Accingendosi a scrivere la Costituzione, Benedetto Croce, non credente, invocò l'assistenza dello Spirito Santo
Dello stesso slancio ideale ci sarebbe bisogno oggi per ritrovare, nonostante la grave crisi, il cammino della solidarietà e della speranza
La più scontata delle similitudini, di fronte all'ineguale distribuzione della ricchezza (con la globalizzazione attuale non ne possiamo parlare che a livello mondiale), è quella della coperta troppo corta o troppo lunga a seconda da che parte viene tirata. È ovvio che per quelli che stanno al calduccio e al riparo dalle intemperie non è certamente troppo corta e non sarà mai nemmeno troppo lunga dal momento che continueranno a tirarla dalla loro parte. Fuor di metafora occorre dire che, di fronte a una crisi economico-finanziaria come quella attuale, emergono più che mai le contraddizioni che investono il nostro mondo. Ma, per non fare la fine di Icaro, non voliamo troppo alto e apriamo invece gli occhi su quello che avviene intorno a noi. Anche nei nostri paesi “ricchi” lo tsunami della recessione si è abbattuto pesantemente producendo i suoi devastanti effetti: crollo dei mercati, interruzione del flusso dei crediti, mancanza di investimenti, sfiducia generale e di conseguenza pesanti riflessi sull'economia reale e sul mondo del lavoro. Ecco quindi precari divenuti disoccupati, lavoratori in cassa integrazione (e magari in attesa di licenziamento), fabbriche che, una dopo l'altra, chiudono senza alcuna speranza di riaprire, giovani diplomati, laureati e persino plurilaureati, che non hanno alcuna aspettativa per il futuro. È pur vero che nel nostro orticello valtellinese forse, dico forse, ce ne accorgiamo meno che altrove, non fosse che per i numeri piccoli della nostra scala di riferimento, ma anche da noi c'è poco da stare allegri. Anche da noi, che pure negli ultimi decenni abbiamo visto ridursi quasi a zero disoccupazione ed emigrazione, comincia a farsi sentire un'aria quale non sentivamo da tempo. Vediamo i nostri giovani sempre più sfiduciati di fronte a una situazione che non li ripaga minimamente delle loro attese o del loro impegno.
Nel resto d'Italia va anche peggio. Il famoso Nordest, con il suo boom economico senza precedenti, sta pagando un pedaggio pesantissimo alla crisi. Anche da quelle parti, e più che altrove, chiusura di fabbriche, cassa integrazione, licenziamenti. In altre regioni d'Italia poi, come ad esempio la Sardegna (ricordo questa terra perché, vivendoci alcuni mesi ogni anno, la conosco bene), la crisi è la classica pioggia che cade sul bagnato. Sull'isola la situazione è drammatica e il dilemma a cui troppi si trovano di fronte è questo: accontentarsi di tirare avanti alla meno peggio o andarsene per sempre, lasciando alle spalle una situazione che non dà speranza.
Di fronte a tutto questo chiediamoci: come si può pensare di aiutare la società a crescere se un giovane non ha alcuna prospettiva davanti a sé? Quale futuro possono pensare di costruire un ragazzo o una ragazza senza lavoro? Come possono pensare di formare una famiglia? A cosa può servire il loro diploma? A cosa la laurea?
La coperta, da corta, per alcuni sta diventando cortissima. Sta diventando cortissima per molti uomini che si stanno muovendo sullo scacchiere del mondo come onde sospinte dal vento. Partono in massa dalle loro terre affrontando le incognite di un viaggio quasi senza meta. Ma l'importante è andarsene, varcare le frontiere, attraversare deserti e mari sconosciuti in cerca della sopravvivenza. Spesso lasciano terre ricche di ogni ben di Dio, dai diamanti al petrolio, dall'oro al cotone, dal legname pregiato al caffè, ecc., nelle quali però non c'è né lavoro, né scuola, né assistenza sanitaria, né possibilità di dare un avvenire ai figli. Le risorse di cui quelle terre abbondano se ne vanno per altre strade. E a quella povera gente non resta che partire, camminando nella polvere. Anche nelle ricche città americane il numero degli sbandati e degli emarginati è in continua crescita e le periferie, dove il degrado la fa da padrone, si riempiono sempre di più di un'umanità dolente e disperata.
