EYO FESTIVAL
Appartenenza- Questo ‘festival’ è legato a Lagos (l’antica Eko della laguna) in modo indissolubile ed è legato agli ‘umori’ (positivi e negativi) di questa città dalle radici Oduduwa e dalle origini più Yoruba che mai. Non si può, infatti, parlare di questo ‘festival’ senza essere consapevoli di alcune cose basilari: 1) esiste un capo (Oba) di Lagos; 2) tutte le tradizioni delle terre Oduduwa sono rinvenibili in Lagos (i riti religiosi di lagos corrispondono a quelli praticati in Ekiti, in Oyo e in Ijebu); 3) a dispetto dei punti 1 e 2, Lagos ha una sua identità peculiare legata alla religiosità yoruba e alla sua fede negli antenati. Eyo è la celebrazione (in maschera) di questa particolare identità ed è talmente unica da non temere confronti con le innumerevoli altre ‘mascherate’ nigeriane. Potrebbe far pensare a una rassomiglianza con altre mascherate di egungun (antenati), in terra yoruba (vedi la mascherata di Lobanika, di Arekujaye e di altre località dai nomi complicati), ma l’Eyo festival delle eleganti maschere biancovestite è di Lagos e di Lagos soltanto; è unico e raro e si differenzia da qualunque celebrazione rinvenibile in altre comunità yoruba (anche per la ‘occidentalità’ del cappello a tesa larga –retaggio, forse delle memorie-commercio di provenienza portoghese).
Nota storica- Questo festival si celebra in base ai dettami della tradizione e nelle occasioni a essa legate, ma rappresenta principalmente il rituale finale delle sepolture ‘importanti’ (degli Oba). Si ricollega alle religioni indigene, che onorano il loro Pantheon di divinità, riveriscono il loro Oba e ne celebrano l’insediamento e la morte. L’Oba è l’anima dell’ Eyo Festival, i cui partecipanti sono tenuti a riverirlo prima e al di sopra di tutto. Circa la metà delle etnie yoruba contemporanee è passata al Cristianesimo; un quarto è passato all’Islam; il resto pratica ancora le antiche religioni animiste. L’Eyo festival mantiene vivo e up to date il legame con le antiche origini (proponendole alle nuove generazioni sotto forma di folklore e porgendogliele come ‘concentrato di tradizioni’ da tramandare). Le guide dei popoli yoruba erano e sono (for ever and ever) gli Oba. Detti capi erano abituati a governare con l’ausilio di un consiglio di minstri, ma, nei tempi della Nigeria federale hanno un ruolo (apparentemente) puramente onorario e ‘prendono in mano’ il comando soltanto nei giorni dei festival. I racconti sussurrati (con il gusto delle narrazioni antiche fatte per suscitare sensazione o per alleggerire il peso della paura dei tabù tribali difficili da sradicare) parlano di sacrifici umani da dedicare agli Oba defunti (e si spingono fino a ipotizzare l’assassinio di 30 giovinetti, sulle cui teste mozzate il corpo dell’Oba- probabilmente il primo dei cinque Oba più importanti- andrebbe adagiato). Sperando che simili nefandezze siano soltanto ‘dicerie’ o che siano ormai relegate in un lontano passato (ben sepolto sotto le nuove identità-progresso), mi limito a parlare dell’odierno Eyo festival. Aduke Joseph (in Showcasing Nigeria Digest) così lo descrive: “Eyo, a mixture of tradition and modernity is respected. The voice is not so guttural neither does it sound like it is from the earth. The dance is modern. The white is immaculate. Even the ‘opambata’ (abbigliamento) embroidered cleanly”.
