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Con la straordinaria partecipazione di Giorgio Albertazzi “Il Vicario” di Rolf Hochhuth torna al Piccolo Eliseo Patroni Griffi di Roma
19 Aprile 2009
 

Dopo il grande successo della passata stagione, è in scena al “Piccolo Eliseo Patroni Griffi” fino al 19 aprile, Il Vicario di Rolf Hochhuth. A dare voce al testo sono cinque giovani attori che si sono conosciuti, lavorando con Antonio Latella: Matteo Caccia, Marco Foschi, Annibale Pavone, Enrico Roccaforte, Cinzia Spanò, Rosario Tedesco, quest’ultimo anche adattatore e regista.

Novità di questa edizione è che ogni sera una personalità del mondo della cultura, tra cui Giorgio Albertazzi, Andrea Satta, Giovanna Marini e Paola Turci, conclude la mise en espace, leggendo una lettera scritta da Rolf Hochhuth e attribuita, nella finzione teatrale, a una ragazza ebrea di Ostia.

La sera della prima Albertazzi, sempre ammaliante come la sua recitazione, ha letto la prima lettera. Il più grande attore del nostro Teatro si è impadronito del testo, l’ha fatto suo, creando con il pubblico un rapporto vitale.

Nulla sulla scena, già piena di riflessioni e concetti «non di un vecchio» come diceva Alberto Moravia «ma di un giovane che vede il teatro come una donna amata, bellissima, ritrosa e lontana, e la vuole conquistare».

Un Albertazzi, che è stato di recente un affascinante Conferenziere al “Ghione”, esaurito tutte le sere in ogni ordine di posti, nella trasposizione teatrale delle cinque conferenze che Italo Calvino scrisse nel 1985 per le “Charles Eliot Norton Poetry Lectures” della Harvard University, ha impreziosito, così, con la sua sola presenza questa prima de Il Vicario.

 

La pièce, che accusa Papa Pacelli di “silenzio” sull’Olocausto, venne rappresentata nel 1965 a Roma da Carlo Cecchi e Gian Maria Volonté e subito ritirata per evitare noie con la censura. Solo dopo 43 anni l’opera è tornata l’anno scorso nella capitale sul palcoscenico dello stesso “Piccolo” per appena tre repliche.

I personaggi del dramma si muovono sullo sfondo degli orrori della seconda guerra mondiale e delle deportazioni ebraiche: Kurt Gerstein, ufficiale delle SS che in segreto tenta di minare il regime nazista, Padre Riccardo Fontana, giovane sacerdote della Segreteria di Stato Vaticana, che si schiera a favore dei perseguitati, il Dottore, incarnazione del Male che ad Auschwitz conduce macabri esperimenti sui prigionieri, e soprattutto lui, il Vicario di Cristo, Papa Pio XII, il cui silenzio è il vero protagonista di questa storia, tra l’incapacità di comprenderlo ed i tentativi di indurre il Papa a condannare esplicitamente le deportazioni ebraiche.

Pubblicato e rappresentato in trentotto nazioni, in Germania Il Vicario ha venduto più di un milione di copie, mentre in Italia è un testo pressoché sconosciuto.

La rappresentazione di Cecchi e Volonté fu clandestina e la polemica, che ne scaturì, generò un dibattito violentissimo. Intervennero le forze dell’ordine, seguirono scomuniche, divieti e lo spettacolo fu interrotto.

Successivamente del testo si persero le tracce, perché la Feltrinelli non lo pubblicò più. Solo di recente la Wizartz, piccola casa editrice di Porto Sant’Elpidio, lo sta ripubblicando.

Rosario Tedesco ed i suoi attori affrontano con particolare bravura la lettura di queste pagine più significative, riprendendolo dalla messa in scena del 1965, perché parlare ancora di quest’argomento significa non solo guardare in faccia la nostra storia, ma anche partecipare alla costruzione del nostro futuro, per una costante affermazione della vita.

 

I due protagonisti, un soldato tedesco ed un prete italiano, di fronte alle atrocità del lager, scoprono tutta l’ipocrisia delle loro esistenze, la follia del mondo. Così intraprendono la missione di portare al Papa notizia dell’Olocausto.

In un comune percorso di spoliazione dalle loro divise, scoprono che è ancora possibile essere uomini, soltanto accettando le proprie responsabilità. Nonostante questa dolorosa acquisizione, la Chiesa rimase, tuttavia, muta davanti al sacrificio degli innocenti.

Del suo stile, fortemente etico e politico, Hochhuth è ancora oggi convinto a distanza di quasi mezzo secolo: «Lo riscriverei tale e quale, solo calcherei di più sulla figura del Papa. Allora non potevo sapere fino a che punto fosse antisemita... e che definì “deicidi” gli ebrei».

Documenti del ’46 ritrovati dallo storico francese Etienne Fouilloux hanno rivelato che non fu solo quello: Pio XII ordinò ai nunzi apostolici di non restituire, ai parenti sopravvissuti all’Olocausto che li avessero reclamati, i bambini nascosti negli oratori se già erano stati battezzati.

Gli interrogativi, i dubbi che il testo solleva sono atroci: perché il Papa, pur lodato da molti ebrei, non impugnò contro Hitler le armi spirituali? Per realpolitik o per viltà?

Le tesi del Vaticano sono, invece, quelle che durante l’occupazione nazista il clero cattolico, su indicazione di Pio XII, si attivò per salvare un gran numero di ebrei ricercati dai tedeschi e cita, inoltre, personalità ebree che si sono espresse pubblicamente in favore del Papa: da Einstein a Israel Zolli, gran rabbino di Roma, a Golda Meir, successivamente premier di Israele.

