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Fabiano Alborghetti trova Tommaso Soldini 
Cercando l'oro 28
05 Aprile 2009
 

Dalla Puglia e dalla Milano di Carla Saracino spostiamo a Nord, varchiamo il confine, entriamo in Svizzera per trovare il percorso straordinario e diritto di  Tommaso Soldini.

 

Ancora una volta e come anche accadrà nelle puntate a venire, lo spazio è per la sola voce dell’autore, autore a nudo e senza la mediazione della domanda, autore lanciato nel vuoto e che arriva a noi per mezzo di una autopresentazione, cui seguirà una scelta di testi e solo in ultimo una breve nota bio-bibliografia.

 

 

 

AUTOPRESENTAZIONE in forma di dialogo di Tommaso Soldini

 

Ho scritto un solo libro.

Molti autori potrebbero dire questa frase anche alla fine della loro carriera, anche dopo la pubblicazione, che so, di ventidue romanzi. Pochi l'anno fatto, perché non sempre è facile ammettere che la propria vena sia, in realtà, riducibile ad un solo tema, ad un solo ambiente concettuale.

Non sono migliore di questi, ho scritto un solo libro è una frase vera, o parzialmente vera, infatti quella corretta sarebbe: ho pubblicato un solo libro.

 

Ho sempre odiato quegli autori che hanno i famosi romanzi nel cassetto, forse insieme ai loro sogni, e li ho sempre odiati (o invidiati) soprattutto quando, una volta ottenuto il successo, estreaevano i dattiloscritti dal vano della scrivania e li transustanziavano in denaro sonante. Sfruttando la notorietà e la dabbenaggine dei lettori.**

Io ero uno di questi e più di una volta, in libreria, ho acquistato libri a dir poco mediocri solo perché di un determinato autore, li ho comperati acriticamente o, meglio, spinto da due pulsioni fondamentalmente: smania di conoscere lo scrittore, la sua opera; accidia: volevo conoscerlo in fretta, leggendo il più esile tra i suoi libri.

Ora penso di aver capito. I libri nel cassetto uno li ha perché non riesce a separarsene nonostante tutto. Non riesce a bruciare tutto ciò che non è accettato dal mondo dell'editoria, può amare anche ciò che ritiene non essere capito.

 

Il libro che ho pubblicato si chiama "Ribelle di nemico privo", che è un titolo, ma soprattutto l'ultimo verso di una mia poesia. In quel testo cerco di esprimere come mi sentivo, come ci si sente in un mondo che ti concede il privilegio delle infinite possibilità ma che forse, come contropartita, annienta le occasioni di formazione del gusto, disconosce quella che una volta si chiamava educazione sentimentale. Cameriere senza clienti/ infermiere senza pazienti/ ribelle di nemico privo. Dove l'assenza del nemico, dell'interlocutore che, pur se nemicale, diventa parte integrante della nostra identità, ha lasciato il campo, ha abbandonato il terreno di battaglia, lasciandoci soli. Forse pensavo al padre, forse a una donna, forse alle grandi ideologie politiche e religiose. Forse a tutte queste cose.

 

È un libro che ha coinciso con una fase travagliata della mia esistenza: e dal punto di vista sentimentale e da quello professionale, le cose per me non filavano che apparentemente su un binario lieto (corro giù per le rotaie/ fanculando strade e case). In realtà mi sentivo in procinto di un cambiamento devastante che tardava a mostrarsi (fuggiasco ramingo randagio/ un moto gaio invece del grigio). Quel grigiore credo fosse la spiegazione dell'attesa, del mio allungare i tempi morti: percepivo il futuro come grigio dunque lo rifiutavo costruendomi un falso mondo colorato che non era. Una sorta di gioco dei finti specchi che ne nascondono uno vero, a cui si arriva casualmente.

Ecco perché la figura retorica che dà struttura al libro è il chiasmo, ovvero quattro parti che si guardano, per superarsi.

 

 

 

Questa poesia l'ho scritta guardando un albergo della mia città, un albergo che da ormai più di trent'anni se ne sta lì, diroccato, avvilente ricordo dei tempi fastosi che furono. Gli unici abitanti sono dei piccioni, grigi e liberi, si infilano tra le persiane(imposte) e mi sembravano dire delle cose. Un'idea di precarietà, di smarrimento, un andare verso lo svanire:

 

 

Grand Palace Hotel (o verso marzo)

 

Stoviglie di case rotte

dal tempo imposte cercano

sistemi ancora utili

sloggiano piccioni

turbati dalla quiete

che i morti urbani senza,

riservano loro. Luce

solare passa dai fori,

raggiungimi adesso!