Il dove e come dell’Eyo festival- Lagos diviene meta di folle impressionanti, durante l’Eyo day: il principale nastro asfaltato della città viene chiuso al traffico dal Carter Bridge alla Tinubu Square e si riempie di un fiume in piena di gente (che forma una processione imponente da Idumota a Iga Idunganran, ove rende omaggio all’Oba). La moltitudine è un caleidoscopio di gruppi etnici e di colori, in cui gli Eyo, avvolti in pregiatissimo cotone bianco ricamato (costituito da un velo- Iboju- un indumento superiore –agbada- e un indumento inferiore –Aropale), spiccano come fenicotteri dall’andatura maestosa (e insieme felina). Il ‘festival’ che onora gli antenati (engungun- “En- GOON- gun”), dura 24 giorni, in ognuno dei quali un danzatore impersona un engungun, lasciandosene possedere e danzando freneticamente per tutta la città. L’ultimo giorno è destinato ai riti sacrificali compiuti da un sacerdote tribale, che sacrifca degli animali e ne versa il sangue sull’altarino antico riservato a tali celebrazioni. Le vittime sacrificali, raccolte e preparate ad uopo, formano la base del festino alimentare finale che tutti attendono.
Gli Eyo- Ciò che Aduke scrive degli Eyo non ha affatto un effetto rassicurante: “From afar the Eyo looks friendly, but do not mistake him for an angel. The powers it displays are not that holy. The essence of the spiritual prowess (prodezza) of the Yoruba Pantheon is not missing. When it comes to what Eyo can do and cause to happen, the European hat has nothing to do with it. The charms (talismani), amulets and rings concealed by all that white gaiety are potent, very much so. And that is why certain Eyos aren’t to be joked with”.
L’Eyo più importante è Adamu-Orisa. Ecco che cosa Aduke dice di lui: “Adamu-Orisa is number one Eyo. Weeping with a permanently running nose, Adamu-Orisa comes to town only on serious occasions such as when an Oba of Lagos Joins his ancestors. May your ancestors come to your rescue if you dare laugh at Adamu-Orisa’s dirty demeanour. He is a serious one and while he is around all around him must remain so, No joking”.
Gli Eyo delle altre estrazioni-“case” differiscono dagli Orisha, che conducono vita riservata e non amano farsi vedere in pubblico. L’Orisha Adamu si veste di nero e cammina tra un’avanguardia e una retroguardia di Olopa Adamu (guardie del corpo). Gli Eyo Orisha importanti sono cinque: L’elenco dei loro nomi (ancora valido, per quel che ne so) è il seguente: Eyo Alakete, Eyo Oniko, Eyo Ologede, Eyo Agere, Eyo Adamu (la guida Orisha). Gli Eyo Orisha si fanno vedere soltanto in occasione della celebrazione Orisha solenne destinata ai defunti importanti. L’Adamu Orisha ha ‘messo in scena’ (per così dire) il suo primo ‘festival’ il 20 Febbraio del ’54 (per commerare l’Oba Akintoye) e altri 70 festival. L’ultimo è stato quello del Settembre 2003 (organizzato in morte dell’Oba Adeyinka Oyekan).
IKO OKOCHI FESTIVAL
Sintesi introduttiva- Questo evento (chiamato anche Friendship Festival), che ‘accade’ una sola volta all’anno (in un luogo chiamato Afikpo, nell’Ebonyi State) e dura dall’ultima settimana di Novembre alla seconda di Dicembre; è l’insieme di vari cerimoniali e rituali (detti ‘di passaggio’) congegnati in modo da creare una vera rete di retaggi-scambi di sapere ancestrale e di tradizioni tra varie località dello Stato di riferimento. Le popolazioni dell’Ebonyi State sono affascinate dal cerimoniale di questo ‘festival’, che offre sfilate senza fine di maschere antiche e moderne; incanta con le danze dei guerrieri e delle fanciulle in abiti bellissimi e con l’arrivo maestoso della regina delle mascherate di Afikpo (Okna Oworoworo); insegna come nascere maschi, in quei luoghi, porti i ragazzi ad attendere con ansia indicibile il momento in cui potranno diventare uomini (superando le prove dell’iniziazione) ed essere ritenuti e dichiarati degni del culto ogo. Il festival Iko Okochi (dei villaggi di Afikpo) ha come inizio il festival (propedeutico al suo inizio reale) chiamato Iko Onouka (dei villaggi di Oziza). L’Iko Onouka comprende la danza guerriera mascherata, durante la quale viene scelto il guerriero più prode, la suggestiva Beauty Pageant, attraverso la quale viene designata la fanciulla più bella e l’iniziazione degli adolescenti.
