Indice: Prefazione/ Incontro con il maestro Michelini: finestra aperta su una filosofia di vita/ Note critiche/ La pittura/ Le icone/ I progetti/ L’Apocalisse/ Postfazione
«Lasciamo ai retori o agli ebbri affermare che un bell’albero, un bel fiume, una sublime montagna, o anche un bel cavallo e una bella figura umana, siano superiori al colpo di scalpello di Michelangelo o al verso di Dante; e noi diciamo, con maggiore proprietà, che la «natura» è stupida di fronte all’arte, e che essa è «muta», se l’uomo non la fa parlare».
Benedetto Croce
Prefazione- Ho conosciuto un artista capace di far ‘parlare la natura’; era un genio e ora non è più su questa terra, ma forse è meglio che racconti tutto con ordine. Quattro anni fa, Don Michele Longatti, parroco di Omate (e uomo di cultura amante dell’arte e… un po’ tanto mecenate), mi chiese di fare da madrina a una mostra di pittura dedicata al maestro Ferdinando Michelini. La mia ignoranza circa l’esistenza e l’opera di colui che immaginai essere un pittore era totale. Mi recai a conoscerlo: prima di decidere se accettare, volevo sapere qualcosa del personaggio e della sua opera. Mi trovai di fronte un uomo quasi novantenne che era un intero universo di dimensioni (artistiche, geografiche, umane ed ‘epocali’) e un’opera che era disseminata per il mondo (sotto forma di monumenti archiettonici, mosaici, affreschi, dipinti vari, icone) e che riempiva interi magazzini (sotto forma di dipinti su tela). Presi visione di progetti, bozzetti, opere varie e foto e parlai con l’artista. La sua semplicità e la sua umiltà abissali mi sconcertarono e mi conquistarono. La mostra fu inaugurata, in Vimercate, il 31 maggio 2005. Tenni la mia piccola lecture agl’intervenuti, presi parte al reportage che vari giornali dedicarono al maestro e mi commossi, di fronte alle suggestioni di colori/ messaggi/ luci e segni che parevano danzare/ intrecciarsi/ intersecarsi/ abbracciarsi/ rincorrersi (come raggi silenziosi tanto mirabili quanto invisibili) da un quadro all’altro, da una fila di quadri all’altra e da un particolare di ogni opera a vari particolari di altre. Il maestro Michelini, mite e silenzioso, come una presenza eterea, sorrideva e si mescolava al pubblico, spostandosi con il passo leggero del suo corpo magro e quasi senza peso (che parlava di un’età e di una storia senza tempo). Ebbe, dopo di allora, parecchie disavventure-fratture-ictus, ma nella mia mente rimane come lo vidi a quella mostra: fuori dal tempo e dalle umane ambasce. La mia vita errabonda non mi concede molto tempo da dedicare alle relazioni sociali e non ho più rivisto il maestro Michelini (come speravo). Ho trovato, al ritorno dall’Africa, una lettera in cui mi si comunicava la sua morte… È stato allora che ho compreso quale vuoto la sua assenza sia nel panorama umano e artistico di questo nostro tempo. Concordo con la sostanza dei titoli con cui i giornali hanno annunciato la sua morte: è morto un genio.
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Prima di conoscere Ferdinando Michelini, ascoltando Don Michele Longatti parlare di lui, avevo seguito con la mente l’immagine ancora irreale di questo pittore che “ha viaggiato molto, usando la sua arte come catechesi”. Mio malgrado, parole-immagini si erano formate nella mente, attorno ai concetti che Don Michele esprimeva. Ne era emersa l’idea di un uomo intento a: cogliere l’attesa del messaggio di Dio sulla terra e farsene interprete-discepolo, attraverso l’arte; farsi soldato di Dio e dargli gloria con le immagini di una pittura sublimata; prestare a Dio la mente e la mano, per evangelizzare; creare il bello e metterlo al servizio di Dio; vedere il mondo come tempio di Dio, farvisi pittore itinerante e trasformarne vari luoghi in stazioni oranti della Via Crucis/gloriose gallerie di arte e di colore. L’incontro vero e proprio con il maestro Ferdinando Michelini mi avrebbe dato un quadro ben più completo e incredibilmente ampio di questo personaggio tanto grande quanto sconcertantemente umile.
