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Fabiano Alborghetti trova Aky Vetere 
Cercando l'oro 29
Aky Vetere
Aky Vetere 
09 Maggio 2009
 

L’anno prosegue e finalmente è Maggio! Lasciamo la Svizzera di Tommaso Soldini e spostiamo di poco oltreconfine, a Milano, luogo di Aky Vetere.

 

 

 

Ancora una volta e come anche accadrà nelle puntate a venire, lo spazio è per la sola voce dell’autore, autore a nudo e senza la mediazione della domanda, autore lanciato nel vuoto e che arriva a noi per mezzo di una autopresentazione, cui seguirà una scelta di testi e solo in ultimo una breve nota bio-bibliografia.

 

 

 

AUTOPRESENTAZIONE in forma di dialogo di Aky Vetere

 

Si dice che la poesia e la musica siano arti spiritualmente adamantine, tali da essere assimilabili per vocazione alle scienze esatte come la matematica.

 

Mi soffermerò in particolare sulla intuizione, virtù ereditata con tutti i limiti della opinabilità, da un ancestrale “contatto” che l’uomo ha avuto col mondo spirituale.

 

Più complesso è invece definire lo spirituale.

 

 

 

Alberto Savinio lo assimila alla metafisica, una parola complessa, che attraverso l’etimo indica qualcosa che và oltre, al di là della natura, nascondendosi nell’eccesso della sua stessa visibilità. Eraclito, intuendone il carattere pudico, ci dice che la natura ama nascondersi. Savinio aggiunge che è proprio l’artista colui che intuisce il mistero che Ella nasconde. Ma la domanda è: la poesia, elettivamente chiamata ad assolvere questo compito, può realmente portare a una mediazione tra realtà fisica e spirito? L’oltre, è il solo mistero della natura, che come la faccia buia della luna  si nasconde dietro l’occhio dell’uomo? Ancora, arte e scienza hanno lo stesso ruolo di mediazione?

 

 

 

Io credo che nel dare a Cesare, sia errato immaginare una separazione tra fisica e metafisica intesa come separazione tra materia e spirito. Due realtà opposte, possono essere il risultato di una cultura miope che ha riposto il “vero” in ciò che è dimostrabile solo con la legge e lo spazio eccedente, la soggettività, viene data in pasto all’immaginario dei folli . Se pensiamo allo spazio curvo pensato da Einstein, si capisce che l’intuizione scientifica ci insegna l’esistenza di una realtà dentro la stessa realtà fisica, ma il poeta và oltre; egli porta a conoscenza l’opera inserendo lo spirituale entro la sua stessa realtà soggettiva, utilizzando quindi gli stessi correlati fatti a immagine e somiglianza del divino.

 

 

 

L’emozione che ha provato Einstein di fronte alla funzione matematica dello spazio curvo, deve essere stata grande tanto quanto l’emozione di Giacomo Leopardi di fronte al suo Infinito. Ma è un inno alla creazione il canto del poeta; il soggetto, è l’oggetto della sua ricerca, perchè rivolge a se stesso l’urlo contro la legge, e vede nella unicità dell’arte ed in peculiare modo della poesia, la realtà non-finita, il divenire. Egli viene ad essere assimilato erroneamente al Separatore, parafrasando un concetto biblico, colui che per un atto di presunzione ricusa la legge divina. Legge matematica, e  legge divina, definiscono invece, ciò che di per sé è indefinito e  proprio dentro quella ricusazione interpretata come azione ribelle, il poeta trova il Dio-Io. Il Dio soggetto è il Cristo poetico, l’opposto del Dio di Abramo, il Dio della legge; quindi, solo in apparenza il poeta utilizza gli stessi strumenti del matematico. Anche le parole sono numeri (ecco perché poesia, musica e matematica spesso sono rappresentate in un unico corpo), ma il fine è diverso. L’artista trova la creazione, che come tale è infinita. Perciò la natura si nasconde, se fosse rivelata, sarebbe finita. Il luogo poetico è questo, è un “non de- finire” il reale; è dove si situa l’uomo- poeta.

