ESILIO DELLA FAVOLA E DELLA PAROLA
Profondamente consapevole che la dittatura non avrebbe permesso deroghe alla parola “ non- iscritta all’elenco” e la prigionia dell’espressione sarebbe stata per lui intollerabile, dopo la guerra che fu inviato a combattere sul fronte dell’Est, il poeta affiderà al mondo dei ragazzi favole e racconti. Fu la prima fuga dalla lacerazione ad avvicinarlo all’area pulita dell’adolescenza come balsamo guaritore di se stesso e generoso verso il mondo. I giovani dovettero sembrargli l’unico elemento capace di curarlo e loro stessi, ipotesi di rinascita. Quel mondo gli concesse di mettere a fuoco quanto l’immagine e la figurazione nella parola convergessero in una situazione non indolore ma unica e possibile via di onestà umana e artistica. L’incontro con Breton a Parigi trovò fertile terreno in Gellu Naum per la sua scelta di una libertà dissacratoria della parola come normale mezzo di comunicazione e di professione. Insiste nei suoi testi la sacralità nel desacralizzare la nudità dell’immagine, scomporla e rifrangerla senza secondi fini. La posizione montaliana del non-dire e non-essere, era compressa da uno stile rigoroso che offriva sostegno ad una logica di componimento e ne ostruiva, come una diga, l’impetuoso infrangersi della parola verso un vuoto senza resa. Quest’ ultimo invece è dato scontato nell’autore in questione. Trafigge l’animo umano senza indagare sul perché e scandaglia con penetrazioni lunghe, immagini caleidoscopiche, rimozioni strappate , ironia e caparbietà sofferta, l’unico mondo possibile che è “l’altro dentro di noi”. L’inconscio s’invera ne “la quinta essenza” come sostanza embrionale pronta ad inglobare la meraviglia del vivere nel suo continuo rimareggiare per rimanere a galla e i versi cantano spigolosi, la sua ineludibile presenza nel nostro vivere.
“addio è arrivata la carrozza…/ si scorge già la cicatrice che presagisce la ferita”
E’ la cicatrice ad annunciare la ferita che l’ha causata in un rimando continuo a nuovi addii e solitudini “addio siamo partiti addio siamo rimasti solo noi due/ io che mi allontano sempre più/ tu che mi aspetti dietro a me nascosta/ nella carrozza tra le legna/ all’ombra marcia degli ex-ombrelli” , tra ombrelli che si imbevono d’acqua e pianto, che marciscono persino l’ombra e consumano il silenzio sospiroso, lo strappo di un allontanamento che accompagneranno la via senza involarsi dall’anima. “Il mio amico il pittore defunto/ mi chiama (non importa)/ gli scappano dalla bocca le lettere già disegnate/ tiene sottobraccio l’orribile libro scritto nell’idioma/ che parliamo nel pensiero/. Esistono quindi un linguaggio del pensiero e uno dell’anima che si fondono, scappano dalle labbra , rifiutano una koinè e vengono persino dai morti che possono aspettare ma non cessare di esistere nella terrestrità. Nel mondo del vissuto, il poeta trasferisce chi ci ha lasciato nella sua permanenza, nei ricordi, nel rimuginarne la sofferenza che spesso appare trasformata in un non-sense del normale più che dello straordinario. Ed è proprio in questa posizione la grandezza di chi rifiuta omologazioni non solo di pensiero ma di liricità e stile trovando il suo punto poetico più alto nella quinta essenza. Una religione laica del cielo lo spinge a capovolgere il mondo e ad inglobare l’etere, gli angeli precipitati per viverci accanto, le solitudini impenetrabili, lo scrigno dei pensieri più destrutturati formalmente ma incandescenti, l’ironia della vita nel gioco assurdo dei ruoli, esente dai quali, con fanciullesco gioco, Gellu Naum suggerisce il sogno come realtà e lo affida alla parola poetica. “(forse il mio infelice bisogno di rientrare nelle perdute causalità)”; “ l’albero si chinava e mi parlava con voce di ragazza”; “ il tremolio del cero il tremolio delle parole/ il tuo sussulto al frusciar di una fronda quando il bosco freme/ ci sarà il rintrono del tuono che scuote le montagne di/ tenebre/ ci sarà l’attimo quando si fa di colpo silenzio/ e noi parliamo da soli come due campane appena indotte dal vento/”. La fiammella del cero, il bosco che nella splendida ipallage, diventa corpo sensibile , il vento che disperde , tutto converge nella parola che universalizza il creato, "inimmaginabili prima che gli stati d'animo diventino parole". Mi restano la suggestione del pensare che forse sia veramente il sogno l’espressione del reale insieme ad un cielo capovolto a terra e la certezza che lui, candidato, come fu, al Nobel, sarebbe stato “presenza distratta”
Patrizia Garofalo
GELLU NAUM nacque nel 1915 a Bucarest, dove è morto nel settembre del 2001. Fece studi di filosofia presso l’università di Bucarest, continuandoli qualche anno dopo a Parigi, dove frequentò i circoli dei surrealisti francesi in rapporti di amicizia con Breton, Soupault, Apollinaire. Nel 1939 fu inviato a combattere sul fronte dell’Est. Dopo l’esperienza della guerra si è dedicato con intensità all’attività letteraria. Nel 1947 sposò Lygia, predestinata ad essere l’amata, la musa medianica di alcune esperienze spirituali decisive per la vita e l’opera dello scrittore. Poeta, prosatore, drammaturgo e traduttore, è stato autore di numerosi volumi che lo hanno fatto conoscere in Europa e nel resto del mondo candidandolo più volte al premio Nobel.
“LA QUINTA ESSENZA”
EDITING EDIZIONI
Traduzione di Geo Vasile