Iko Onouka- È una festa tanto antica quanto il gruppo dei villaggi di Oziza, dove viene celebrata. Il suo cerimoniale prevede il rito dell’uscita della divinità Eze anyi Ozziza (dio dell’acqua e della guerra) dal suo watery groove nel Cross River, della sua visita alla comunità di Oziza e della sua benedizione; la danza guerriera dalla quale emerge il guerriero più prode; l’elezione della più graziosa, elegante e bella fanciulla della comunità (che regnerà per un anno) e l’iniziazione dei giovani Ogo. L’Iko Onouka di Oziza è accolto dal gruppo dei quattro grandi villaggi che compongono Afikpo come un vento di buone nuove, poiché soltanto quando esso si conclude può avere luogo, in Afikpo, l’Iko Okochi.
Iko Okochi- È il dry season friendship festival; ha inizio subito dopo la fine dell’Iko Onouka e comprende vari eventi, tra cui l’attesissima giocosa e maliziosa Okpa maskerade e l’iniziazione dei giovani Ogo o Egebele. La cosa più spettacolare di questa festa è la parata delle maschere (almeno 200- chiamate nje nje, peripatetiche) che ne proclamano l’apertura (e che sono un segnale dell’inizio celebrativo destinato specialmente alle ragazze). Esse possono, allora, lasciare le loro case, per quattro giorni, e farsi ospitare da amiche di famiglie Iko. Quelle di loro che desiderano essere corteggiate devono attraversare la piazza (dove l’intero villaggio è riunito, per guardare le nje nje e le ragazze) del villaggio ospitante, per farsi inseguire dai giovani del villaggio (che ne individueranno la dimora temporanea e, di sera, balleranno con loro alla luce della luna). Ci si aspetta che ogni ragazza si accompagni con almeno tre Iko di diversi gruppi o villaggi. La data di inizio di tali eventi può variare di anno in anno.
Arugungu Fishing Festival
Questo ‘festival’ è nato nell’agosto del 1934, in occasione della visita (storica) del sultano Dan Mu’azu, in Arugungu (ar-GOON-goo), una città sulla riva del fiume omonimo, nel Kebbi State, a circa una sessantina di miglia da Sokoto; da allora è diventato un evento annuale. Viene celebrato tra Febbraio e Marzo e segna la fine della stagione del raccolto. È molto popolare e appassiona l’intera popolazione alla pesca. Circa 5000 uomini di tutte le età, durante questo festival, si lanciano nel fiume, brandendo il retino come un’arma (e, a volte, litigando nel bel mezzo del fiume, quando ambiscono alle stesse grosse ‘prede’). Suonatori di tamburi e di zucche piene di semi coadiuvano i pescatori, dalle loro agili canoe, producendo ritmi che spingono i pescatori ad agire in preda a una vera frenesia e che portano i pesci verso acque basse. Le grandi reti gettate, allora, ‘mietono’ una ricchezza infinita di pesci, dal gigantesco pesce persico del Nilo ( i cui esemplari possono raggiungere i 63 chili e mezzo) al pesce palla. Questo ‘fishing’ festival viene organizzato dagli emiri di quello Stato, che proteggono, tra un festival e l’altro, per un intero anno, circa un chilometro e mezzo del fiume Arugungu, vietandovi la pesca, così che possa offrire ricchezze miracolose nei 45 minuti frenetici dell’appuntamento celebrativo ormai famoso. I migliori esemplari pescati vengono offerti agli emiri.L’Arugungu fishing festival si è ripetuto regolarmente, sin dagli anni Trenta, e, strada facendo, si è arricchito di nuove ‘sezioni’, come le gare di canoe e dei tuffi più spettacolari.
