Aprile per noi era un approdo
un ancoraggio al porto della gioventù
e lei una creatura in fiore
che passava ogni giorno sul ponte
dell'Adda periglioso come un veliero
sull'onda delle nostre mani. Ricordi, Giorgio
come scorreva l'acqua del disgelo
tra gli alberi rugosi della “Castellina”?
Ricordi il giorno che fondammo sulla riva
il “partito della giustizia universale”?
Distillammo sotto una nuvola dorata
i secoli, le guerre, le dinastie, le conquiste
di Cesare, le orde di Temucin, la caduta
dei tiranni e poi la fatica della nostra gente
che ancora passava la frontiera in silenzio
col piccone piantato nelle fondazioni della casa
il bosco ripulito dal lampo delle scuri
l'aurora consumata nei soliti bicchieri.
Il mondo stava in poche pagine
ancora non corrose dalla ruggine del tempo.
E noi volevamo scrivere un'ode
congiuntamente, per sottoscrivere quel sogno.
Poesia civile, didascalica, di appartenenza?
Perché non potevamo dipingere insieme
tu lo sai, una specie di marcia
del “quarto stato” che fosse il manifesto
dell'idea. E poi? E poi vivemmo, Giorgio
vivemmo senza ritegno nel tiepido favo
degli anni. Credemmo alla primavera della Terra
sulle carte dell'Asia, dell'Africa, dell'America
amammo il “Che” e piangemmo la sua morte
consumammo solitudine e parole all'ombra delle valli.
Seguirono le albe i tramonti le nebbie di ogni giorno.
E noi sempre più lontani da noi stessi.
Venne la caduta del Muro, l'Europa
riaprì le sue piazze alle canzoni dei giovani
all'oro delle cupole, al nuovo Millennio
giunto a passi rapidi sui nostri giardini
inariditi. A una a una caddero le cose.
Dove abbiamo buttato, amico, le perle? Dove
le sere, la musica, l'amore? Dove i giorni
i mesi, gli anni? Dove la nuvola dorata
di quell'aprile lontano? Dove?
Gino Songini