 

Solo allora possiamo parlare di mistica della spiritualità e della materia entro il reale, visto che due  nature fanno parte della stessa sostanza; sono reali, non opposte.

 

 

 

La poesia che è nell’arte, vive nella ineffabile abbraccio delle due nature. Di più; è una fuggevole intuizione fondata  sulla coscienza della loro impossibile separazione.

 

 

 

Il poeta nell’inno a se stesso, percepisce lo stupore altrimenti non percepibile del pleroma tra materia e spirito. Questa estasi, che si dice propria degli eretici, in realtà è propria di tutti gli artisti, che pur partendo da espressioni differenti e senza necessariamente avere fede, credono nella integrità del reale.

 

 

 

A questo punto caro Fabiano, possiamo sederci a tavola dove gli iniziati sono gli artisti, iniziati al mistero reale, come reali sono il pane e il vino della mensa eucaristica. Ora arrivo alla tua domanda, anzi, concludo dando per esposto ciò che mi domandi: parla di te stesso, della tua poesia, l’approccio col verso, le tue parole e i sentimenti.

 

Troverai qui dentro tutto quanto mi chiedi, perché quello che penso, è dentro il mio modo di essere poeta.

 

 

 

Non te lo dice un uomo di chiesa, anzi, il Cristo (sommo artista) può spezzare il pane conviviale dell’arte con tutti noi e con tutti gli uomini di buona volontà.

 

 

 

Da Angelo senza cielo (LietoColle, 2007)

 

Il vento soffia dove vuole,
senti il suo sibilo,
ma non sai da dove viene, né dove va.
Gv. - 3(8)



Questa notte ho pensato a quel vento
che da levante scivola a ponente
e trascina nuvole di fuoco
al mare arreso tra ombre di cielo.
Ho pensato poi al mio trascorso
impazzito d’aria,
quando il sole bruciava il vento
e colava miele al suo tramonto.
Quel vento, sul mare, l’ho versato io,
quando l’umido esalta i pomeriggi
brevi sopra il turbamento che avvolge
la tua vendicativa essenza.
Ora pare tutto volga in ricordo
e questo in sogni.
Amerò sempre la tua turbolenza
come fosse vento di tempesta
che disvela l’anima dannata
e quando piange la fa innamorare.

 

 

 

*

Quando mi parli di tutte le cose,
è come se il mare diventasse più grande
e di colpo allagasse il mio cuore.
È vero, anch’io devo lasciare il mio luogo
a ciò che più non mi appartiene.
Così sono l’errore e il dolore
forse ragione e giustificazione;
ma è l’illuminazione quando ti incontro
e ricordo illuminatamente
di averti tanto amata.

 

 

*

Ma forse è proprio per vedere
che devi spegnere la luce e tremare
fino alla soglia della solitudine.
Qui il tempo è suono
e agita l’abisso di un sogno marino
inghiottito dalla sua impazienza.
Così il tuo grido notturno
con occhi di lupo
è già profumo e corpo,
lamento di Dio.

 

 

 

*

Il sole confonde la sua luce
e la magia della notte è rivelazione
indicibilmente distante ma tangibile.
Vorrei salvare in questo vacuo orrore
l’ora che soffoca nella densità delle idee.
Più forte l’aria penetra in se stessa,
dove le vertebre incrociano il cuore.
È lì che devi abbracciarmi,
memore di quella croce-via
che fa di pietà la mia sera.

 

 

 

*

"Infatti non faccio il bene che voglio,
bensì il male che non voglio,
questo compio".
S. Paolo: Lettera ai Romani - 19.