Sharo/Shadi Festival
Il festival Sharo o Shadi appartiene alla cultura fulana e rientra nei complessi sistemi di iniziazione legati all’età. È, in sostanza il più importante rito di iniziazione e dà il nome alla festa: Sharo/ Shadi, cioè il raduno della fustigazione, che, pare, abbia avuto origine dai Fulani Jaiful (ritenuti di stirpe e di rango superiore). Ecco come si svolge: giovani concorrenti, generalmente celibi, si presentano (a torso nudo accompagnati da belle ragazze), uno alla volta, al centro di un apposito cerchio, nel bel mezzo della folla. Ogni giovane viene accolto dalla folla con acclamazioni e tam tam di tamburo incredibilmente assordanti e viene sfidato da un altro giovane a torso nudo, che esce dalla folla brandendo una frusta, minacciandolo e tentando di spaventarlo.
La folla canta, emette grida di giubilo e percuote i tamburi in modo sempre più forte. I due avversari si studiano, si vantano, si lanciano frasi a effetto, galvanizzando la folla. La fustigazione ha inizio, quando l’eccitazione della folla è al massimo. Lo sfidante alza la frusta e colpisce il suo avversario, che, se non vuole essere marchiato come codardo, deve ricevere le frustate senza accusare il dolore e senza battere ciglio.
Shango Festival
Questo Festival, che si celebra ogni anno in terra yoruba, è dedicato a Shango, dio del tuono, antico re di Oyo e antenato inquieto (morto suicida-per impiccagione). Dura circa 20 giorni, durante i quali molti sacrifici devono essere immolati al tempietto del dio Shango, nel compound del sacerdote ereditario, in Lagos. L’ultimo giorno è quello in cui il sacerdote di Shango viene posseduto dal dio e riceve poteri straordinari (mangia fuoco e ingoia polvere da sparo); allora gli adoratori sanno che il dio è tra loro, fanno grandi festeggiamenti e, con un’ultima processione, vanno fino al palazzo dell’Oba, dove mangiano carne arrostita, bevono vino di palma e danzano fino a notte fonda. I sacerdoti di questa divinità hanno conosciuto potere e ricchezza (nei tempi in cui gli Oba governavano e le popolazioni tribali erano totalmente votate al culto dell’antico pantheon di dei). Il loro potere, oggi, è scemato di molto, ma è tutt’altro che finito; essi sono sicuramente meno ricchi e meno potenti, ma possono ancora condizionare la vita dei singoli e delle collettività (specialmente nei villaggi, ove la giustizia viene amministrata per vie tribali, con il beneplacito ‘ufficioso’ delle autorità goverantive locali e federali). Il dio Shango è ancora temuto e riverito (e chiamato ad amministrare la giustizia, quando qualcuno giura in suo nome).
OSUN-Osogbo sacred grove FESTIVAL
L’Osun Osogbo (oppure Oshun-Oshogbo) festival, che cade nel mese di agosto (l’ultimo venerdì), è dedicato a un personaggio-divinità molto poliedrico e molto amato dalle popolazioni locali: Osun, dea del fiume, regina e prima fondatrice di Osogbo, eroina dalle molte vicende straordinarie (che avrebbero stabilizzato lo Stato di Osogbo) e figura leggendaria. La leggenda, infatti, narra che ella dimorava in un luogo bellissimo, possedeva poteri magici (che aiutavano la sua gente e spaventavano i nemici), elargiva il dono della maternità alle donne sterili e guariva gli ammalati con l’acqua ‘virtuosa’ del suo fiume. Osun, che era una delle mogli di Shango, è, da tempo immemorabile, ritenuta dea della fertilità, della protezione e della benedizione ed è adorata nei territori yoruba e specialmente in quelli bagnati dal fiume Osun. I suoi santuari più importanti sono in Oshogbo (o Osogbo, che deriva da Oso Igbo, spirito della foresta). Molti sono i sacerdoti di questa divinità e quello principale, in occasione del festival, celebra molti riti e rituali attorno al palazzo-tempio principale della dea. Io la definirei la dea ecologica, perché, in suo onore (e nella speranza di dare rifugio alla sua magica e benevola presenza) i villaggi circondati da aree brulle creavano (e sarebbe bello se ancora lo facessero) più boschetti possibili fuori dall’abitato.