Al tocco di una campana

posso levare le dita unte

dal piatto del Grand Hotel.

 

 

*

Ribelle di nemico privo

 

Prometeo mi ha lasciato

verme, agli altri Frege e Rilke e Dante,

soave scolpir di sillabe e senso

io, Narciso senza specchio

resto, né arte né parte,

cameriere senza clienti

infermiere senza pazienti.

Ribelle di nemico privo.

 

 

*

A volte vorrei

 

A volte vorrei essere filosofo

dispiegare sapere,

divulgare a più non posso:

- la dialettica hegeliana intende

non c'è la differenza (uff,

distorto da storie sto) -.

Padrone mi vedo di un'essenza

mai più randagio semmai pubblica scienza.

Cammino ritto tra un podio e un partito

Influenza?

del fare deciso smagrita.

Toh, mi sveglio, gli occhi sprango,

vedo bianco e nero e cesso.

 

 

 

Inizialmente il libro doveva chiamarsi Bar Oasi, come il locale che frequentavo, ansioso, bramoso di un segnale.

 

 

Privato di pittura

 

Non girarti (che) ho paura

mi guardi dal (nel) vuoto

seduta e sfiori il collo

bianco tremo. So che non dovrei.

Mai più qui.

-------------------------

La solita strega entra (estrosa)

assorda sacchetti di spesa

e tu, soave mia strega,

se mi stani suono.

Lo sai io ti dipingo

e sei in posa,

stento a saper dove

indice e medio stringono

la sigaretta

(non so suonarla così).

Capelli folli, puri germogli

radici, tua terra è l'aria

e io, smarrito e mortale,

t'ho scovata e ne son privo.

 

 

*

Il giorno dopo

 

Falso d'autore bacio

sottratto in intrigo notturno,

che peso, che bacio!

Pochi minuti svampiti

pennuti, mi dico: «a casa»

- idée -.

In poco affrescata tela, di ragno;

un furtivo futile sbattere

di ali innamorate

di un'altra non resta.

Forse un gusto di colpa,

per piccini istanti svaniti,

dicono sonno.

 

 

*

Scusa

 

Soffro del fiore che non

fiorisce, soffro del vento

che non svanisce - e

per te - illusa d'amore,

solo vulva, fica.

Voglio volare ma sto.

 

 

*

La fine

 

La fine è uno

spasimo felice

che il rimorso rimuove

non rimuove che il rimorso.

 

Ecco: la fune di sempre,

il filo sparente strattona;

un luccio ne emerge a volte,

per altre vie viene per te.

 

 

*

Ancora una volta
non è bastato superare il morbillo,
il buon non senso e la paura
indifferenza, il solo moltitudine.
Lei fa toc toc e io lì ad aspettarla:
- Ciao, sorella azzurra - mi dice
- hai perso anche questo? T'avevo
detto chi piange torna spesso -.
Io mi siedo e prendo un caffè
appiccio una sigaretta - eh eh.
Non mi hai mai dimenticata? -
Le guardo gli occhi, azzurri lei
neri i miei, - mi ama! -
E io qui a pensare, a sbattermi
il capo per rinnovare la vigna,
la mia dama è andata
dal covo scacciata - insulso
rettile intellettuale stolto -.
La mia luce, tutto muore e
intorno a me, un solo - eh eh -.

 

 

Tommaso Soldini, nato a Lugano nel 1976, si è laureato in letteratura italiana a Friburgo.

Ha pubblicato Ribelle di nemico privo (Lugano, Alla chiara fonte, 2004) e suoi testi sono inclusi nell’antologia Di soglia in soglia – Venti nuovi poeti nella Svizzera italiana (Edizioni Le Ricerche, Losone e Biblioteca Cantonale di Lugano). Collabora con il musicista Mimmo Prisco creando spettacoli di musica-poesia.

E’ in lavorazione il libro per l’infanzia La vera storia della scarlattina (Cascio Editore) che verrà stampato in piombo a caratteri mobili, in 4 colori su progetto dell’artista Ursula Bucher.

Nel 2009 è inoltre confermata l’uscita del volume di racconti L’animale guida (Casagrande Editore)

 


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