Continua il nostro racconto sul tema del Fantastico con la lettura dell’episodio di Daura e Arindal, tratto dai poemi di Ossian.
Ossian è il nome di un bardo leggendario dell'antica Scozia, figlio del guerriero Finn Mac Cumhaill e della poetessa Sadhbh. I primi cenni a Ossian si trovano negli scritti di Giraldo Cambrense, del XII secolo.
James Macpherson (1736-1796) fra il 1760 e il 1765 pubblicò varie raccolte di sue poesie, presentandole come traduzioni dei poemi di Ossian. Macpherson finse di aver tradotto le poesie di Ossian, mentre in realtà si basò su dei frammenti e inventò molti "canti". Il successo delle sue presunte traduzioni, fu straordinario e la presenza nei canti di una natura selvaggia e tormentata, ne fecero un'opera fondamentale del Preromanticismo.
Il successo dei poemi di Ossian fu immenso in tutta Europa, ma oggi sappiamo che si tratta di frammenti di canti appartenenti alla tradizione popolare, che Macpherson inserì in un’opera epica di sua creazione che ci riporta visioni di un medioevo celtico molto suggestivo.
L’opera, consistente in 80.000 versi circa, attraverso il racconto delle gesta di Finn e di un altro leggendario eroe irlandese, Cú Chulainn, ci riportano a un lontano passato pagano e influenzò molti autori contemporanei; Ugo Foscolo ne riportò alcuni spunti nei suoi Sepolcri e Johann Wolfang Goethe dedicò un ampio brano del suo romanzo I dolori del giovane Werther proprio a un canto di Ossian.
L’opera copre un periodo compreso fra l'XI e il XVIII secolo e ne restano tracce nei componimenti popolari irlandesi e scozzesi.
Fantastico appare il regno di Ossian, definito l’Omero del Nord, leggendario guerriero e bardo gaelico vissuto nel III sec. d. C..
Daura e Arindal, tratto dai poemi di Ossian, parla dell’amore di Armiro e Daura e dell’odio fra lo stesso Armiro, promesso sposo alla bella Daura dal padre di lei Armino, e il suo nemico Erath. L’inganno che Erath provocherà alla povera Daura porterà alla morte sia Arindal che la giovane sposa, che morirà di dolore per la perdita del fratello.
L'opera fu per la prima volta tradotta in italiano dallo scrittore Melchiorre Cesarotti nel 1763. La sua traduzione fu talmente apprezzata che influenzò scrittori come Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo, Ippolito Pindemonte, Vincenzo Monti e Giacomo Leopardi
L’opera è caratterizzata da ambientazioni epiche e oniriche e da descrizioni fantastiche:
“Oh sorgete, soffiate impetuosi,
venti d’autunno, su la negra vetta;
nembi, o nembi, affollatevi, crollate
l’annose querce; tu torrente, muggi
per la montagna, e tu passeggia, o Luna,
per torbid’ aere, e fuor tra nube e nube
mostra pallido raggio…”
…“O Daura , o figlia, eri tu bella, bella
come la luna sul colle di Fura,
bianca di neve e più che auretta dolce.
Forte, Arindallo, era il tuo arco, e l’asta
veloce in campo; era a vapor sull’onda
simil l’irato sguardo, e negra nube
parea lo scudo in procelloso nembo”.
Il rapporto uomo-natura è strettissimo quasi a diventare un tutt’uno. Si coglie l’identità tra la bellezza della donna e quella della bianca luna e la forza dell’ uomo appare quasi superiore a una nube tempestosa.
Poi l’atmosfera cambia totalmente, non più la bellezza e la magnificenza della natura, ma l’uomo perfido e cattivo che non perde tempo a trarre in inganno un suo simile:
“Cangiò sembianze e ci comparve innanzi
come un figlio dell’onda…
-O più vezzosa tra le donne-, ei disse
-bella figlia d’ Armin, di qua non lunge
sporge rupe nel mar, che sopra il dorso
porta arbuscel di rosseggianti frutta.
Ivi t’attende Armiro; ed io men venni
per condurgli il suo amor sul mare ondoso…”
Paesaggi nordici, cupi e tempestosi, apparizioni di spettri, un senso di malinconia desolata sono i temi presenti nel brano “La guerra contro Swaran e la morte di Morna”, tratto da Fingal (dai poemi di Ossian). I paesaggi sono tipicamente fantastici, le espressioni di amore e morte rivelano una situazione tragica e ci fanno immaginare una realtà non razionale. Espressioni quali: come i venti tempestosi della landa o come un raggio di sole prima della tempesta, comunicano le sensazioni e le emozioni dei protagonisti. Espressioni caratteristiche del fantastico, come fulmine di guerra, oscurità della battaglia, onde cupe, ci riportano a ipotizzare con più facilità le immagini descritte. Stretto è il rapporto della natura con il fantastico: la natura si trasforma, assume aspetti cupi, tetri, e le parole espresse nel testo, rendono efficacemente l’idea del soprannaturale, del paesaggio naturale cupo, desolato, arido e nebbioso.