La ‘struttura’ portante del cerimoniale del festival di Osun è la seguente: accensione di sedici lampade che dovranno bruciare per tutta la notte, illuminando le danze (accompagnate dal ritmo frenetico dei tamburi) e i canti numerosi (dedicati alla dea dalla collettività e da singoli devoti e, specialmente, da donne che le chiedono la fertilità). Le celebrazioni terminano, come sempre, attorno al palazzo dell’Oba e immergono la città in una sorta di carnevale, ma il cuore della celebrazione era/è/resterà quella ‘galleria’ spettacolare a cielo aperto fatta di sculture yoruba rarissime e incredibili dell’Osun sacred grove, tra le quali la presenza della dea pare ancora aggirarsi. Quel luogo, uno dei più suggestivi del mondo, è impregnato di arte divinatoria e di cosmologia antica (in cui le etnie yoruba nigeriane riconoscono le loro radici e cercano il filo di Arianna che possa legarli a chi li governa dallo Stato locale e federale senza staccarli dal cordone ombelicale della dea Osun).
Gli antichi Yoruba usavano creare sculture belle e uniche come quelle del Sacred Grove in ognuno dei loro siti stanziali, ma, ahimè, nei giorni nostri (irrispettosi delle radici etniche-antropologiche-mistiche o storiche che siano) quello rimane il solo esempio di un fenomeno straordinario (che è patria di arte e di bellezza).
La magia del luogo e delle sculture dalle forme eleganti, movimentate, sinuose, quasi eteree delle creazioni-presenze-monumenti ha indotto la famosa artista austriaca Suzanne Wenger a dedicare la sua vita a quel luogo (portando alla luce molte opere, facendosi nigeriana e Yoruba–il cui nome Yoruba è Aduuni Olorisha- la favorita degli Orisha- divenendo alta sacerdotessa e riuscendo a far riconoscere il Sacred Grove come Unesco World Heritage nel 2005), per più di 30 anni e fino al giorno della sua morte (avvenuta nel Gennaio 2009). La sua presenza ha fatto rivivere l’Osun Festival e la forza dell’arte (che ha ‘partorito’ il movimento dei New Sacred Artists). Il Sacred Grove di Osun, ora, torna a vivere; le sue sculture non sono più come scheletri-dinosauri nel loro cimitero (che notizia confortente e bella…). Speriamo soltanto che la scomparsa di Suzanne Wenger (la Nera bianca che è stata più africana di qualsiasi Africano, che ha amato la terra d’Africa e quel lembo di essa, nel quale ha dissotterrato, ripulito, ‘partorito’ le forme più impensabili dell’arte yoruba, le tipologie più svariate di divinità buone e malvage) non crei il vuoto attorno ai New Sacred Artists e che non li induca ad abbandonare il Sacred Grove al suo destino; speriamo, altresì, che il riconoscimento del Sacred Grove come patrimonio dell’umanità impedisca ai fondi unesco di perire miseramente nei labirinti della miseria (e della corruzione senza argini).
Benin Festival
Questo Festival è una celebrazione squisitamente bucolica, un esempio fiabesco di come le mappe primitive della vita umana (e dei suoi appassionanti risvolti sentimentali) siano inestricabilmente intrecciate con quelle delle tappe rurali obbligate (e incontrovertibilmente legate alle stagioni).