Tu ed io.
Comune era l’idea
di questa immagine sospesa
da un fosforico bagliore del tuono.
Verità che le dita annodano
con l’energia della sottrazione
nell’eterno divenire.
Ombre cinesi.
Il tuo miracolo chiedeva
di moltiplicare pesci
per colmare gerle di folla
saziate dalla fede.
Volevo solo che le notti
allattate di bianco
vicino a me portassero
al limite dell’abisso
dove ti avrei domandato di entrare.
Mi sarei consolato
Riflesso nelle negazioni,
nei contrari
e nei contrappassi del destino.
Ho trovato il limite
quando la gola
ingoia la tua comunione
e sprofonda nel gemito,
preludio del silenzio.
E tu non c’eri.
Così ti ho perso
(inconsolabile amore),
nell’esistere che scivola
lungo uno stupore di vento.
Il miracolo ci fu,
il mio;
ma nel singhiozzo,
una inconciliabile paura.

 

 

 

*

Sogni dei sobborghi scavati tra orbite
regolari e circumnavigazioni,
voce dell’ira indecifrabile,
dominata dalla forza di stringere il letto
attorno a un consumato avanzo di sonno.
Poi il volto di questa dolorosa antinomia:
ecco l’argento nervoso che incanta i sogni;
nella pineale dell’uomo non c’è memoria
dentro la notte-luna
che corroda il rimorso.
Pallido fiore argentino dalla gola alabastrina,
è questo il declino che accende ventoso
il tuo luminoso addio.

 

 

 

*

Chiedi
quando l’accecante luce d’inverno
corregge lo sguardo a terra;
una sola ombra aggancia il pensiero,
fugge un ricordo,
poi si esaurisce il silenzio.
È il tempo che ora confonde
il canto d’amore e una preghiera.
Fragile è lo spazio dove rade
tessiture d’aria si risolvono
in ombre e queste in sera.
È qui che adduce questa verità;
nell’ora dell’umano frantumarsi,
tu chiamerai con brezze di tentazioni,
finché il sangue contaminato
guardi come un transitare,
la tua malinconia.

 

 

 

Da SolodieciPOESIE – Luce d’ombra (LietoColle, collana solodiceci, 2008)

 

*

- Vado con la paura.
Mi confondono il precipizio
e la trasparenza consistente
che separa tutto, elabora, scarta.
Dovremo accettare il muro
d'acqua prima che ci annienti.
Saranno i ricordi quest'acqua nera,
attraverseranno molte lingue
prima di entrare nella rete
con le branchie digerite d'aria.
Non ci resta che ripetere il gesto;
è una sottrazione al moto,
all'ansia del finire.
Viaggeremo insieme,
e sarà la rimanenza a recitare
il sillabario della notte,
dove vede poco ciò che nasconde molto
e qualche indecisione.
È la sola cosa che ci resta,
il dove per sottrarre il quando,
prima che il gremito cancelli tutto.
Nell'istante.

 

 

*

- Il mare dopo la tempesta
è gonfio come il pianto di un bambino
e la luna trattiene con fatica
sotto la sua rete di luce
una minacciosa indigestione d'acqua.
Guardo così davanti alla notte,
io,
immagine e somiglianza di un rospo
ora parte dell'abisso marino
che la luna nutre col seno,
allaga,
ride impazzita,
ringrazia
e poi se ne va.

 

 

 

Aky Vetere, nasce a Verona il due Dicembre millenovecentocinquantaquattro. Vive e lavora a Mlano.

Artisticamente esordisce con la scultura.

Pubblica con Lietocolle la prima raccolta di poesia: Mnemosyne (Duemilacinque); a cui seguirà sempre con Lietocolle la seconda pubblicazione di poesie:Angelo senza cielo (Duemilasette).

È redattore della rivista La Mosca di Milano ed è membro dell’Associazione Culturale Milanocosa (www.milanocosa.it).

  

 

Le fotografie ed i testi appaiono con autorizzazione dell’autore


Foto allegate

 
 
 
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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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