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Perché voterò e voterò no ai tre referendum elettorali del 21 e 22 giugno
18 Giugno 2009
 

Il 21 e il 22 giugno andrò a votare. Riconosco enorme importanza allo strumento referendario e non diserterò le urne, anche a rischio di far vincere i sì.

La seconda scheda elettorale che la Costituzione assegna ai cittadini con cui correggere l'operato dei legislatori, il referendum abrogativo, è stata bistrattata fin dall'inizio e non è un caso che per avere la legge che istituisce il referendum (1970) si siano dovuti aspettare tanti anni lasciando la carta costituzionale lettera morta. Poi quando si è iniziata ad utilizzare si sono trovate da più parti modalità diverse per umiliarla: sentenze della Corte Costituzionale che ammettevano alcuni quesiti e non altri per meri calcoli politici; ammissibili solo quesiti che non lasciassero un vuoto legislativo e che fossero applicativi; elezioni anticipate per spostarli e dare tempo al legislatore di modificare la legge; modifiche normative fatte in fretta per evitare che i cittadini si esprimessero; campagne referendarie fantasma in cui l'informazione scompariva; il quorum mancato grazie ai morti iscritti nelle liste elettorali; quesiti vinti e traditi dal Parlamento (Tortora e la responsabilità civile dei magistrati, il finanziamento pubblico ai partiti, il ministero dell'Agricoltura e del Turismo, le leggi elettorali...); non ultime le date scelte per le consultazioni sempre più in estate avanzata. Quest'anno poi con la sola eccezione in Parlamento dei radicali, modificando ad hoc la legge referendaria e prorogando di una settimana il termine previsto. Nulla impedirà la prossima volta di indirli in pieno agosto, o di spostarli per anni.


Il referendum abrogativo, non può essere considerato uno stimolo per il legislatore, una sorta di sondaggio qualificato che indica una strada da percorrere. Il referendum abrogativo cancella una legge o una parte di essa e risulta immediatamente applicativo. Ogni volta che il legislatore ci ha rimesso le mani sopra, lo ha stravolto o tradito.


Gli effetti dei tre quesiti referendari di oggi sarebbero di modificare la legge elettorale di Camera e Senato per consegnare al solo partito che ha preso più voti il premio di maggioranza (e non più alla lista di partiti che si è presentata come coalizione elettorale), mentre con la terza scheda si eliminerebbe la pratica delle candidature multiple che permette ad un leader di partito di presentarsi in più collegi e solo dopo di scegliere quello in cui risultare eletto. Una pratica che permette attraverso il gioco delle opzioni di far scattare un seggio in un collegio piuttosto che in un altro, facendo quindi dipendere l'elezione dalle scelte di un altro candidato e non dal voto degli elettori. Con l'approvazione del quesito si sposterebbe temporalmente questa scelta, ossia si anticipa a prima delle elezioni, ma sempre alle segreterie dei partiti spetterebbe, mentre all'elettore resterebbe solo la possibilità di ratificare. Effetti importanti si potrebbero avere solo per i piccoli partiti a leadership forte, come quello radicale ad esempio. Non si risolverebbe quindi il problema principale dell'attuale legge elettorale, che invece il referendum ratificherebbe, ossia dell'impossibilità per gli elettori di scegliere i candidati, né con il sistema delle preferenze, né con quello ancora più affidabile dei collegi uninominali maggioritari dove il candidato che prende più voti vince, principio su cui si basano le democrazie anglosassoni.


Gli altri due quesiti referendari, nati con l'obbiettivo di far governare chi vince le elezioni, quando il Governo Prodi si trovava alle prese di una coalizione di sette e più partiti, oggi hanno perso il loro principale obbiettivo, visto che il risultato di avere coalizioni fatte da uno o due partiti è già stato ottenuto. Non è a rischio la governabilità di Berlusconi, cioè di avere due partiti che lo sostengono in Parlamento e che oggi si sono spartiti il premio di maggioranza, invece di uno solo. Avrebbero potuto cambiare i rapporti di forza interni fra Pdl e Lega, ma non credo che sia per questo utile votare sì al referendum, mentre capisco perché la Lega inviti a votare no, come pure Berlusconi avesse fatto un pensierino a votare sì...

Ma oltre gli interessi dei singoli partiti, non si vede l'interesse per il cittadino per la modifica che uscirebbe dalle urne.

E siccome non credo al referendum stimolo, sondaggio che dia al legislatore una indicazione, ma credo che il voto e l'esito siano sacri, non vorrei che poi il Parlamento ci rimetta le mani. E se valuto la legge attuale e quella che uscirebbe dalle modifiche referendarie, il giudizio resterebbe invariato: una schifezza, o come l'ha definita il suo autore, il ministro Roberto Calderoli, una porcata.

Una legge che demanda alle segreterie la compilazione di liste bloccate, e all'elettore l'unica arma della ratifica. Gli eletti resterebbero nominati e il controllo dell'elettore potrebbe essere indirizzato solo al partito e alla segreteria che ha compilato le liste dei candidati. Un meccanismo volto a scoraggiare l'eletto a svolgere appieno il suo compito di parlamentare che, come indica la Costituzione, è senza vincolo di mandato, perché il mandato non gli viene affidato dagli elettori ma dall'oligarchia del suo partito, a cui interesserà avere parlamentari affidabili e fidati, disponibili anche a piegare gli ideali in nome dell'obbedienza e della eventuale rinomina.


Mi sono avvicinata alla politica militante attraverso un banchetto radicale che raccoglieva delle firme per i 18 referendum del 1995. Subito dopo aver apposto la mia firma ho iniziato a chiedere le firme passando dall'altra parte del banchetto radicale. Ammiro quei Paesi come la Svizzera e gli Usa che utilizzano questo strumento di democrazia diretta con costanza e dando il giusto rilievo.

Credo troppo allo strumento referendario per non andare alle urne e poi lasciare dire che agli elettori piace l'attuale legge (come è stato detto dopo l'astensionismo per la legge 40 sulla procreazione assistita); credo troppo allo strumento referendario per non valutare l'esito del referendum ed avere una legge elettorale che non risolva i nodi della rappresentanza e che per assurdo la confermerebbe!

Se poi qualcuno crede che l'attuale maggioranza parlamentare sarebbe in grado di migliorare la legge come conseguenza dello stimolo referendario, può già iniziare a documentarsi sui possibili effetti: dimezzamento del numero dei parlamentari-nominati, voto solo al capogruppo nell'ottica di uno svilimento sempre più aggressivo della democrazia, trasformazione di Camera e Senato in organi di ratifica del Governo di turno. Un presidenzialismo e un maggioritario con i pesi e contrappesi dei sistemi democratici anglosassoni o un regime partitocratico perfezionato?

 

Donatella Poretti


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