Va ricordato, però, il commento che fa l’ambasciatore di Hitler presso la Santa Sede, il signor von Weizsäcker, in un messaggio datato 28 ottobre 1943 al ministro per gli esteri a Berlino, dove si prende in considerazione il comunicato di tre giorni prima, fatto dal Papa. Weizsäcker informa in pratica che dal Vaticano tutto è a posto. Non ci dovrebbero essere ulteriori problemi. Il messaggio infatti viene definito sufficientemente criptico e di difficile collegamento con le deportazioni ebraiche. Inoltre si afferma che Pacelli non si è fatto convincere a prendere alcuna misura dimostrativa contro le deportazioni e che si è adoperato per non guastare i rapporti col governo tedesco.

Da notare inoltre che le date sono piuttosto agghiaccianti, come fa notare Hochhuth e di difficile modificazione anche qualora spuntassero ulteriori documenti segreti vaticani. La data del comunicato papale è infatti dell’ottobre del 1943. Si era già dopo l’otto settembre, quindi in piena liberazione dagli alleati. I forni dovevano però andare ancora a regime. Sarebbe successo solo più tardi, infatti, solo nell’estate del 1944 si sarebbe avuto il massimo picco di “lavoro” nei campi di sterminio. Roma viene liberata e il 6 giugno del 1944 l’Osservatore Romano scrive: «Il primo nostro pensiero sia un atto di pieno e devoto ringraziamento al Signore. Roma è salva».

Purtroppo, come predetto da Weizsäcker sempre nel suo messaggio del 28 ottobre di un anno prima, - dove asserisce che non ci si dovrebbe aspettare ulteriori azioni da Roma contro lo sterminio ebraico, la Santa Sede non emise nessun comunicato contro lo sterminio neppure dopo essere stata liberata, quindi senza rischio di ritorsione diretta sul Vaticano.

Fa inoltre impressione il generale Wolff, capo delle Ss in Italia portato da Giulio Andreotti a testimonianza, il tutto relativamente al processo di beatificazione di Pacelli ritentato in questi ultimi anni con il nostro senatore a vita come porta bandiera pro-papa. L'ufficiale nazista racconta che Hitler gli diede l'ordine addirittura di “distruggere il Vaticano” e poi di arrestare il Pontefice e deportarlo all'estero. Probabilmente nel piccolo Liechtenstein, granducato di neutralità e affari come appare in un articolo apparso su La Repubblica nel 23 agosto del 2001 contenente un’intervista proprio ad Andreotti sul tema. Andreotti fa sapere che però l'ordine di Hitler non fu eseguito per merito proprio del generale Wolff.

Viene da chiedersi come sia stato possibile per il generale avere tanta forza da non eseguire l’ordine ed essere sopravvissuto a tanto, scampando l’ira di Hitler e potendo addirittura arrivare a raccontarci la sua prodezza. Eppure, proprio in questa domanda sta la chiave di volta del problema. Paradossalmente, se accettassimo le affermazioni di Wolff saremmo costretti ad accettare anche quelle di Hochhuth, che aveva sempre sostenuto che il Papa sarebbe stato intoccabile in ogni caso, anche se avesse scomunicato i nazisti. Wolff infatti ha disobbedito proprio come aveva ipotizzato Hochhuth, secondo cui il trenta per cento degli ufficiali tedeschi era cattolico e se Pio XII avesse scomunicato il nazismo, molti di loro si sarebbero fermati.

Wolff non deporta il Papa, e si può dubitare che il Papa temesse il contrario. Quindi verrebbe a cadere la tesi per cui l’azione politica del Vaticano fu blanda a causa delle minacce naziste. Nessuno li avrebbe toccati. Wolff ne è la dimostrazione vivente. Questa era la tesi di Hochhuth e forse Andreotti nella spasmodica ricerca di una beatificazione a tutti i costi ha fatto uno scivolone piuttosto grossolano.

La scelta del Vaticano si rovescia, e si vede quindi che non era più giustificata da minacce - lo stesso Andreotti ci dimostra che erano inesistenti - ma fondata sulla scelta consapevole di appoggiare il nazismo contro un nemico ben più minaccioso: il bolscevismo.

Le parole di Hochhuth vengono offerte in questa mise en espace, quindi, per una condivisione che ha come scopo la riflessione. Una riflessione sulla posizione del Vaticano durante l’eccidio ebraico. Una riflessione sul silenzio. Una riflessione sulla necessità di compiere una scelta che ogni giorno l’uomo si trova a fronteggiare: silenzio o grido.

 

 

Teatro: Piccolo Eliseo Patroni Griffi

Città: Roma

Titolo: Il Vicario

Autore: Rolf Hochhuth

Adattamento e Regia: Rosario Tedesco

Personaggi e Interpreti:

Padre Riccardo Fontana – Marco Foschi

Kurt Gerstein, Obersturmfueher delle SS – Matteo Caccia

Il Dottore – Cinzia Spanò

Papa Pio XII – Annibale Pavone

Abate – Enrico Roccaforte

Salzer, capo della polizia tedesca a Roma – Rosario Tedesco

Coordinamento: Cinzia Spanò

Produzione: Teatro Stabile dell’Umbria

Periodo: fino al 19 aprile

 

Lucio De Angelis

(da Notizie radicali, 16 aprile 2009)


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