Il cosmo umano ed espressivo di un artista a 360 gradi
L’uomo ha fatto scoperte a ritmo vertiginoso, negli ultimi decenni (tanto che buona parte della ex fantascienza è divenuta scienza reale), ma, con tutta la sua presupponenza-prepotenza-roboanza-presunzione di conoscenza, non è che una formica nell’universo del quale non può controllare neppure uno solo dei vari “tsunami”.
Nonostante ciò, esistono uomini “grandi”-veri giganti dell’umanità: si tratta sempre di uomini che nel nascondimento tessono le mappe su cui il genere umano orienta la propria sopravvivenza. Tali uomini, lungi dal sentirsi grandi, si fanno polvere, perché Dio vi scriva sopra le sue pagine belle (non per la gloria e il potere, ma per le dita leggere del vento della fratellanza e degli echi dell’Amore). Ferdinando Michelini è stato uno di questi umili/inconsapevoli giganti.
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Per parlare dell’artista Michelini, non si può prescindere dall’uomo Michelini, poiché l’uomo e l’artista sono inscindibili, proprio come le mestiche dei colori dei dipinti. Non so quando l’uomo Michelini abbia consapevolmente deciso di accettare la “chiamata” e di farsi piccolo, nello spazio della vita terrena, perché Dio vi crescesse in proporzione esponenziale. So, però, che Dio lo ha scelto e che egli si è piegato al suo richiamo, accettando, con paziente e umile costanza, croci pesanti che avrebbero spezzato chiunque, ma che non hanno piegato la sua fede (neppure nel campo di prigionia e poi di concentramento-donde è riemerso pesando una trentina di chili). La sua fede abbagliante come il sole, che gli ha donato il miracolo della guarigione da un male inguaribile, è la bussola di tutta la sua vita e della sua arte.
L’artista Michelini ha scelto di servire Dio e di dargli gloria con tutta la sua opera, facendosi tavolozza per una tela illimitata a misura di globo terrestre.
Come umile esule, ha percorso le latitudini mondiali, servendo Dio nella rinuncia continua e nella povertà. Ha percorso le traiettorie dei passi di Cristo in Terra Santa. Ha progettato scuole, ospedali, lebbrosari e chiese (tante chiese- circa 70- ne ha affrescato/decorato una trentina). La pittura, sempre e dovunque, è stata la compagna fedele e inseparabile dei suoi tragitti, tra un progetto e l’altro, tra un affresco e l’altro, tra un problema e l’altro, tra un sopralluogo e l’altro alle grandi opere, tra i soggiorni in Europa e quelli in Africa e in Asia, tra i vari viaggi e durante gli stessi viaggi in nave.
La sua produzione pittorica è stata ciclopica.
I suoi soggetti, con o senza volto, hanno espressioni e sentimenti, creano atmosfere, commuovono, conquistano e guidano verso il trascendente, ponendosi nella realtà umana come nostalgia di Dio.
Ho domandato di persona al maestro Michelini di definire la sua arte ed egli ha pronunciato queste tre parole: “arte di devozione”, ma vorrei umilmente ribadire che l’arte di devozione rimane circoscritta all’ambito delle icone, poiché in tutte le tele, invece, l’ispirazione è un limpido fiume impetuoso che nasce dal cuore e dalla mente dell’artista e prende forma, attraverso la linea stilizzata/essenziale come un ideogramma cromatico, anche quando egli raffigura soggetti religiosi. La sola arte di devozione, a mio avviso, è quella in cui Michelini delinea chiaramente i lineamenti dei volti, poiché, in quel caso, com’egli stesso ha precisato, raffigura i personaggi religiosi così come i fedeli si aspettano di vederli. In tutte le altre opere, anche se esse sono a tema religioso, la creazione pittorica nasce da libera ispirazione, i volti non hanno lineamenti, eppure esprimono una tale carica espressiva da apparire completi.
