Gianni Minà sceglie ancora una volta la strada dello scontro e si schiera anima e corpo in difesa dell’ultimo comunismo, quel regime totalitario dei fratelli Castro che non conosce libertà di espressione e di movimento, oltre ad avere le carceri piene di prigionieri politici. L’ultimo numero di Latinoamerica è tutto per Yoani Sánchez, definita ironicamente la bloguera anti-sistema più famosa di Cuba, anche se Minà sa bene che in un paese dove non esiste libertà di stampa un giornalista indipendente non può essere conosciuto.
Minà non entra nel merito di ciò che Yoani scrive da oltre due anni (si è accorto che esiste soltanto da pochi mesi, chissà perché…), a lui non interessa scoprire se è vero che a Cuba mancano le libertà essenziali e neppure capire come mai vige un aberrante doppio sistema monetario. A Minà interessa soltanto lo sporco gioco di squalificare alla radice l’interlocutore politico, tecnica usata dal regime sin dai tempi di Heberto Padilla e praticata sistematicamente ogni qual volta si fa sentire una libera voce dissidente.
Minà sostiene che il successo internazionale di Yoani Sánchez sarebbe una colossale messa in scena, cominciata con il premio “Ortega y Gasset” assegnato da El País e finanziata dagli Stati Uniti d’America, che vorrebbero ingaggiare una guerra telematica alla Rivoluzione cubana. Minà prosegue il suo sermone contro la blogger con il solito argomento che nei paesi confinati con Cuba la situazione è peggiore, ma nessuno si interessa dei giornalisti mandati a morire davanti a un plotone di esecuzione. Non mi risulta, egregio Minà, a me pare che movimenti come il partito radicale hanno sempre denunciato ogni tipo di violazione della libertà personale. Non esiste un interesse a parlare soltanto di ciò che non va a Cuba, ma ci permetta di fare anche questo.
Minà ricorda che nei racconti di Yoani Sánchez ci sono delle dimenticanze. Qualcuno ha mai dipinto la blogger cubana come un soggetto politico? Yoani è una scrittrice che narra il quotidiano e non si è mai definita una dissidente. Minà dice che nel suo blog (www.giannimina.it) è stato offeso dagli anticastristi per aver criticato la Sánchez. Resta il fatto che il suo blog non è aperto ai commenti, quindi nessuno può leggere le critiche rivolte al giornalista, mentre il blog della Sánchez (in spagnolo come in italiano su www.lastampa.it/generaciony) è liberamente commentabile ed è pieno di castristi italiani mandati da chissà chi a sputare livore e acredine. La differenza tra Minà e la Sánchez sta tutta qui. Minà censura e non pubblica le critiche, in puro stile comunista, mentre noi mettiamo ogni commento senza censurare niente.
Ne abbiamo abbastanza, egregio Minà, di sentir giustificare la mancanza di libertà a Cuba con gli attacchi terroristici, con Posada Carriles e amenità varie. In Italia c’è stato il terrorismo, ci sono state le Brigate Rosse, ma nessuno ha mai eliminato la libertà personale. I motivi dell’assenza di libertà sono ben altri e Minà lo sa meglio di noi, soltanto che non lo vuol dire.
Perché Minà non ci parla dello stato dell’informazione a Cuba? Televisione di regime e stampa monocorde dove il leitmotiv fa venire a mente 1984 di George Orwell. Minà non abbandona il solito assurdo paragone tra Cuba e le nazioni confinanti, continuando nell’ipocrita messa in scena di annoverare Cuba tra i paesi del Terzo Mondo. Se Cuba è diventata Terzo Mondo lo deve solo a Fidel Castro e alla Rivoluzione, colpevoli di aver arrestato ogni forma di sviluppo economico. Per dirla con Cabrera Infante: «A Cuba il comunismo ha nazionalizzato la miseria».
Minà avanza motivazioni ideologiche e di difesa dal nemico sull’altra sponda, ma non si sogna di dire che a Cuba nessuno può uscire dal Paese liberamente, neppure se ha i soldi per pagare un biglietto di aereo. In compenso, il giornalista amico di Castro ci parla di una cyber guerra mossa contro Cuba dai tempi di Bush e afferma che Yoani sarebbe una pedina di questo scacchiere. Minà non si rassegna al fatto che a Cuba esiste una generazione di giovani che non ne può più delle balle rivoluzionarie e che chiede soltanto di avere qualcosa in cui credere. Secondo Minà, la presenza diffusa di giornalisti indipendenti cubani su Internet sarebbe un’arma di offesa per una miglior applicazione dell’embargo. Eccoci ancora alla favola dell’embargo, padre di tutti i mali. La libera espressione di idee su Internet sarebbe una creazione del nemico e non una spontanea manifestazione di idee da parte di una generazione stanca che vorrebbe cambiare una società cristallizzata su se stessa.
Yoani parla al mondo, egregio Minà, certo che per lei è difficile parlare ai cubani, ma prova a farsi conoscere anche in patria distribuendo CD e floppy con le pagine del suo blog. Come potrebbe parlare ai cubani dell’isola se il blog è oscurato? Come può parlare un giornalista indipendente privo di media che lo possono ospitare?
Minà non perde neppure un minuto per dire che Cuba è un Paese dove manca la libertà di stampa, vige il pensiero unico, è proibita ogni libera iniziativa economica e non esiste libertà di movimento.
In conclusione giova ricordare che Minà non si occupa mai dei problemi provocati alla povera gente da un assurdo doppio sistema monetario. Gli stipendi vengono pagati in pesos, mentre gli acquisti si devono fare in pesos convertibili (falsa moneta parificata al dollaro). Minà non dice che i cubani sopravvivono grazie alle rimesse degli emigrati, soprattutto con i soldi di chi vive nell’odiata Miami. No, Minà preferisce diffamare e scrivere che Yoani e tutti gli altri blogger che raccontano le mancanze del quotidiano sono creature del gruppo Prisa (editore de El Pais in Spagna e di Noticias 24 in Venezuela).
La filippica di Minà giunge dritta allo scopo: delegittimare una persona come Yoani Sánchez così difficile da delegittimare, una blogger che fa della narrazione di un quotidiano la sua arma migliore, di una scrittrice che racconta i problemi di una società priva del bene più prezioso: la libertà.
Egregio Minà, sappiamo bene che al mondo ci sono altri luoghi dove manca la libertà, sappiamo pure che in Nicaragua e in Colombia si vive peggio che a Cuba. Ma ci permetta di parlare di Cuba, per favore. Non divaghiamo come al solito. Altri si occuperanno dei problemi di Nicaragua e Colombia, magari pure della Cina e della Birmania. A noi interessa Cuba. Possiamo parlare dei problemi reali di una terra a noi cara, invece di diffamare e di screditare chi racconta un difficile quotidiano?
Gordiano Lupi