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Paolo Brondi: Equilibrio e dovere in Nietzsche
14 Giugno 2009
 

Violare il potere altrui , non  attraverso la contestazione o lo scontro di piazza, ma con regole e principi derivanti dal dovere, è sinonimo di vita associata, consapevole dell’esistenza della giustizia e delle norme del diritto che regolano le scelte individuali e sociali. Così pare intendere Nietsche, quando dice “ Il dovere è un sentimento che costringe, che spinge all’azione, e che noi chiamiamo buono e riteniamo indiscutibile.”( Il Viandante e la sua ombra, 43, in Umano, troppo umano, vol. 2, pag. 162). L’equilibrio comporta  che “..noi promettiamo determinate cose, che possiamo obbligarci ad esse(libertà del volere)…. Che abbiamo la stessa fede degli altri..”(Aurora ,p. 80 ). E ancora:  “Equilibrio è un concetto molto importante per la dottrina più antica del diritto e della morale; l’equilibrio è la base della giustizia” (Il viandante e la sua ombra, 22 pag. 148).

 

 Ma l’ effimera natura delle cose umane rimodella continuamente i giochi di potere e non facilita  il mantenimento delle condizioni che favoriscono l’affermarsi della giustizia e del diritto, quali:

 

·           un certo sistema di concetti, di regole razionali, valide per qualunque coesistenza

 

·           la maturazione del sentimento del dovere;

 

·           la realizzazione  dell’equilibrio;

 

·           l’espressione di una  fede reciproca.

 

“L’uomo giusto ha continuamente il bisogno della delicata sensibilità di una bilancia….Essere giusto è quindi difficile, ed esige molto esercizio, molta buona volontà e uno spirito assai ricco e buono”( Aurora , libro II  ,112 pag. 81)

 

Echeggia qui la lezione di Hegel che distingue fra volontà soggettiva, volta a soddisfare fini particolari, dipendente com’è da passioni anguste, e volontà che si muove nell’essenziale ed ha questo stesso come scopo della sua esistenza: l’essenziale è la totalità etica, dispiegata nelle forme del diritto, della morale e dell’eticità. In Hegel non facile è la crescita della spiritualità, prevalendo spesso individualità sottomesse alle passioni, ai fini dell’interesse particolare, alla soddisfazione dell’egoismo. Analogamente per Nietzsche arduo è il cammino dell’uomo verso la saggezza, da cui deriverebbe la libertà e quindi l’affermazione del diritto positivo che è garanzia del  por fine alla guerra e all’inutile sperpero fra simili .

 

Ne costituisce prova la molteplicità delle forme di “bontà” raggiungibili dall’uomo, mai in modo assoluto, ma sempre determinate dalla trasmutazione dei tempi, delle credenze, della logica dominante.

 

Nella Genealogia della morale, il “buono” rappresenta una connotazione derivante da determinati rapporti di potere.Chi detiene il potere è anche in possesso di un codice linguistico di certo più espanso e ricco di quello dei sudditi, ed in forza di ciò può imporre nomi, denominando ad arbitrio cose e avvenimenti che diventano quindi segni autoreferenziali.

 

In Umano, troppo Umano, Nietzsche inscrive la qualità dell’essere “buono”nell’ordinato porsi del comportamento individuale lungo le direttrici del conformismo e della tradizione: “Si dice “buono” chi, dopo lunga tradizione, fa quasi per natura, in altre parole facilmente e volentieri, ciò che è conforme al costume qual è di volta in volta (per esempio si vendica se la vendetta appartiene, come presso gli antichi Greci, al buon costume). Egli è detto buono perché è buono “a qualcosa”; dato però che benevolenza, compassione e simili furono sentite, pur nel mutamento dei costumi, sempre come “buone a qualcosa”, come utili, ora si dice principalmente “buono” il benevolente, il caritatevole”( Umano, troppo umano , vol. I ,96 ,pag. 73, 74) . Ancora, In Umano, troppo umano, vol. 1^, associa la bontà alla“forza di carattere” che vede in possesso di chi si conduce “ in conformità a pochi motivi, ma sempre in base agli stessi”, orientato non da “cinquanta possibilità”, ma da “forse solo due possibilità”. La logica articolata su solo due possibilità irrigidisce i  concetti , ponendo ad es. il bene come assolutamente bene e il male come assolutamente male, e legittimando  quindi lo sterminio del male  con tutti i mezzi a disposizione.

 

Il legame fra questa logica primitiva a due valori e ogni genere di conflitto è evidente!  “Sin da quando Hitler raggiunse il potere disse al popolo tedesco che era circondato da nemici…

 

…qualsiasi cosa che Hitler decidesse di chiamare “ariana” era per definizione nobile, virtuosa, eroica, insomma gloriosa…. Il coraggio, l’autodisciplina, l’onore, la bellezza, la ricchezza e la gioia, erano “ariane”. L’assassinio degli ebrei diviene alla luce di quest’orientamento un dovere morale da essere eseguito metodicamente e coscienziosamente”(Ibidem, p. 263)

 

In prospettiva genealogica, chi ragiona in tal modo, e oggi non mancano esempi, è l’individuo conformista che salva e preserva i valori della tradizione attraverso l’aspetto autoritario della legge.

 

“Tutti gli stati e gli ordinamenti della società: i ceti, il matrimonio, l’educazione, il diritto, tutte queste cose hanno la loro forza e durata solo nella fede che ripongono in loro gli spiriti vincolati- in altre parole nell’assenza di ragioni, o per lo meno nel rifiuto delle indagini sulle ragioni…. Anche lo Stato procede così , e ogni padre educa in ugual maniera il figlio: tieni per vero soltanto questo, dice, e sentirai come questo fa bene”’(umano, troppo Umano, I , 227, pp. . 164)

 

Di contro agli “spiriti vincolati”, confinati entro un’angusta visione del mondo, stanno gli “spiriti liberi”- di cui oggi sembra aversi carenza -  uomini “dotati di grande elasticità; capaci di “respirare in modo più calmo, più lungo e più costante “  ; uomini  in grado di non farsi coinvolgere dalla mutevolezza degli eventi esterni o dai sovvertimenti politico-sociali , e capaci, invece, di “tuffarsi con tutta la forza accumulata, e per così dire con un lungo respiro, nell’elemento del conoscere” (. Umano, troppo Umano, I 291, p. 200)

 

Complesso è dunque l’apprendistato, quel vivere “per esperimento”, che rende lo spirito libero capace di “avventura”, di aprirsi al nuovo, all’imprevisto, al rischio, ma anche spinto a guardarsi indietro riconoscente,.

 

“riconoscente alle sue peregrinazioni, alla sua durezza e al suo estraniamento da sé, ai suoi sguardi di lontananza e ai suoi voli da uccello in grandi altezze. Che fortuna non essere rimasto sempre “a casa”, sempre “con se stesso”,come un fannullone delicato e intanfito….Che felicità ancora nella spossatezza, nella vecchia malattia, nelle ricadute del convalescente!” (Umano, troppo umano, I Prefazione p. 8)

 

                                                                       

 

                                                            Paolo Brondi


 
 
 
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