In altra sede, ho accuratamente evitato di cogliere paralleli tra Michelini e le varie correnti artistiche, perché egli, piuttosto che “solitario”, come lo hanno definito, è unico (e non per iattanza: Michelini è se stesso, nient’altro, e in ciò sta la sommatoria della bellezza che il colore delle sue opere può raccontare). Le opere di Michelini, pur dando vita a soggetti religiosi, lasciano intatti i destrieri alati della fantasia e del sentire profondo.
Egli ha frequentato l’accademia di Brera negli anni in cui l’eredità del futurismo (v. Marinetti: manifesto pubblicato nel 1909 e poi manifesto tecnico nel 1910/ pittori futuristi: manifesto pubblicato nel 1910) non aveva ancora cessato di far sentire l’influsso del suo rifiuto dell’arte tradizionale/ del suo tentativo di rinnovamento in termini radicalmente eversivi e violentemente polemici. I pittori futuristi basavano la loro pittura sulla scomposizione divisionista del colore e sulla nuova sintassi del cubismo. Da ciò Michelini si è lasciato appena sfiorare, ereditando la linea stilizzata e lo schema appena accennato dei volti. In seguito agli sconvolgimenti del conflitto mondiale e alla crisi dei valori tutti, arte compresa, la corrente chiamata DADA dilagò, rinnegando l’arte classica in particolare e l’arte in generale/ vedendo l’arte come un non valore che ripudiava la logica e che si produceva secondo le leggi del caso –lo stesso nome era stato scelto a caso nel dizionario). Per i dadisti persino la rivoluzione del razionalismo cubista era un valore da disprezzare, poiché produceva ancora opere da esporre nei musei.
Michelini passò indenne tra le spire di quel contagio, che trasformò invece parecchi artisti in non-artisti (che non volevano produrre opere d’arte ma prodursi in azioni volutamente insensate e provocatorie, poiché ritenevano che l’arte “non rappresentasse nulla e non fosse nulla”). Egli non avrebbe potuto tradire l’arte, quella con la A maiuscola, quella che crea la magia della bellezza e alla quale ha dedicato tutta la vita, sviluppando una sua forma personale d’arte, un suo inconfondibile stile, una vena matura e costante come una miniera inesauribile. La sua legge pittorica è sempre stata “forma e colore” dotati di “linguaggio”.
Le opere di Michelini sono dotate di parola oserei dire; parlano un linguaggio che va oltre l’ispirazione che le ha generate e che è universale nella specificità individuale dell’osservatore.
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Il “solitario” Michelini solitario non è affatto, perché ogni artista, per quanto isolato nel panorama artistico contemporaneo, è figlio del suo tempo e delle stratificazioni dei tempi che lo hanno preceduto.
L’arte è l’architettura dell’invisibile, dell’irrazionale e delle profondità insondabili del sentire e delle credenze dell’umanità. In essa l’impossibile è possibile e, perciò, per la loro valenza pedagogica, le opere micheliniane trovano parentele addirittura nella notte dei tempi, là dove l’uomo raccontava e si raccontava già sulle pareti delle spelonche, nella preistoria, e dove, in Egitto nel 4000 a.C, nacque l’arte di imparare e di insegnare l’arte stessa, in collegamento con le credenze religiose (anche se, nonostante la buona manualità-conoscenza dei materiali e l’intepretazione delle dimensioni e della prospettiva, era puro esercizio ripetitivo e non ancora libera espressione dell’artista).
