La guardai e la accompagnai cogliendone la solennità, l’austerità, l’altezza, l’abito nero e il viso solcato da un dolore antico.
Per questo non mi accorsi dei chilometri di sabbia che però avevano segnato i miei piedi.
E l’avrei seguita fino a casa. C’erano acqua fresca nell’otre e il pane d’olive. Ci fu soprattutto la sua comprensione per i miei piedi gonfi.
La Sila è scura, fitta di verde intenso capovolta su laghi che non saranno mai azzurri, s’implorano la luna e l’occhieggiare delle stelle.
Silenziosa mi avvicina un catino d’acqua nel quale immergo, come in un sogno, i miei piedi e lei, le sue mani per lavarmi.
Non aveva più un cesto; li avevamo venduti tutti e piano piano la sua schiena, incamminatasi sulla spiaggia piena di trivi, si era raddrizzata, era tornata nuova e pronta per un’altra volta.
Tirò fuori i soldi dal seno e li infilò sotto un mobile; appese le calze nere al filo davanti alla finestra e sostituì l’abito sudato con una vestaglietta nera fiorata di bianco.
Non seppi cogliere in quell’attimo se fossi pronta a rimanere o ad andarmene.
Patrizia Garofalo