Io ricordo Chernobyl. Ricordo l'annuncio che fu dato dopo l'incidente.
Ricordo che non si doveva mangiare la verdura o lavorare nell'orto. Ricordo di aver guardato l'erba sotto i miei piedi, inorridita, incredula, spaventata: era diventata velenosa? La mia amica erba. I miei amici insetti fra i fili verdi. Ricordo un dolore sordo, una sorta di obnubilamento. Poi le immagini televisive, le inchieste, ciò che accadde dopo. Voi ne avete memoria? 600.000 persone furono reclutate come “liquidatori” di ciò che restava della centrale nucleare: contadini, soldati, minatori, operai, vigili del fuoco. Molti di essi spostarono pezzi di metallo radioattivo a mani nude. Dovettero spegnere 300 incendi sprigionatisi dall'inferno.
Abbatterono un'intera foresta, abbatterono centinaia di case, e poi seppellirono tutto, compresi i bulldozer che avevano usato. Dopo dieci anni, 13.000 di queste persone erano già morte di radiazioni e 70.000 erano divenute disabili. Dei restanti, successivamente il 20% non ha retto i cancri, gli aborti, i bimbi nati morti o malformati, e si è tolto la vita.
I sopravvissuti, ancora oggi, vengono chiamati i “morti viventi”. Brutto film, ne convengo. E allora fermiamo il regista prima del remake, per favore.
Maria G. Di Rienzo
(da Coi piedi per terra, 18 aprile 2009)