Potrei dire, come si disse per l’arte di Picasso, che anche quella di Michelini è stata influenzata da Cezanne e dall’arte africana, asserendo il vero, ma c’è di più. L’opera di Michelini contiene parentele con il meglio del genio artistico (e proprio con capolavori classici di cui dovrebbe essere, per periodo di appartenenza, l’esatta antitesi): per esempio, guardando alcune delle figure dipinte da Michelini, capita, a tratti, specialmente nell’Apocalisse, di ripensare al quattrocento italiano, a Masaccio e alle sue figure umane imponenti e statuarie e, allo stesso tempo, sobrie ed essenziali. Sensibile e duttile com’era, il giovane Masaccio aveva afferrato al volo il fermento e l’atmosfera di rinnovamento creati in Firenze da Filippo Brunelleschi (con la rigorosa e stupenda semplicità delle sue opere architettoniche- che recuperavano i motivi classici, modernizzandoli con ingegnose e nuove tecniche costruttive- come si vede nella cupola di Santa Maria del Fiore, uno dei simboli più eccelsi del Primo Rinascimento) e da Donatello, che, in pieno accordo e collaborazione con Brunelleschi, aveva abbandonato gli elaborati panneggi del Gotico e li aveva sostituiti con una robusta sintesi espressiva (come si vede nelle gigantesche statue della facciata del Duomo di Firenze e del suo campanile).
Masaccio, in piena cultura ancora di stampo medioevale, che basava la pittura su costosi sfondi in oro o sull’ancor più costoso azzurro “oltremarino” derivato dai lapislazzuli, aveva avuto il coraggio di esibire scene impostate con solenne monumentalità ed eseguite con la più disarmante semplicità e di farsi capostipite di un nuovo modo di dipingere, che apriva la strada a Michelangelo e che faceva uscire Firenze per prima, in Italia e in Europa, dalla tensione mistica medioevale (facendola entrare nell’umanesimo e, finalmente, non rendendo vane le premesse fondate un secolo prima da Dante e da Giotto).
Michelini ha due punti di contatto con Masaccio: le figure semplici, delineate con grafemi geniali di luce commovente e sobria e ammantate di solennità statuaria, e la posizione storicamente significativa della sua arte. Passato, come artista, attraverso l’influenza futurista e poi attraverso la bora possente dei vari movimenti culturali (e delle conseguenti contagiose correnti artistiche contemporanee), Ferdinando Michelini si pone come coraggiosa colonna dell’arte intramontabile-basata sulla bellezza. È perciò cardine di un’arte pittorica che raccoglie il meglio del vecchio e del nuovo e che è destinata a durare nel tempo e a passare ai posteri, con echi longevi e lusinghieri. La manzoniana epigrafe “ai posteri l’ardua sentenza” ben si sposa con l’arte micheliniana, che non deve temerla, al contrario delle mode passeggere senz’arte né parte, che nulla avranno da tramandare ai posteri, poiché il chiasso mediatico, indossato sulla più assoluta incapacità artistica e su una disperante-disperata mancanza di genialità e, pertanto, di grandezza, non avrà anima immortale da consegnare all’inclemente falce del tempo.
Michelini non ha nulla in comune con il manierismo e con la sua ricerca assillante e meticolosa del particolare, eppure richiama alla mente il Bronzino, l’allievo del Pontormo, e non per i colori smaltati e quasi metallici con cui Bronzino distanziò il suo stesso maestro, ma per la definizione rigorosa delle figure che Bronzino realizzò attraverso un nitido tratto di contorno: le figure micheliniane, infatti, sono circoscritte nella carezza luminosa di una linea sicura e precisa simile a uno spartiacque animato.
L’opera di Michelini, essendo priva di sfondi a largo respiro e di minuzie reiterate, non dovrebbe avere nulla in comune con l’arte rinascimentale, e, invece, non fa che accrescere la gloria degli effetti di luce e delle forme, tramite l’essenzialità toccante della struttura delle sue creazioni pittoriche, suggerendo, così, suggestioni-richiamo proprio in quella direzione.
La mestizia crepuscolare struggente di alcune atmosfere sfumate delle opere di Michelini, pur nella totale diversità stilistica globale, lancia richiami persino verso alcune dimensioni impressionistiche.
