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Oh dolci baci e languide carezze di Mino Guerrini (1969)
Isabella Rey e Luciano Salce
Isabella Rey e Luciano Salce 
21 Aprile 2009
 

Regia: Mino Guerrini. Soggetto: Elvy Bayardo e Marino Onorati. Sceneggiatura: Elvy Bayardo, Marino Onorati, Mino Guerrini e Luciano Salce. Fotografia: Carlo Carlini. Musiche: Peppino De Luca e Carlo Pes. Montaggio: Ornella Micheli. Produzione: Fulvio Lucisano per Italian International Film. Distribuzione: I.I.F. Interpreti: Luciano Salce, Isabella Rey, Rita Calderoni, Fiorenzo Fiorentini, Gioia Desideri, Daniela Goggi, Lino Banfi, Giuliana Rivera, Enzo Liberti, Luisa Di Gaetano, Gualtiero Isnenghi, Corrado Sonni, Tullio Altamura, Monica D’Ambrogio, Carmelo Speranza, Rita Guerrieri e Nicolas Ladenius.

 

Oh dolci baci e languide carezze può essere definito un matusa movie, ma anche un film sessantottino, costruito a difesa delle certezze borghesi contro la contestazione giovanilistica.

Luciano Salce è sceneggiatore e interprete principale, nei panni dell’ingegnere Carlo Valcini, che si lascia irretire e sfruttare da una spigliata Isabella Rey. Il film racconta la storia della sbandata per una ragazzina hippy che rovina un maturo borghese con moglie, figli e solida posizione. Salce sfoggia la sua mimica espressiva per dare vita alla maschera dell’innamorato che si fa sconvolgere la vita da una giovanissima. Non sono allo stesso livello le protagoniste femminili, soprattutto Isabella Rey, che viene da un film con tematica simile (ma più drammatico) come La bambolona (1968) di Franco Giraldi, interpretato da Ugo Tognazzi. Isabella Rey adesso è nota come filmmaker e musicista. Ricordiamo anche un non accreditato Lino Banfi che dà vita a un bel duetto comico in prigione insieme a Luciano Salce. Banfi è un galeotto omosessuale, che si definisce un battitore libero, ricorda quando aveva capelli lunghi e fluenti sule spalle e si esprime con un divertente accento pugliese. Non è ancora il Banfi della commedia sexy, ma sta crescendo.

Il film si fa portavoce di una morale borghese conservatrice, insolita per Salce, che comunque non è regista ma solo sceneggiatore e non ha grandi responsabilità. I giovani sono descritti come perdigiorno dediti all’amore libero e alla contestazione, fumano marijuana, non lavorano, ballano, tradiscono, si approfittano delle situazioni e non hanno veri ideali. La pellicola possiede un valore storico perché documenta la prima musica discoteca sotto forma di colonna sonora, realizza un ritratto della Roma a misura d’uomo di fine anni Sessanta e descrive una borghesia d’altri tempi che circola in Mini Minor. Guerrini si sforza di inserire elementi realistici nella trama, citando i fatti di Valle Giulia, mostra un ragazzo ferito dopo gli scontri con la polizia, fa parlare la radio e lascia intuire perché non dispone dei mezzi per rappresentare. Il regista mette due generazioni a confronto, con diverso slang, modi di vestire e atteggiamenti inconciliabili. Salce sprofonda nel ridicolo quando tenta di ringiovanirsi, taglia i baffi, getta giacca e cravatta, si veste da ragazzino e compra una moto da corsa. La comune di hippyes prolifera accanto alla sua fabbrica e l’ingegnere matusa la tollera nella speranza di finire a letto con la ragazzina. Sono interessanti alcune parti oniriche con Salce che sogna se stesso con un basco da rivoluzionario alle prese con le forze dell’ordine, ma anche mentre immagina di presentare la ragazza in famiglia. Il matusa è sempre fuori sintonia con i ragazzini che ballano il rock, fumano, praticano sesso in maniera spregiudicata e parlano una lingua ignota. Salce si adegua, impara che paccare sta per pomiciare e fa sfoggio di cultura giovanilistica con la figlia che ne rimane impressionata. Guerrini inserisce alcune cariche della polizia ma nei limiti della commedia, mostra le scalinate di Piazza Navona liberate dalla presenza di giovani innocui, fa comparire il pullmino Wolkswagen, tipica vettura da figli dei fiori. Non mancano le feste psichedeliche a base di alcol, ballo, sesso e marijuana, ma anche nudi femminili esibiti con sfrontatezza e pure nelle docce. A tratti si comincia a intuire un’atmosfera da commedia sexy, ma non siamo ancora nel genere. Il finale vede scattare la trappola che denuncia la morale borghese della pellicola. La ragazzina inguaia il matusa con un pacchetto di sigarette drogate, lo fa mettere in galera e condannare dopo un rapido giudizio. Lo scandalo travolge la famiglia borghese, mentre al processo i figli dei fiori vestono da bravi ragazzi e recitano la parte delle vittime. Isabella Rey sfoggia una mise da studentessa con grembiule, occhiali e lunghe trecce da ingenua prima della classe. Salce è un mostro violentatore di minori che finisce in prigione e può solo mormorare nel cellulare della polizia: “Mi hanno accusato di sacrilegio. Ho attentato alle virtù di una vacca, una vacca sacra”.

Non è un capolavoro, ma merita la visione.

 

Gordiano Lupi


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