Ma, per tornare alla similitudine di cui si diceva, c'è per alcuni, in Italia, in Europa, nel mondo, una situazione per la quale è possibile tirare ulteriormente la coperta dalla loro parte. La crisi offre loro la possibilità di speculare sulle difficoltà degli altri. Ed ecco il crollo del prezzo delle materie prime, svendute (e acquistate) a prezzi di saldo, ecco le speculazioni immobiliari, ecco le ricapitalizzazioni compiute a carico della collettività, ecco le grandi società che, invece di sfidarsi lealmente sul terreno dell'innovazione e della concorrenza, preferiscono coalizzarsi ricattando i governi, ecc. Ma mi sto accorgendo di tornare a svolazzare (non dico volare) troppo alto per le mie modeste competenze economico-politiche e quindi, ancora una volta, vedrò di tornare con i piedi per terra e di limitarmi a osservare quello che vedo. Cos'altro vedo? Vedo quello che anche voi vedete, amici lettori: ad esempio il mercato delle auto di lusso che va a gonfie vele (mentre crolla il mercato delle auto medie e utilitarie), gli stipendi di calciatori e allenatori che aumentano a dismisura senza che nessuno abbia niente da ridire (dipendesse da me, andrebbero tutti a lavorare nei campi), i presidenti delle squadre di calcio che sborsano centinaia di milioni di euro (!!) per ingaggi e campagne acquisti a dir poco scandalose, incantatori televisivi che intascano un milione di euro per quattro serate a Sanremo, manager italiani, europei e americani che, alla faccia della crisi finanziaria da loro stessi provocata, si attribuiscono bonus milionari. Ecco cosa vedo. E intanto le speculazioni finanziarie continuano e i pescecani se la ridono. Anche il neo-presidente degli Stati Uniti Obama è intervenuto duramente sulla questione dei bonus manageriali e delle speculazioni in borsa, parlando di «cultura dell'avidità, dei compensi eccessivi, dei rischi eccessivi». E a queste parole di indignazione ha fatto seguire un piano, che sarà curato dal suo ministro dell'Economia, che prevede la nascita di una autorità che vigili sui compensi di banche, assicurazioni e fondi. Anche per Obama insomma, non si può andare avanti così.
Questa crisi tanto grave però può anche segnare una svolta nei comportamenti di tutti, cominciando dal basso fino ai livelli più alti dell'economia e della politica, per arrivare fino a chi ha dirette responsabilità di governo. Perché se è vero che l'anelito di giustizia sempre presente nell'animo e quindi nella storia dell'uomo non è stato certamente placato dai diversi sistemi sociali costruiti negli ultimi cento anni (il comunismo ha fallito e il capitalismo ha mostrato e mostra troppi aspetti indecenti), è anche vero che l'attuale disastro ci obbliga a farci carico di responsabilità nuove, a cercare con tutte le forze una via che ci conduca verso una maggiore giustizia sociale. Non possiamo più accettare che le cose vadano come vanno, che le epidemie ancora facciano strage di bambini in tante parti del mondo, che molti esseri umani non abbiano di che sfamarsi, che non abbiano accesso all'acqua potabile, che non possano frequentare una scuola. Che i diritti più elementari vengano negati a troppo abitanti di questa nostra terra.
Se è vero, come dice il Manzoni, che a volte da un gran male può venire un gran bene, forse questa situazione di crisi può farci riflettere sui guasti di un sistema che si sta rivelando corrotto fino al midollo. Insieme dobbiamo trovare la forza per migliorare la società in cui viviamo. Dobbiamo lasciare ai nostri figli un mondo migliore, nel quale essi possano guardare con fiducia all'avvenire, abbandonando i miti che portano all'autodistruzione. Ci vuole buona volontà, ci vuole coraggio. Come quello che animò, alla fine della guerra, i padri della Repubblica, quando, accingendosi a varare la Costituzione, seppero lasciare da parte gli interessi partitici e i pregiudizi ideologici per varare una Carta che fosse quella di tutti i cittadini italiani. Lo stesso coraggio che animò Benedetto Croce, il più grande filosofo italiano del secolo scorso, laico e non credente che, di fronte a tale impegno si rivolse al cielo con la famosa invocazione: «Veni, Creator Spiritus».
Gino Songini
(dai "Pensieri inutili", 'l Gazetin, aprile 2009)