Anche quando è guidata da precise scritture religiose, la libera immaginazione, usata ampiamente da Michelini in tutte le sue opere, crea un qualche legame con il surrealismo, benché di esso non condivida in assoluto l’impegno ad esprimere l’istinto/l’inconscio/il mondo psichico. Non mancano nell’arte micheliniana neppure i legami con l’arte astratta intesa come musicalità cromatica avulsa da qualsiasi forma di imitazione.
Nella foresta non sempre edificante dei vari stili contemporanei, Michelini rappresenta un’ancora di continuità con i valori più eccelsi dell’arte. Le sue opere (che proclamano involontariamente classiche eccelse parentele, affermano una loro identità pregiata e imponente nel tempo presente, delineano un orizzonte futuro) sanno da dove vengono/ dove sono/ dove stanno andando. Guardando la sua mano al lavoro, si rimaneva incantati dal gesto fluido e senza ripensamenti con cui il miracolo della creazione pittorica avveniva; guardando le sue opere, oggi, si può facilmente evocare il miracoloso passaggio di quella mano geniale. Se, di fronte a certi personaggi che usurpano il nome di artisti (esponendo alberi e simboliche impiccagioni) qualcuno rimane indeciso tra l’indignazione e la riflessione e qualcuno si domanda apertamente se la mancata esibizione di opere non significhi l‘assoluta incapacità di dipingere, nel caso di Michelini, genialità, manualità, e ricchezza propositiva si sono sempre armonizzate con l’unicità e la grandezza dell’opera e dell’artista e, ora che l’artista è scomparso, la sua opera inonda il mondo di abbondanza e rende immortale il suo autore.
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Il maestro Michelini non è più, ma era (e, nelle sue opere ancora è e resterà per sempre) un artista a 360 gradi. Conoscerlo è stato un onore che ha arricchito il mio mondo culturale e umano. Ringrazio lui (in spirito e in arte) per aver reso questo mondo migliore con le sue opere e con la sua fede incrollabile. Ringrazio don Michele Longatti di essere la persona di cultura straordinaria che è e di avermelo fatto conoscere. Ringrazio Cesare Vergani (l’antonomasia del discepolo fedele) di essere stato il miglior figlio che il maestro Michelini (celibe/ sposato all’arte e a Dio) potesse desiderare e di aver saputo fare tesoro dell’onore di adottare in vecchiaia, insieme alla sua consorte, l’anziano genio, dandoci un prezioso e magnifico esempio di solidarietà umana e di amore. Ringrazio tutte le gallerie e le latitudini mondiali che hanno ospitato/ ospitano/ ospiteranno le opere del maestro Michelini. Ringrazio tutti coloro che hanno saputo/ sanno/ sapranno aprire la mente alle suggestioni poliedriche e nobilitanti provenienti dalle opere micheliniane (che siano architetture, mosaici, affreschi, dipinti o icone / che si trovino in gallerie, in musei, in piccole cappelle di campagna, in grandi chiese cittadine, in santuari-mete di pellegrinaggi, in scuole, in ospedali, in lebbrosari, in navi, in alberghi, in abitazioni private/ in Italia, in Asia, nel cuore del bush africano o in qualunque latitudine).
