Nel cuore di Milano. Poco più in là, la Darsena: l'antico porto della metropoli lombarda, laddove giungevano uomini e barche, chiatte, idee e merci. Centro pulsante di vita, per una città d'acqua, i due rami del Naviglio Grande e di quello Pavese a dipartirsi dal vecchio approdo coi loro flussi e deflussi, fiumi artificiali di storie vere. Qualcosa rimane di quella Milano e qualcosa è definitivamente scomparso, con la nostalgia che attanaglia i cuori. Questo pensiamo quando agli Archivi del '900 di Luigi Olivetti, in via Montevideo 9, Domenico Pisana si accinge a presentare il suo Canto dal Mediterraneo. Nulla come Milano e il suo essere continentale parrebbero di più antitetico rispetto al lavoro poetico dell'autore di Modica. Eppure... Abbiamo visto che Milano, crocevia di genti e culture, luogo di lavoro e accoglienza, era una città d'acqua, solcata per ogni suo dove da fiumi, naturali o frutto della fatica e dell'ingegno umano, che infine avrebbero portato le loro acque altrove, alias il Gran Mar Mediterraneo, casa di tutti noi. E la nostalgia... si spiega da sé, senza fatica: ciò che è stato e non è più, ciò che forse, un giorno, ancora potrebbe essere.
Un pomeriggio colmo di stimoli e suggestioni quello offertoci dalla poesia di Domenico Pisana, a Milano, alla Libreria-Archivi del '900. In una sala completamente gremita di spettatori è stato presentato il volume Canto dal Mediterraneo edito da Ismeca. A fare da anfitrione un altro poeta, Pippo Puma. Del resto chi meglio di un poeta può presentare un proprio collega? Da segnalare peraltro l'originale prolusione tenuta da Graziells Corsinovi, docente di Letteratura Italiana all'Università di Genova, nota per i suoi studi su Giacomo Leopardi e, in particolare, su una bella congerie di autori siciliani. Affascinante il quadro critico-estetico tracciato dalla Professoressa Corsinovi che nel suo excursus ha saputo ben individuare i temi salienti della poetica del Pisana, l'afflato mistico, la vasta e composita esperienza multiculturale, l'impegno civile, il senso d'appartenenza e le radici, la visione del mondo oltre limiti e confini, lo scavo interiore, il lirismo...
La sera d'estate
E di nuovo la sera d'estate,
e il mare di zucchero baciato dai raggi,
e le cicale che cantano nei rovi
e la luna e la brezza. O Teofilo,
hai fermato il tuo piede: l'alba
ha ancora ebbrezza di cielo per noi.
Qui rinfrancato raggomitoli il tempo:
e sorvoli i giorni di nebbia
con gli occhi di colomba:
non fendere la corda che ti batte vicino
coi fili di neve ammantati di perle.
Qualcuno ci narri dell'acqua, qualcuno
ci doni una pausa di vento.
Un componimento esemplare che ha ricevuto l'onore della traduzione in albanese da parte del poeta Çlirim Muça, anch'egli presente nel caldo pomeriggio meneghino alla presentazione del libro di Domenico Pisana. «Il tempo ci screpolerà le mani sudate di fatica/ avvolte in fastelli di rimpianti,/ ci sgretolerà i volti sorrisi di sole/ e di speranze racchiuse nella scatola dei sogni.../ ci screpolerà i corpi accasciati e stanchi e accasciati.../ Solo il cuore resterà al riparo e narrerà a se stesso il mistero mutevole dell'amore...». La tenera furia dell'amore a sconvolgere e provare a ricomporre il mutevole e duro universo umano. E ancora...
Ancora una coltre di stelle
Ancora una coltre di stelle mi rapisce
e amplesso di mare e luna,
ove s'ode battito di fiore colto.
E là nel borgo, mite capretto
ha belato con gli occhi di fuoco:
brucia in quel gemito l'inganno
di agili pantere in agguato,
del muro fonte della notte.
Va peraltro detto che Domenico Pisana ha al suo attivo oltre venti pubblicazioni fra volumi di poesia e critica letteraria od opere di carattere politico ed etico-teologico. Nei suoi versi egli sa coniugare la speculazione filosofica e la meditazione sull'essere con le accensioni liriche, le ragioni dell'intelletto con quelle del cuore.
Non certo secondaria, nell'occasione, la partecipazione di Tonko Maroevic, 68enne poeta spalatino, e presente in sala era anche Andro Knego, Console Generale della Croazia.
Per concludere, un'ultima poesia tratta dalla sezione “Canto della disgregazione” (le altre sezioni in cui è diviso Canto del Mediterraneo sono “Canto della bellezza”, “Canto della speranza” e “Canto dell'amicizia”, e in fondo sono queste a prevalere grazie all'ottimismo dell'adamantina coscienza)...
Non è tardi per essere folli
Giammai tace il folle, abbozza a tratti disegni
di verità larvate, scopre lapidi di tombe ove
giacciono scheletri d'interminabili metamorfosi.
Ecco, rimanere legati alle radici dell'indipendenza
apre varchi alla follia, alla gogna affida l'uomo
rimasto con se stesso, chiude stanze di palazzi
ove a tratti uomini in maschera esercitano
stucchevoli magie quotidiane.
Trovare folli fra la gente per entrare
nel duello di finzioni, la speranza
del nostro tempo di vedere accartocciato
il divario tra luce e tenebra,
verità e menzogna,
immagine e realtà.
Non è tardi per essere folli!
Forse bere vino senza polvere aprirà
gli occhi alla coscienza, prima che altre mani
vi piantino per sempre semi corruttibili.
Che non si spenga la fiamma della follia, ora
che perfino l'aria odora di mafia,
d'acque putrefatte e di terra bruciata;
che non si spezzi il filo che tiene ancora
in vita schegge capaci di rompere
vetri opachi di città piegate alla rassegnazione.
Che altro dire o fare se non raccomandare alla pubblica attenzione e immergersi nella lettura dei versi di questo lirico immerso nel soave rombo dei giorni che rotolano alla meta, mossi dal vento dell'ideale, cullati dalla risacca che ci porta echi e voci di terre remote e uomini lontani che pur tuttavia sentiamo fratelli.
Alberto Figliolia