L’elevata necessità di fuga da possibilità negate e perfino inesistenti, denominata, in tempi meno spogli di carità e redenzione, emigrazione, crea oggi la figura del clandestino il cui pur minimo spazio di speranza è colmo di un disagio che rende tragicamente problematico il suo presente . Al clandestino non è data libertà di scelta: la sovrabbondanza del negativo che da ogni parte lo costringe, gli impedisce di elaborare informazioni e lo espone a cocenti delusioni.
Per converso la presunzione di possibilità raggiunte e da difendere con ogni mezzo è forma costitutiva del sistema che nega le diversità finendo spesso per negare le sue stesse negazioni. L’intersoggettività è costruita come non identità di soggetti, invece che apertura di nuove e perfino provvide possibilità all’interno del sistema stesso; una trionfale, mediatica, catena d’eventi, mentre si pone a giustificazione delle scelte operate da chi non dispera del presente e del futuro, espropria gli altri, i clandestini, d’ogni dimensione del tempo e li espone alla catastrofe della storia . Il male oscuro di cui la clandestinità pare, non con scontata verità, interprete e messaggera impedisce di riconoscere nella stessa istanze di libertà egualitaria ed arrocca le difese della libertà civile. Questa dicotomia, inesistente per la sfera del diritto-privilegio della libertà privata, segna la patogenesi della nostra modernità ed apre per i clandestini una storia che è storia di infelicità.
Paolo Brondi