Note biografiche
Ferdinando Michelini è nato a Milano il 20 marzo del 1917. Ha frequentato l’Accademia “Brera” di MI e, in seguito, le Accademie di Belle Arti a Roma e a Parigi. La vita militare e poi la guerra hanno inflitto alla sua sfera vitale una ferita profonda e dolorosa: l’8 settembre del 1943 fu fatto prigioniero dai Tedeschi e deportato in Germania. Attraverso vari lager, approdò al campo di concentramento di Ravensburg, che non figurava neppure sulle mappe degli alleati. All’arrivo dei liberatori, Michelini era uno dei pochi superstiti di quel campo. Fu salvato dalla croce rossa svedese. Pesava 38 chili: ne aveva perso quasi 50. Quell’esperienza lasciò segni irreversibili nel suo corpo e nel suo spirito. La mente e lo spirito fervidi non si arresero mai. Al ritorno in Italia, egli ricominciò a studiare. Frequentò la facoltà di architettura al Politecnico di MI. Conseguì l’abilitazione all’insegnamento. Sempre e comunque fornì canneti vibranti al vento dell’arte, attraverso la pittura. Le sue opere vennero richieste in varie gallerie europee. Presto, il suo percorso artistico giunse al punto in cui la tela non poteva più contenere l’impeto del fiume-creatività, che dilagò con naturalezza e grazia nella pittura murale. Il sacro fuoco dell’arte non si lascia scegliere e decide da sé quali uomini eleggere a propria dimora: scelto da esso, Michelini non poté fare altro che seguirne i percorsi in un peregrinare imprevedibile, attraverso l’Italia, l’Europa, l’Africa, l’Asia e il Nord America. Raccogliendo l’eredità degli antichi pittori erranti, egli affrescò muri maestosi e/o modesti, progettò restauri eccellenti e nuove strutture ovunque, mai a scopo di lucro e sempre ricavando dalla sua opera lo stretto necessario per la sopravvivenza. Visse arricchimenti fantastici e indescrivibili disagi e privazioni che, per il suo organismo già segnato indelebilmente dalla guerra, furono insopportabili. Nel settembre del 1959 svenne e fu ricoverato nell’ospedale San Giuseppe dei Fatebenefratelli. Operando d’urgenza, i medici si dichiararono impotenti di fronte alla sua patologia intestinale. In fin di vita, Michelini invocò l’aiuto del medico Fatebenefratello Fra Riccardo Pampuri, morto nel ’39 in concetto di santità. Il miracolo, chiaro-inconfutabile-scientificamente accertato e riconosciuto dalla Chiesa nel processo di beatificazione di San Riccardo Pampuri, restituì Michelini alla vita e alla sua attività artistica. Quell’evento andò a sommarsi, nell’anima dell’artista, alle scintille divine che già la prigionia e il campo di concentramento vi avevano messo a dimora e fornì esca inestinguibile all’esplosione definitiva della religiosità di questo artista che mise la sua vita-dono al servizio del Prossimo evangelicamente inteso. Invitato, dalla Missione dei Fatebenefratelli, a progettare un grande ospedale ad Afagnan, in Togo, partì per l’Africa e vi si spostò in lungo e in largo. Ai bisogni di quella grande terra egli dedicò un ventennio della sua esistenza, progettando strutture per la cura dei corpi, dell’anima e della mente (ospedali, dispensari, chiese, scuole). La pittura fu lo specchio libero e meraviglioso, che documentò (per le dimensioni lontane nello spazio e nel tempo) l’incontro di Michelini con la cultura africana e con le sue genti. Quel periodo richiese a questo grande artista grandi sforzi creativi e fisici. Egli lavorava fino a sfinirsi alle opere locali e, in aggiunta, a quelle da inviare in Italia e da vendere, per ricavarne aiuti da distribuire in loco. Tutte le provviste che gli arrivavano egli le distribuiva ai poveri. Qualunque quantitativo di scatole di latte in polvere, di scatolame o di cibarie varie non era abbastanza. Egli non teneva per sé neppure l’indispensabile e deperiva oltre i limiti della prudenza. Il personale italiano delle varie organizzazioni, conoscendo la dimensione senza limiti della generosità altruistica di Michelini, lo cercava un paio di volte all’anno, lo prelevava letteralmente e lo nutriva per un paio di settimane, prima di restituirlo ai suoi luoghi di arte-missione.
