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Paolo Brondi: Sull’inquieto esistere …
25 Maggio 2009
 

L’esistenza di tanti la cui vita è segnata dall’inquietudine diventa spesso problema e domanda, coscienza che s’interroga, ripercorrendo la trama del suo essere nel mondo, sospesa tra l’infanzia e la giovinezza e distante tanto da quell’universo di meraviglie cui aderiva bambina, come dal potere della fredda parola del mondo adulto.  La dimensione adolescenziale, che in tal modo sembra riguadagnata, può favorire la scelta del silenzio, rispetto alle parole parlate, per dar voce alla lingua dell’immaginazione, della fantasia, della creatività e tornare a nutrire il sentimento di stupore dell’esistere, cui segue la meraviglia, la ricerca del “novum”, in un cammino aperto e fecondo d’esperienze vive e gratificanti. Tuttavia, la via della ricerca passa attraverso i sentieri del tempo che non raramente frappongono ostacoli, specie se gravati da pesi e impedimenti e inesperti di trascendenza, dell’eros che fugge la povertà e va alla conquista di orizzonti sempre più ampi e luminosi.  L’inquietudine si radica allora  in coloro che si lasciano travolgere dal tempo che passa, necessitati dalla quotidianità, spersonalizzata nell’anonimo “si fa”, ”si dice”, ”si programma”, o nella paradossale sicurezza della logorante routine della vita di ogni giorno. Nasce così quel senso di “mancanza” che, in chi non si sente libero, si traduce in mistero, problema che soverchia i propri dati, non è risolvibile e, non raramente, espone a sottili tormenti e vertigini che, talvolta, trovano la voce del “grido”, quale perfettamente esemplificato  dal  dipinto di Edward Munch (1863-1944).

          

In chi, al contrario, si sente libero, anche ciò che non è, che manca, è garanzia di trascendere il dato, la situazione di fatto, e condizione di quel  sano squilibrio che genera movimento e ritmicità.

Nell’uno e nell’altro caso si tratta di operare una scelta. Ma altro è avviarsi a costruire il proprio destino traendosi a fatica dal buio delle incertezze, dei dilemmi, delle esitazioni, della solitudine, scorgendo lontano un piccolo raggio di sole;altro è mettersi in marcia in un’alba radiosa di luce, colmando i vuoti della propria esperienza, nella reale comunicazione con il mondo, le persone, una persona! Nel primo caso, in un contesto di luce poco chiarente, urge  l’adattarsi al mondo, il formarsi su esperienze note, su certi ideali, certe ideologie. La motivazione ad agire è spesso frenata da ruminazioni, preoccupazioni, distrazioni, paure. Nel caso opposto, sciolte le ombre e resa piana la via, più facile è l’appropriarsi del mondo, il diventare se stessi, l’essere con gli altri, insieme con gli altri: il decidersi, aprendosi alla consolante esperienza della communicatio amicitiae e della communio amoris. La meta raggiunta è condizione d’integrazione feconda di bisogni, valori, emozioni, credenze.   

   

 

                                                                  Paolo Brondi

 


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