Pure se non faccio un cazzo dalla mattina alla sera festeggio il Primo Maggio. Ci mancherebbe altro. Ogni scusa è buona. Bottiglia di rum in mano, birra gelata nel sacchetto con il ghiaccio che porto a tracolla e via andare. Donne ne troveremo, all’Avana manca tutto ma non le donne. Oggi neppure si suona, non facciamo le prove con il gruppo. Oggi è il Primo Maggio, signori. Si fa bisboccia fino a tardi e si rientra a notte fonda, magari si va sul mare a fare un bagno. Magari si tenta pure di scopare, che fa bene alla salute. Non mi passa nemmeno per la testa di andare alla parata in Piazza della Rivoluzione, tra bandiere e danze che ricordano il passato per dimenticare il presente.
Il problema è che l’amico del CDR mi becca proprio sulla porta. Proprio lui dovevo incontrare, cazzo. Proprio lui vestito con la guayabera dei giorni di festa…
– Compagno, non vai in piazza a festeggiare?
Provo a scherzare, ma con questa gente mica è facile.
– Perché? C’è qualcosa da festeggiare?
– Compagno, non ti sarai scordato del Primo Maggio?
Indico la birra gelata e la bottiglia di rum.
– No, amico. Ho tutto quel che serve.
Lui mi guarda con aria severa. Non è il tipo che la butta in battuta. Meglio abbozzare.
– Compagno, mi giungono voci strane sul tuo conto. Dicono che scrivi. Ora, io non leggo libri, ma c’è chi dice che scrivi cose poco in sintonia con il progetto sociale che portiamo avanti. Questo è male…
Corro ai ripari e la sparo grossa.
– Voci senza fondamento, compagno. Il mio ultimo racconto uscito sulla rivista universitaria è ispirato alle gesta di Elpidio Valdés durante la guerra d’indipendenza.
Tanto il compagno del CDR al massimo guarda i cartoni animati. Non credo che abbia mai letto Lima e Carpentier.
– E allora cosa aspetti a salire sul torpedone e a gettare il tuo ardore rivoluzionario tra la folla di Piazza della Rivoluzione?
– Stavo giusto andando… – commento.
E mi tocca salire davvero su quella specie di autobus pieno di gente appiccicata che puzza di sudore. Un giorno di maggio sprecato. Mi tocca andare alla parata e mollare gli amici all’angolo di Toyo…
Arrivo nella piazza gremita di bandiere e vedo il palco addobbato a festa. Tanta gente che parla. Corpi di ballo che sfilano. E la parola Rivoluzione sulla labbra di Speedy Gonzales non ha lo stesso suono d’un tempo. Scivola via flebile, poco convinta, lui parla poco, preferisce ascoltare, guardare, sorridere dietro baffetti da topo.
Penso a mio padre. Lui ha creduto davvero in questa esibizione di bandiere e retorica. Ha fatto sacrifici enormi per andare avanti, come tutti s’è adattato alla situazione, s’è messo a fare il tassista, ha condotto turisti in giro per L’Avana, credo che abbia pure rubato per portare a casa roba da mangiare. Ricordo che una volta prese un coniglio che a mia madre piaceva tanto, lo teneva per compagnia, gli tirò il collo e lo mise in padella. “Non è il momento di tenere animali in casa” disse. Fu un sacrificio rivoluzionario per riempire una tavola vuota. E un’altra volta tirò il collo a una gallina che non voleva saperne di covare le uova, uccideva i piccoli con il becco, non li faceva crescere. “Una cattiva madre non merita di vivere” commentò. E la sera servì brodo di gallina e carne bollita. Credo che pure diversi gatti del vicinato siano finiti sulle mense imbandite, ma lui diceva che era stato in campagna e aveva rimediato un coniglio. La carne era dura, ma la fame tanta.
Penso a mio padre con gli occhi rivolti al palco. Ricordo che una volta mi divertivo a gridare, confuso tra la folla, una frase dal suono simile alla parola d’ordine indicata dal Comandante. “Almeno il pane, Fidel! Almeno il pane!” dicevo. E non ero il solo. Soltanto le prime file gridavano: “Disposti a tutto, Fidel! Disposti a tutto!”. Il suono si confondeva tra decine di migliaia di altri suoni. E avremmo voluto soltanto il pane, Fidel. Davvero. Non c’importava un cazzo della politica e del nemico imperialista. Tu forse non lo sai, ma il popolo pensa soprattutto a riempire la pancia. Per la gente un buon governo assicura pane e libertà. Tutto il resto sono cose da politici.
Mi guardo intorno. Una bella creola dal sedere invitante sculetta davanti ai miei occhi. Ha lo sguardo malizioso delle nostre donne che quando ti sorridono sembrano spogliarti con gli occhi. Altro che ascoltare Speedy Gonzales e pensare al nemico imperialista! Altro che i cinque eroi prigionieri dell’impero! Questo culo vale più di mille parole d’ordine e non servono esortazioni dal palco per tentare un approccio.
– Se cucini come ti muovi, mi faccio invitare a pranzo – dico.
Lei sorride maliziosa. Aveva capito tutto e sentiva i miei occhi fissare il suo culo. Dicono che gli sguardi richiamino l’attenzione e forse è vero.
– La cucina non è la mia specialità, ma se ti accontenti…
– Nel sacco ho birra gelata e rum. Non serve molto altro, credo.
– Riso e fagioli ci sono. Un pezzo di maiale, pure.
– E la febbre suina? Non sarà pericoloso?
– Non frequento messicani. Mica sono una jinetera, cosa credi?
– Bene. Un po’ di nazionalismo ci vuole. Nessuno soddisfa una donna meglio di un cubano.
– Questo devi ancora dimostrarlo.
– Non chiedo di meglio. L’energetico è nel sacco.
Tiro fuori la bottiglia di rum bianco, pessime scintille di treno fabbricate in casa, ché il rum buono costa troppo per le mie tasche. – Basta che dopo non ti addormenti.
– Se non mi sono addormentato qui…
E indico Raúl che parla di Rivoluzione dall’alto d’un podio. Sembra un topolino da cartone animato, mio Dio come siamo caduti in basso, tanto per citare un film italiano che ho visto la scorsa notte su Cubavision…
– Andiamocene da questa pagliacciata – dico alla bella creola – tanto chi vuoi che se ne accorga…
Lei sorride e mi prende per mano. Scappiamo via tra la folla che grida e il sole che picchia forte sul selciato. Non so neppure come si chiama. Mi pare d’essere finito dentro Ultimo tango a Parigi, solo che il protagonista sono io, mica Marlon Brando. Spero che in dispensa abbia abbastanza burro, ché di questi tempi scarseggia. Non vorrei dovermi adattare al grasso di maiale. E mica soltanto per friggere le banane…
Alejandro Torreguitart
L’Avana, 1° maggio 2009
Traduzione di Gordiano Lupi