Negli anni ’70, il patriarca di Gerusalemme, consapevole del talento pittorico e architettonico di questo poliedrico artista, ne richiese la presenza a Gerusalemme, per fargli eseguire importanti progetti edilizi religiosi nel vasto territorio della diocesi. Per alcuni anni, Michelini fece la spola tra Africa e Terra Santa, poi si arrese al richiamo sempre più esigente del Patriarcato Latino. Vi trascorse un paio di decenni illuminati, affrescando chiese e istituti religiosi, illustrando libri agiografici, messali e catechismi, progettando e costruendo chiese (v. chiesa di Jaffa-Nazaret). Anche il connubio tra questo artista e la terra del Signore, con tutte le sue genti e le loro vicende tormentate, lasciò tracce indelebili nella formazione umana e nell’opera pittorica. Tra le esperienze straordinarie della sua vita, Michelini, provò anche la grande emozione di essere nominato equitem a magna Cruce appartenente all’ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Egli si sentì onorato e grandemente confortato da questo riconoscimento, che divenne per lui un vademecum dolce come la più pregiata delle ricchezze ereditate. Non abbandonò mai la pittura e sempre fece in modo che nella sua Italia non mancassero esposizioni alterne delle sue opere in progress. Al termine della sua vita da pittore errante, rientrò in Italia e visse nella sua amata Milano. In una delle sue escursioni artistiche in Omate di Agrate Brianza, conobbe Cesare Vergani, allora adolescente, e ne divenne ‘il San Giuseppe’, come ebbe e dirmi lo stesso Vergani. Il ragazzo lo seguì a Milano e visse con lui come un discepolo e come un figlio. Degli anni passati con il suo maestro egli mi ha narrato l’incontenibile piena creativa micheliniana e i risvolti spesso bohémien della situazione economica sempre precaria, degli stenti e dei sacrifici necessari a procurarsi il materiale sine qua non per l’espressione artistica. Molta dell’opera pittorica micheliniana è stata portata via con un semplice “Mi piace, me la dai?” o pagata con un invito a cena, in quei tempi, ma la dignità di Michelini ha fatto sì che egli sapesse coniugare sempre soltanto il verbo dare e mai il verbo chiedere; quando, tra lui e Vergani, svuotando le tasche, non riuscivano a mettere insieme abbastanza da comprare della tela, il maestro dipingeva sui cartoni o, in casi eccezionali, sugli schizzi del discepolo che, essendo giovane, avrebbe avuto modo di procacciarsi tutto il tempo e tutta la tela necessari al suo estro creativo.
Da adulto, sposandosi, Casare Vergani si stabilì nella sua Omate, nel comune di Agrate Brianza, e lì Michelini cominciò a trascorrere periodi alterni, in una minuscola casa di ringhiera che Cesare Vergani comprò per lui. Il maestro Michelini adorava l’architettura antica e spartana di quella cascina e, attorno al 2003, vi si trasferì definitivamente. Il suo discepolo fu per Michelini un vero figlio e gli fu accanto in salute e in malattia; quando l’anziano artista si ruppe il femore, lo portò nella sua casa e se ne prese cura insieme a sua moglie. L’ultimo anno di vita del maestro Michelini, però, ha onorato il Fatebenefratelli di Sulbiate Comasco, il cui priore aveva chiesto il privilegio di ospitarlo. Aveva subito altra frattura e un paio di ictus, era malato e malandato, ma non ha mai smesso di creare questo artista senza pari: in quell’ultimo anno egli ha prodotto ben centocinquanta opere (che restano ai fatebenefratelli, dei quali, infine, Michelini era diventato confratello). Si è spento in Sulbiate Comasco, nel Fatebenefratelli, il 27 Ottobre 2008. Riposa nel cimitero di Omate, per suo espresso desiderio. A Cesare Vergani ha lasciato (con regolare testamento) una gran parte delle sue opere pittoriche (tra cui la mastodontica/ straordinaria Apocalisse) e io mi auguro che il comune di Agrate Biranza 1) sappia sentirsi onorato di ospitare le spoglie mortali del defunto Michelini, 2) voglia trovare giusta collocazione per le opere di questo artista genio che ha targhe celebrative in tutto il mondo (prima che prendano direzioni altre e sparpaglino come pula al vento la loro immensa valenza globale e poliedrica), 3) possa trasformare l’abitazione michliniana in un piccolo museo/ampolla fuori tempo/oasi-testimonianza di una vita da santo e da cultore dell’arte, della storia e della universalità della cultura.
Bruna Spagnuolo
…fine prima parte