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Pablo Pacheco, un prigioniero che scrive
07 Giugno 2009
 

Yoani Sánchez ha dato il via a una nuova forma di espressione del pensiero, la sola che possa definirsi libera in una terra come Cuba, retta da una dittatura che non accenna a finire: scrivere in rete. I blogger cubani stanno fiorendo sempre più, si può leggere una lunga lista su Generación Y, ma la cosa più importante è che le voci sono variegate e libere.

Voglio presentarvi un blogger singolare come Pablo Pacheco (foto), un giornalista indipendente, condannato a vent’anni di galera durante la repressione della Primavera Nera del 2003. Pablo si trova nel carcere di Canaleta, a Ciego de Ávila e detta per telefono i testi del suo blog. Per questo il sito internet (pubblicato grazie a un server straniero) si chiama Voce tra le sbarre (Voz tras las rejas) ed è raggiungibile all’indirizzo: http://vocescubanas.com/voztraslasrejas.



Storia di un uomo nuovo


Una fredda mattina del 26 gennaio del 1982, veniva al mondo Pedro Julio Ferrer Rodríguez, nell’ospedale di Remedios provincia di Villa Clara, Cuba, che con il tempo fu soprannominato affettuosamente “Periquín”. Per un caso della vita, questo ragazzo è nato nell’anno dei Mondiali di calcio di Spagna 82, e sempre per un caso del destino, sin da piccolo si è appassionato a questo sport. È diventato tifoso della squadra italiana e si è sempre vantato di essere nato proprio nell’anno in cui questa nazione ha ottenuto il suo terzo titolo planetario.

Periquín”, dopo un mese dalla nascita, è stato abbandonato dalla madre naturale, e da allora i nonni paterni si sono fatti carico della sua educazione. Ben presto, il bambino ha preso la mano agli anziani e, a causa di un carattere aggressivo, ha avuto parecchi problemi con i compagni di scuola e si è preso continui rimproveri dei maestri.

C’è stato un periodo della sua infanzia che “Periquín” passava più tempo fuori dall’aula che ad ascoltare le lezioni, l’orario scolastico si era trasformato in sinonimo di bagni al mare, montare cavalli rubati, lanciare pietre alle galline e altre birichinate minori.

Non aveva ancora compiuto 12 anni quando ha abbandonato gli studi, dopo aver ripetuto un’altra volta la quinta elementare. Per questo motivo gli addetti alla vigilanza sui comportamenti deviati dei minorenni del paese di Punta Alegre hanno assegnato “Periquín” al carcere minorile di Ciego de Ávila.

È rimasto in quella prigione per un anno, dopo è stato trasferito a Camagüey, a oltre duecento chilometri dalla sua residenza. “Periquín” ha passato un altro anno nel carcere minorile di quella provincia, dove è stato liberato dopo un periodo rieducativo.

Il ragazzo è cresciuto, sebbene non ancora adulto, e ha continuato nel suo cammino sbagliato. Nell’anno 2000 è stato condannato a un anno per il furto di un cavallo avvenuto nella sua località. Ha passato questo tempo a compiere un lavoro correttivo con internamento, ma questa misura non è servita da lezione.

Nel 2003 torna in prigione, questa volta per scontare cinque anni dietro le sbarre, per identico delitto, ma con animale diverso: un maiale. Mentre scontava la condanna, nella prigione provinciale “Canaleta” di Ciego de Ávila, si è fatto alcuni nemici, ma nessuno è stato mai pericoloso come i suoi stessi carcerieri e a metà pena è stato sanzionato a dieci mesi di privazione della libertà per aver lanciato un contenitore di cereali caldi contro un altro prigioniero, provocandogli lesioni.

Periquín” viene messo in libertà nel 2007, annoverava un fascicolo criminale dovuto a una serie di zuffe e di liti all’interno del carcere. Essere un uomo libero, invece di riabilitarlo, l’ha trasformato in un delinquente professionale, come accade a quasi tutti, nelle prigioni di Cuba. Oltre l’80% dei reclusi sono recidivi.

Le autorità competenti liberano “Periquín” nel 2007, e lui riesce a godere soltanto per un mese della condizione più preziosa per un essere umano: essere liberi. Era come se fosse segnato per la vita, ma la colpa maggiore ricadeva sulle spalle di “Periquín” e di un sistema che segna gli uomini, come il bestiame che viene marcato ed è incapace di reagire quando sta per essere macellato

Sono trascorsi due anni e Pedro Julio (Periquín) nega di aver commesso il nuovo delitto per il quale è finito in galera e deve scontare altri nove anni. I testimoni presentati dal pubblico ministero assicurano che è stato proprio lui a vendere la carne del cavallo. Uno dei testimoni è un uomo di oltre settant’anni, che ha visto “Periquín” nelle tenebre, mentre squartava il cavallo.

Oggi Pedro Julio Ferrer ha 27 anni e ne ha trascorsi dieci, dietro le sbarre della prigione. Nell’ultima zuffa è stato sfregiato al volto. Sono anni che non vede la sua madre naturale. E lui chiede ogni volta alle autorità del carcere che gli consentano di andare a trovare i nonni che vivono a oltre cento chilometri dal carcere, visto che hanno quasi ottant’anni e non possono venire a fargli visita. C’è un’altra distanza tra lui e i nonni. Ma quella la sa soltanto lui. E sa quanto gli farebbe bene tornare indietro, anche se non dimentica che il tempo è irreversibile.

Questa famiglia non si incontra da oltre due anni ed è probabile che i suoi componenti non riescano più ad abbracciarsi. Mentre era in carcere “Periquín” ha perso il padre naturale. E lui, ancora non ha messo su una famiglia. Assicura che i nonni vivono in condizioni difficili e vanno avanti solo con la pensione degli anni in cui hanno lavorato.

Un giorno sogna di abbandonare il paese, per poter aiutare i due esseri umani che più ama e che rappresentano i soli affetti rimasti. Non riceve nessuna visita. La solitudine l’ha trasformato in un fantoccio, che consuma stupefacenti e che compie atti lesivi sul suo corpo, tagliandosi le mani. Ci sono momenti in cui mi guarda, ride con ironia e finisce per dire: “Politico, pure io faccio parte dell’uomo nuovo che questa rivoluzione ha costruito”.


Pablo Pacheco

Prigione di Canaleta, Ciego de Ávila

(da Voce tra le sbarre, 5 giugno 2009)


Traduzione di Gordiano Lupi


Foto allegate

Salvador Dalí,
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