OSSERVAZIONI
Giro con la mia valigia piena di stracci
come un clochard innamorato.
Ho grandi scarpacce,
andrò a Tebe,
dove angeli di cera mi aspettano
con finte ali di scolari grassi.
*
Dopo il passaggio dei treni
andava a raccogliere lungo i binari
gli oggetti caduti:
scatole di sigarette,
chiavette di conserve.
Ciò che l’incerto, l’instabile lasciava.
*
Anche la morte di un insetto,
di un cosmo da nulla
turba l’armonia del creato,
genera dubbi.
*
Mandar telegrammi di protesta,
sedendo in una stazione balneare,
discutere i problemi dei giovani,
tagliando loro la strada.
*
Sono arrivati gli antropidi, i paraumani.
Ci metteranno a lavorare in miniera,
i frutti dei trapianti genetici,
del terribile DNA ricambiante
gene di vipere trapiantato in batteri
dicono che l’umanità perirà.
Non c’è da aspettare: dal DNA
della nostra fantasia
nascono già terribili gerioni, mostri.
*
Il re delle aringhe la notte
emana una luminescenza azzurrognola
e guizza azzurro al largo
come una freccia azzurra...
*
Spaurito come Kafka,
allegro come un giullare.
Non sperar nulla da loro.
Ti coprono di insulti,
l’ospizio è ineluttabile.
Molti pagliacci vi sono finiti.
*
Rerich veniva da Rjurik,
Hrubel’ era un piccolo passero,
Bakst un piccolo ombrello
che sfolgorava colori.
Mi offrirono il tè all’Hotel de Russie,
dove Majakovskij sonava su una pianola.
*
Piatto di piombo striato di folgori
è il lago, e una vela
spacca questa crostata di piombo.
Sono in un quadro di Friedrich,
luci unte e soffi di caligine
lo avvolgono.
*
Non si può fuggire
da ciò che non puoi raggiungere,
E non c’è un punto d’arrivo,
ma solo la disperazione.
Tra il desiderio e l’oggetto
un baratro si apre,
e la vita è tutta un «se potessi».
*
Sarò un soprammobile,
non un soggetto di storia,
caduto dalla stanza dei bambini
nella muffa tetra della vecchiaia,
sarò un oggetto da insultare,
un bersaglio alle arroganze dei figli.
*
Una noia agghindata mi governa,
un luccichio di uguali specchi.
Non esistono più abiti domenicali.
Scarpacce camminano intorno ai falchi
dove unti come caviale pressato i cantanti
pigolano con voci di catenaccio.
E Nora Naldi li aspetta in abito di baldracca.
*
Burlina mia, vai alla mostra dei cani.
A Villa Borghese anche gli alberi
hanno lunghissime code.
*
È un servo rozzo il dolore
e ti ricatta e ti assedia,
ha le scarpacce dure,
ubriaco come un calzolaio.
*
Vi sono mesi in cui
non nasce un fanello di poesia.
Il male scaccia le metafore,
l'analogia boccheggia.
*
Sono il tuo accendino
ti guardo con occhi azzurri,
e vorrei finire
tra le cose dimenticate.
Anche tu sei come me una prunella
e tremi al vento, e temi
di esser gettato
in un mucchio di rottami.
*
Risata nera di pistola
in un afoso pomeriggio domenicale
punteggiato dal refe di una pioggia saltuaria.
Stagni glauchi per annegare,
verde punch di gas per finirla,
alta terrazza sui trampoli
da cui scivolare nel gorgo,
senza nemmeno dire addio,
perché tutto è già fatto,
e per bene.
*
Ti porterò un gallo
dal polverone di queste campagne,
dove femmine lacere giacciono
impastate di mosche e di piume.
Avanzerò come l'astrologo di un boiaro
tenendo il gallo in un orcio.
Tu mi canterai: Alleluia,
come a dire: sei matto.
Domani ti metteranno sui giornali,
come di quel pittore che di giorno
girava per Praga con un'accesa lanterna.
*
Correre da pagliaccio
attraverso la bianca notte invernale.
Viaggiare il mondo
più allegri che in un cartello pubblicitaria
Ma il male non lo consente,
questo fumo/o d’ossa ti sfascia,
non c’è più niente
oltre le paure e le ambascie.
*
I bambini mi guardano
così irreale, così insolito,
io che non giuoco, che me ne sto sempre
accucciato dentro uno scialle.
Potessi portarli al circo,
scendere io stesso in pista,
portarli a pattinare
e mangiare con loro
un gelato-Ararat,
tutto verde e giallo,
con banderuole.
*
Sono un caffè di provincia, coperto di mosche.
I miei bicchieri hanno l’orlo muffito.
Vecchie ciambelle dormono da secoli
sotto una giallastra zanzariera.
Ai muri pendono da anni lontani
accartocciati ritratti di perfide attrici.
Entra ogni tanto un cliente, s’accosta al bancone,
contempla le tazze dal ventre affloscito,
lunghe file di nere bottiglie,
il gocciolìo dell’acqua
che assomiglia al capello d’un calvo,
le moine delle ombre che invecchiano.
Dietro il bancone la vita senza tregua
passa da un piede all’altro,
tra le calze cadenti come una vecchia Frau,
è più strega che vita, filiera di ragno.
11 tempo come una volpe ferita
si trascina sui gialli mattoni.
E dalla muffa tralucono come vascelli perduti
flaccide zolle di zucchero,
squallide tazze, bottiglie
che ormai si vanno consumando come
candele di putredine.
4 - segue