“I canti di Ossian” sono un tipico esempio di letteratura fantastica e ad essi s’ispirò J. A.-D. Ingres (1780-1867), pittore francese per dipingere il quadro “Il sogno di Ossian”.
Nel dipinto si trovano tutti gli elementi caratteristici dell’epica classica: la cetra, gli scudi, le armature e le spade dei guerrieri. In primo piano è raffigurato Ossian addormentato sulla sua cetra. Sullo sfondo s’intravedono le figure dei guerrieri e di altri personaggi invocati dal bardo con il suono della sua cetra. Questi spiriti sono immersi in un paesaggio nordico, fantastico, desolato e nebbioso.
In sogno Ossian vede il figlio Oscar (raffigurato a destra con l’elmo e lo scudo), la vedova di questi, Malediva, (la figura statuaria a sinistra), l’immagine del padre Fingal, re di Morev, Starno re delle nevi (la grottesca figura al centro), le figlie che suonano l’arpa e una lunga fila di guerrieri della mitologia ossianica.
Il pittore ha voluto rappresentare la differenza tra il sogno e la realtà. Il mondo reale è esaltato da colori accesi, quali il rosso, il verde e il blu del cielo e delle vesti d’Ossian, mentre gli spiriti sono collocati in un ambiente indistinto: una luce abbagliante e irreale evidenzia l’effetto di sogno e di irrealtà.
Notevole fu l’influenza del poema sulla Musica romantica, e su Franz Schubert in particolare che compose Lieder ambientandoli sui poemi ossianici.
Alla grottesca e fantastica immagine di Fingal (leggendario eroe irlandese), s’ispirò il compositore tedesco J. L. F. Mendelssohn, (1809-47) per comporre l’ouverture “La grotta di Fingal” (grotta scavata dal mare nella costa meridionale dell’isola di Staffa-Ebridi).
I canti di Selma
ARMINO
Mesto son, né lieve
È la cagion di mia tristezza. Amico,
Tu non perdesti valoroso figlio,
Né figlia di beltà. Colgar, il prode
Tuo figlio è vivo, ed è pur viva Annira,
Vaga pulcella. Rigogliosi e verdi
Sono o Cramoro, di tua stirpe i rami;
Ma della schiatta sua l'ultimo è Armino.
Daura, oscuro è 'l tuo letto, o Daura, forte
È il sonno tuo dentro la tomba: e quando
Ti sveglierai con la tua amabil voce
A consolar l'addolorato spirto?
O sorgete, soffiate impetuosi
Venti d'autunno su la negra vetta;
Nembi o nembi affollatevi, crollate
L'annose quercie; tu torrente, muggi
Per la montagna, e tu passeggia, o Luna,
pel torbid'aere, e fuor tra nube e nube
Mostra pallido raggio, e rinnovella
Alla mia mente la memoria amara
Di quell'amara notte, in cui perdei
I miei figli diletti, in cui caddero
Il possente Arindal, l'amabil Daura.
O Daura, o figlia, eri tu bella, bella
Come la Luna sul colle di Fura,
Bianca di neve e più che auretta dolce
Forte, Arindallo, era il tuo arco, e l'asta
Veloce in campo; era a vapor sull'onda
Simil l'irato sguardo, e negra nube
Parea lo scudo in procelloso nembo.
Sen venne Armiro il bellicoso, e chiese
L'amor di Daura, né restò sospeso
Lungo tempo il suo voto, e degli amici
Bella e gioconda rifioria la speme.
Fremette Erasto, che il fratello ucciso
Aveagli Armiro, e meditò vendetta.
Cangiò sembianze, e ci comparve innanzi
Come un figlio dell'onda: era a vedersi
Bello il suo schifo; la sua chioma antica
Gli cadea su le spalle in bianca lista;
Avea grave il parlar, placido il ciglio.
O più vezzosa tra le donne, ei disse,
Bella figlia d'Armin, di qua non lunge
Sporge rupe nel mar, che sopra il dorso
Porta arbuscel di rosseggianti frutta.
Ivi t'attende Armiro; ed io men venni
Per condurgli il suo amor sul mare ondoso.