Il Benin Festival ha luogo alla fine della stagione delle piogge e dopo il raccolto, come una harvest celebration, appunto, ma si snoda su binari sociali fatti di allegria, di allusioni e delle gioiose atmosfere imparentate con i ‘panegirici’ pre-fidanzamento/pre-rito nuziale. È un evento atteso e straordinario, che avviene con cadenza quadriennale ed è, perciò, l’occasione sine qua non per chi cerca moglie/marito, ma è una chance destinata soltanto ai più ricchi, perché i poveri, pur facendo parte dell’atmosfera gioiosa, non hanno la possibilità di far partecipare i figli (e specialmente le figlie) alla cerimonia della formazione delle coppie (non potendo permettersi di comprare gli ornamenti del caso). Ragazzi e ragazze in età da marito vengono messi in mostra gli uni di fronte alle altre, per fare la conoscenza rituale. Le ragazze, nelle antiche edizioni di detto festival, avevano le braccia e le gambe completamente ricoperte di ornamenti così pesanti che, per reggerli, tenevano le braccia in alto e le mani appoggiate alla testa e avevano il capo ricoperto di una miriade di perline di corallo e di intricate treccine. Maschi e femmine hanno il corpo dipinto e i ragazzi mostrano la loro forza nel tiro alla fune. Anticamente i giovani in età da marito venivano esposti in completa nudità; nei tempi attuali essi sono vestiti (per accontentare la tendenza a storcere il naso di fronte alle nudità, creata dalla nuove interferenze culturali), ma la distanza tra chi è più ricco e chi è più povero non si è accorciata (perché anche i ‘costumi’ costano).
ONITSHA IVORY Festivals
Le radici remote degli Onitsha Ivories- L’antica società Ibo era dedita all’agricoltura e viveva di stenti, sudando nei campi e studiando il cielo, come i rain birds, per carpirne i tragitti-pioggia più o meno imminenti o remoti. Era difficile che un Ibo diventasse ricco; erano rari coloro che vi riuscivano. Il potere, in realtà, per un Ibo, consisteva nell’essere in grado di mantenersi, con la famiglia. Ciò chiarisce molte cose e spiega come mai, in tempi più recenti, il benessere sia diventato uno status di vitale importanza (da esibire) per i Nigeriani di estrazione Ibo. Molte delle tradizioni Ibo stanno morendo, risucchiate dalla corsa al nuovo e al benessere, ma la tradizione dei festival Onitsha Ivories si rafforza, poiché è legata al possesso e al commercio dell’avorio.
Gli Onitsha Ivories oggi- Ognuno dei festival che vanno sotto questo nome ha come protagoniste le donne in costume, ma soltanto le donne con il titolo di ivory claimers, cioè quelle in grado di proclamarsi in possesso di ricchezza notevole (in grado, in sostanza, di ‘reperire’ avorio e corallo sufficienti a ‘mettersi in costume’). Le donne che possono comprare l’avorio e il corallo con cui agghindarsi sono, generalmente, le mogli degli uomini (commercianti) ricchi o sono, esse stesse, commercianti abili negli affari. Ogni donna che aspiri a un Onitsha Ivory deve possedere due enormi (che pesino fino a 25 chili) pezzi-ornamenti di avorio (uno per ogni gamba), due larghi e imponenti bracciali (sempre di avorio) per i polsi e gioielli d’oro e di corallo (del valore di milioni di dollari).
Le celebrazioni- La donna Ivory Claimer deve, poi, organizzare (e finanziare) una festa (e invitare praticamente tutta la comunità); durante tale festa uno dei ‘sacerdoti’ tribali designati all’incombenza si esibisce in una cerimonia purificatrice del completo ‘assetto’ delle ricchezze sopradescritte, soltanto se la padrona della festa è in grado anche di indossare una tunica bianca tutta ricamata (anch’essa comprata a prezzi altissimi) e di portare in mano una tromba di avorio e una bacchetta a coda di cavallo. Le Ivory Claimers non rischierebbero mai di diventare lo zimbello del villaggio di appartenenza e invitano la comunità ad assistere al cerimoniale soltanto quando sono in regola con tutte le clausole prescritte. Ricevono, allora, tra il giubilo generale, il titolo di OZO (Oh-zo), si pavoneggiano senza ritegno tra amici, parenti e conoscenti e si sentono realizzate e ‘arrivate’ nella vita. L’occasione diviene ricca nota di costume ed è per gli occhi una festa, poiché ogni organizzatrice dell’Onitsha Ivory festival del momento viene acclamata da tutta la gente del villaggio e circondata dalle donne del suo stesso ‘rango’ (stesso titolo), che rendono principesca l’occasione con il loro abbigliamento multimilionario.
Anche gli uomini possono farsi assegnare il titolo di Ozo.
Bruna Spagnuolo
....continua