Sono cresciuta dentro le mura della nobile dinastia dei Carraresi, signori della mia città finché non è arrivata Venezia. E bene sia andata così, perché serenissima mi sento, e d'acqua, di laguna.
Ho un posto privilegiato, un luogo dove corro ogni volta che gli spazi stretti mi soffocano o la mente pesante mi opprime. È la riviera delle ville, di Stra, Mira, Dolo, Malcontenta. Passano una dopo l'altra queste dimore magnifiche, silenziose, nobili. E c'è verde attorno e acqua, ancora.
Pazienza se si deve attraversare Marghera: è un attimo e il petrolchimico è già scomparso. Ecco Fusina, un misero centro che guarda Venezia, da lontano, con soggezione. La mia meta è l'ultimo lembo di terra, un fazzoletto d'erba e cemento da cui immaginarsi lei, la Serenissima, aiutati dalle sole luci dei suoi antichi fasti che ancora pulsano in distanza. Questa è la mia Venezia, quasi indistinta, stanca, ma viva. Per me la notte è momento eletto: c'è silenzio, poche anime, e io spesso resto l'ultima, da sola. Capita, all'improvviso, in quella calma piatta, un rumore di ferro e acqua solcata: chiatte arrugginite tornano verso le raffinerie e mi passano a pochi metri. La visione sembra frantumarsi, invece tutto è parte del quadro. Un quadro di marmi, metallo, cristalli, alghe, camini, di un bar abbandonato con una vecchia insegna del telefono e le piastrelle azzurre che si intravedono dalle sbarre che lo imprigionano. Qui c'è l'imo e il superno della vita. E qui torno sempre.
C'è una poesia, nel mio librino, che in qualche modo ne parla, ma forse poco rende del significato di questo luogo, di questo strano, fortissimo legame che pare non allentarsi mai.
Sara Pozzato
FERMO IMMAGINE
Cornice d’oro aveva la foto di noi tre
e dallo scatto usciva il fragore di risate
così limpide e bianche da far piangere
nel silenzio appartato del cuore.
Negli specchi neri della Riviera,
luci tra le fronde, e marmi,
tra i sipari di ringhiere.
Poi a tratti, le nostre nebbie consuete:
geografie conosciute a memoria,
atlanti disegnati mille volte
su carte riposte in gelose segrete.
All’improvviso lei ancora,
la Malcontenta,
in solenne dormiveglia,
e il suo salice dorato,
a respirare nobili e stanchi,
cullati nell’ambra dei riflessi.
Poi Marghera, la laguna,
poi Venezia, da distante.
Fosse stato un anello quella curva,
da percorrere per sempre, lentamente.
E, girando, poter tornare e di nuovo tornare,
avverando la presunzione umana dell’eterno!
La mia strada è linea spoglia,
senza prati, né fontane.
Non limo i ciottoli,
non canto ai germogli:
c’è una villa ancor più triste
e l’edera che s’allunga nelle crepe
non promette alcuna pace.
E dalla mia boscaglia incolta
di resa e ribellione, grido ingenua
a quel ghiaccio indifferente,
invincibile nemico,
che presto graffierà
la sola foglia a me rimasta:
non c’è tempo nemmeno di ingiallire
per te, preziosa foto incorniciata,
che già sarà l’inverno.
Da Declinazione d’affetti, LietoColle 2009