Era un uomo proiettile. Sua moglie non voleva che lo fosse. Ma lui insisteva.
Non sapeva fare altro. Non si sentiva di fare altro.
Sì, era consapevole che rischiava grosso ogni volta. Lo testimoniava il suo corpo. S’era rotto più d’una volta le braccia, le gambe, le costole.
Roba da pazzi.
Ma farsi catapultare da un cannone era stato il sogno che lo aveva preso fin da ragazzo, da quando aveva visto uno della famiglia Zacchini – famiglia di uomini e donne proiettili.
Emozione infinita.
Era corso a informarsi.
L’uomo proiettile indossa un costume attillato, di cuoio, casco e maschera d’amianto.
L’uomo proiettile va su fino a trenta metri. C’è chi sviene e si riprende poco prima di tornare giù, di finire nella rete. Tra gli applausi, i più calorosi.
Un numero costellato di morti. Dall’inizio. Muore, nel 1886, l’inventore del numero. Certo Alessandrini. E’ seduto sul cassone delle polveri quando esplode, chissà per quale motivo.
Dopo Alessandrini, la gente corre ad ammirare miss Zazel e miss Kent.
Belle e fragili. Così fragili da durare poco.
Nel 1930, il gesto eroico, il nonplusultra: Harvey Powers viene proiettato da un cannone posto su un aereo in volo. Atlantic City seguì l’impresa con il fiato sospeso e assistette a una morte assurda.
Powers non riuscì ad aprire il paracadute e precipitò in mare.
La famiglia Zacchini. Trenta persone nel 1948. Tutte con il chiodo fisso.
Edmondo, il capostipite, si spezza una gamba e diventa storpio. Troppo violenta la propulsione. Lo sostituisce Ugo, che non ha sorte migliore. Roberto e Silvana, sua sorella, si fanno sparare con un cannone a due posti. Muore, Roberto. E la donna finisce all’ospedale con commozione cerebrale: la rete su cui è finita ha ceduto di schianto.
Lui li aveva seguiti, gli Zacchini. Sapeva che erano italiani, ma non di dove.
Ogni componente della famiglia, appena maggiorenne, si faceva catapultare.
Paura della morte? Neanche un briciolo.
Aveva imparato da loro a non arrendersi.
La moglie insisteva perché smettesse.
Aveva messo insieme un po’ di soldi esibendosi in Italia e in Europa.
“Luigi, così non posso andare avanti”.
“Ancora un’esibizione, Giovanna”.
Volle farsi sparare a duecento chilometri l’ora.
C’erano almeno mille persone a guardarlo. Centinaia, i bambini.
Era un bel pomeriggio d’ottobre. Domenica.
S’era rilassato camminando lungo un viale di platani, ricoperto di foglie gialle. Si sentiva in forma.
Tutti i fari su di lui, poi sulla bocca del cannone.
Un momento di silenzio. Poi il rullo di tamburi. Poi lo sparo, colpo pieno che rintronò. E il fumo, che uscì veloce dal cannone. Una palla di fumo verso il cielo. Si disfece lentamente. Fu, però, questione di secondi.
La gente rimase a naso all’insù. Non capendo.
Un inserviente constatò che il cannone era vuoto.
“Lo spettacolo è finito”, disse una voce all’altoparlante.
Ci fu un applauso. Timido.
Si spensero i riflettori.
Una donna si rivolse al marito, che continuava a guardare verso l’alto. “Ma dov’è finito l’uomo proiettile?”.
“Forse era quella nuvola”.
“La nuvola?”
Più in là, una bambina dette di gomito al fratello: “Che dici, l’hanno sparato in paradiso?”.
Riccardo Cardellicchio