ritenuto magari non più utile dalla società del consumo rimanendo se stesso si fa altro da sé, l'abilità quindi a ultravedere senza perdere un atomo di umiltà, la sapienza dell'artigiano commista all'empatia con il cuore luminosamente sanguinante del mondo, fra stridori e necessarie contraddizioni, fra tensioni e aspirazioni.

«I passi affondano fra le serrature dei giorni/ non scopriremo mai chi è il carceriere/ di questa prigione d'inverno»... sono versi di Gaetano Orazio, che, per inciso, è anche poeta. «Artigiano di un pensiero civile, proletario, reminiscenza cruda e oleosa come la tuta d'operaio che ha appena smesso per colpa di una recessione anticipata», così lo descrive Massimiliano Castellani, fraterno amico, «ascoltatore sensibile di quell'eterno grido che arriva stridulo nel suo Getsemani disseminato di betulle. Fronde di memoria resistente e straziata, quella che lo riporta alle fosse comuni di Birkenau». Le betulle... Stanno lì a significare il genocidio, il martirio dell'umanità che ha perso tanto, troppo, a cominciare dalla memoria, sbriciola Orazio dal suo sigaro impastato di melanconia tolstojana. Eppure dalla rappresentazione riemerge sempre, prepotente e soave, la vita, ineluttabile e meraviglioso sillabare che ci può condurre per ogni dove.

L'artista e l'uomo del tempo profondo... «Costa fatica e sacrificio riprenderci il tempo profondo. Significa riuscire ad aprirsi di nuovo a un confronto puro e diretto con i luoghi e la natura. Così ogni paesaggio può essere interiorizzato al punto da appartenerci e non sentire più quello scollamento con la terra che ci rende piccoli, inutili ostaggi di un superfluo inconsistente». Non poteva esserci miglior chiusa che queste parole del pittore-poeta: non apodittiche bensì aperte, profonde e chiare come le acque dei suoi amati torrenti, sentimentali come solo l'acqua sa essere.


Alberto Figliolia



L'elemento e le singole forme, personale (nel segno della convivialità) di Gaetano Orazio. A cura della Pro Loco Lierna, dal 27 giugno (ore 19, inaugurazione) sino all'8 luglio. Orari apertura: tutti i giorni, lun-ven 18-22, sab-dom 10-12:30/15-22. Luogo: Lierna, Frazione Riva Bianca, Castello. Ingresso libero. Info: cell. 339 5235220.


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