Credè Daura ed andò: chiama, non sente
Che il figlio della rupe: Armir, mia vita,
Amor mio, dove sei? perché mi struggi
Di tema il core? o d'Adanarto figlio,
Odi, Daura ti chiama. A queste voci,
Fugginne a terra il traditore Erasto
Con ghigno amaro. Essa la voce inalza,
Chiama il fratello, chiama il padre: Armino,
Padre, Arindallo, alcun non m'ode? alcuno
Non porge aita all'infelice Daura?
Passò il mar la sua voce; odela il figlio,
Scende dal colle frettoloso, e rozzo
In cacciatrici spoglie; appesi al fianco
Strepitavano i dardi, in mano l'arco,
E cinque cani ne seguian la traccia.
Trova Erasto sul lido, a lui s'avventa,
E l'annoda a una quercia; ei fende invano
L'aria di strida. Sovra il mar sul legno
Balza Arindallo, e vola a Daura. Armino
Giunse in quel punto furibondo, e l'arco
Scocca; fischia lo strale, e nel tuo core,
Figlio, Arindallo, nel tuo cor s'infigge.
Tu moristi infelice, e di tua morte
Ne fu cagion lo scellerato Erasto.
S'arresta a mezzo il remo; ei su lo scoglio
Cade rovescio, si dibatte, e spira.
Qual fu, Daura, il tuo duol, quando mirasti
Sparso a' tuoi piedi del fratello il sangue
Per la man dello sposo? il flutto incalza,
Spezzasi il legno; Armiro in mar si scaglia
Per salvar Daura, o per morir; ma un nembo
Spicca dal monte rovinoso, e sbalza
Sul mar; volvesi Armir, piomba, e non sorge.
Sola, dal mar su la percossa rupe
Senza soccorso stava Daura, ed io
Ne sentia le querele; alte e frequenti
Eran sue strida: l'infelice padre
Non potea darle aita. Io tutta notte
Stetti sul lido, e la scorgeva a un fioco
Raggio di Luna; tutta notte intesi
I suoi lamenti: strepitava il vento,
Cadea a scrosci la pioggia. In sul mattino
Infiochì la sua voce, e a poco a poco
S'andò spegnendo, come suol tra l'erbe
talor del monte la notturna auretta.
Alfin, già vinta da stanchezza e duolo,
Cadde spirando, e te, misero Armino,
Lasciò perduto: ahi tra le donne è spenta
La mia baldanza, e la mia possa in guerra.
Quando il settentrion l'onde solleva,
Quando sul monte la tempesta mugge,
Vado a seder sopra la spiaggia, e guardo
La fatal roccia: spaziar li miro
Mezzo nascosti tra le nubi, insieme
Dolce parlando una parola: o figli,
Pietà, figli, pietà; passan, né 'l padre
Degnan d'un guardo. Sì, Cramor, son mesto,
Né leve è la cagion del mio cordoglio.
Sì fatte usciano dei cantor le voci
Nei dì del canto, allor che il Re festoso
Porgeva orecchio all'armonia dell'arpa,
E udia le gesta degli antichi tempi.
Da tutti i colli v'accorreano i duci
Vaghi del canto, e n'avea plauso e lodi
Di Cona il buon cantor, primo tra mille;
Ma siede ora l'età sulla mia lingua,
E vien manco la lena. Odo talvolta
Gli spirti de' poeti, ed i soavi
Modi ne apprendo; ma vacilla e manca
Alla mente memoria. Ho già dappresso
La chiamata degli anni, ed io gl'intendo
L'un contro l'altro bisbigliar passando:
Perché canta costui? sarà fra poco
Nella picciola casa; e alcun non fia
Che col suo canto ne ravvivi il nome.
Scorrete, anni di tenebre, scorrete,
Che gioia non mi reca il corso vostro.
S'apra ad Ossian la tomba, or che gli manca
L'antica lena: già del canto i figli
Riposan tutti: mormorar s'ascolta
Sol la mia voce, come roco e lento
Mugghio di rupe, che dall'onde è cinta,
Quando il vento cessò: la marina erba
Colà susurra, ed il nocchier da lunge
Gli alberi addita, e la vicina terra.
L'opera contiene temi che esaltano la virtù guerriera e cavalleresca, il mito della bontà originaria dell'uomo, storie di amori appassionati ma fatalmente infelici, e descrizioni di paesaggi cupi e desolati. Le atmosfere sono infatti malinconiche e tempestose, spesso notturne e spettrali. La lettura è avvincente e trasporta facilmente in luoghi lontani che fanno sognare e creare
A cura di Anna Lanzetta
e degli studenti del biennio superiore ITIS “A. Meucci” di Firenze
Anno scolastico 2001-02
Immagine di copertina:
Jean Auguste Dominique Ingres (1780-1867), Il sogno di Ossian, 1813