«Nessuno potrebbe sostenere che la marijuana crei dipendenza come l'alcool o la cocaina». Così non qualche militante Radicale o un giovane di un centro sociale, ma il sito Internet dedicato all'informazione sugli stupefacenti della Brown University, uno dei più importanti atenei medici negli Usa.
Questa frase, che in Italia sarebbe subito censurata come frutto di ideologia antiproibizionista, se non addirittura oggetto di denuncia per istigazione al consumo, in realtà è un'ovvietà scientifica (oltre che empirica, come sa bene chiunque abbia avuto vent'anni). Di ricerche sull'argomento ce ne sono a bizzeffe, ma basterà menzionare lo U.S. Institute of Medicine: meno del 10% dei fumatori di cannabis diventano consumatori regolari, e la gran parte di questi ultimi smette volontariamente dopo i 34 anni di età. I sintomi osservabili di astinenza sono rari e di lieve entità, come irrequietezza, irritabilità, agitazione e interruzione del sonno. Al contrario, il 15% dei consumatori di alcool e il 34% dei fumatori di tabacco sviluppano dipendenza, con sintomi da astinenza spesso gravi.
E nessuno potrebbe -aggiungiamo noi- sostenere che si possa sviluppare dipendenza consumando una sola volta alcool o tabacco. Tutti noi reagiremmo con ilarità e dileggio di fronte a colui che, a proposito di pazienti alcolizzati, pronunciasse la frase: «È il primo bicchiere che ti frega». Sicuramente smetteremmo di prenderlo sul serio. Certo, sarebbe impossibile divenire alcolizzati senza aver mai consumato un bicchiere di sostanze alcoliche. Ma non e' certo il primo bicchiere che scatena la dipendenza, bensi' l'uso frequente e smoderato.
Ma in Italia la scienza è considerata una disciplina incerta, al contrario delle certezze dei politici. E così, il direttore di nomina giovanardiana del Dipartimento Nazionale Politiche Antidroga, Giovanni Serpelloni (foto), è andato ben oltre gli esempi appena menzionati parlando di una sostanza che ha un potenziale di dipendenza inferiore all'alcool e al tabacco: la cannabis. Ieri, il nostro ha solennemente affermato: «È il primo spinello che ti frega, non l'ultimo, come si sente dire tra tossicodipendenti». Serpelloni ha poi elaborato (si fa per dire): «Quando si accetta di fumare si innesca un processo che non si conosce dove andrà a finire, che annulla la tua volontà e incide sulla corteccia pre frontale del cervello, quella che controlla i comportamenti volontari, che ci fa discernere i comportamenti giusti da quelli sbagliati, che ci dà la consapevolezza di un problema». (vedi qui).
Et voila! Ecco perché i giovani italiani continuano a essere i più assidui consumatori di marijuana in Europa, nonostante gli sforzi dei Giovanardi e dei Serpelloni che da anni governano indisturbati il professionismo dell'antidroga. È grazie alle loro “minchiate”, senza dubbio sparate a fin di bene, che la loro credibilità e soprattutto quella delle istituzioni è ridotta a barzelletta. E così, mentre i giovani ridono a crepapelle –non perché hanno fumato uno spinello, bensì perché sanno apprezzare una buona minchiata– succede che anche i messaggi e gli avvertimenti fondati siano ignorati perché pronunciati da giullari, seppur vestiti da sottosegretari e da medici.
Pietro Yates Moretti, vicepresidente Aduc