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Tahar Ben Jelloun, Ospitalità francese.
Bookever edizioni, pp. 155 – Euro 12,00
Bookever edizioni, pp. 155 – Euro 12,00 
23 Marzo 2006
 
Nel 1998 viene dato alle stampe Ospitalità francese di Tahar Ben Jelloun che anticipa di 6 anni quello che sarà il problema delle banlieu, delle periferie parigine e poi francesi che – come documentato dall’ampia cronaca dei mesi passati – si è risolto in un violento conflitto e in devastazione. Ma tutto ciò da cosa ha avuto origine e sopratutto perché?
Tutto inizia lontano. Dice l’autore nella prefazione: l’ospitalità è un concetto nobile (…) e non avrebbe potuto avere incipit migliore. Da questa basilare e scontata osservazione, ecco come l’autore provvede a ritrarre il quadro di un razzismo quotidiano e la difficile convivenza tra culture diverse, quella Occidentale e tutto il rimanente. Ma cosa è esattamente tutto “il rimanente”? Ed ancora, ripetendo la domanda, perché ha avuto origine quella sostanziale frattura tra culture che ha portato a vedere la Francia come un paese messo a ferro e fuoco da persone poi dipinte come falange di estremisti, proto-terroristi e via citando?
Tutto ha origine esattamente dal concetto di ospitalità: secondo la cultura araba (l’autore è di origine marocchina e si è sempre interessato a problematiche di convivenza, non solo nei saggi ma anche negli apprezzatissimi libri a carattere narrativo), l’ospitalità è un concetto cosi nobile che è riuscito a resistere malgrado gli imperativi della vita moderna e dello sviluppo economico. È un comportamento ed ha senso solo se esente da ogni interesse o calcolo, se vi è una realtà del dono che in effetti sorprende il viaggiatore europeo per il quale l’ospitalità è un valore che la società sviluppata ha sottilmente eliminato. Premette ancora l’autore che tale eliminazione non è avvenuta perché “l’Occidente” sia divenuto più potente a livello economico o dominatore storico, ma perché la vita, lo sviluppo della vita, invisibilmente ha portato ad una frenesia di sviluppo con il tacito riconoscimento che “il tempo è denaro”. Il tempo per vivere si divide, si ritira in un freddo individualismo.
E quali sono i rapporti con l’ospitalità e l’immigrazione?
L’Italia, ad esempio, si è trasformata da paese d’emigrazione a paese d’immigrazione. Altre nazioni, per scelte politiche correlate al colonialismo (Francia, Inghilterra, Olanda) vedono come e più di noi la presenza di altre etnie, spesso relegate a mestieri che rappresentiamo come “il venditore di fazzoletti”, il “mendicante”, il “lavavetri” e via elencando. Questa presenza compatta e continua, gli arrivi, gli sbarchi dei clandestini in altri casi, alimentano ciò che un senso sempre più livellato e istituzionalizzato di xenofobia generano: il razzismo. Non è ancora un razzismo militante, non siamo ancora a emulare “la notte dei cristalli” che vide in Germania l’esplosione popolare (coadiuvata dal Partito, certamente) della rabbia che ha portato all’estrazione della popolazione di religione ebraica dalla terra creduta resa impura proprio dalla loro presenza. No, non siamo ancora arrivati questo., ma il consenso popolare sempre più allargato alle “leghe” che incitano la nazione a ripiegare su se stessa è un fenomeno preoccupante: sull’immigrato si focalizza un facile odio di consumo popolare e che per eccesso, può essere strumentalizzato. È indubbio che il nostro secolo vedrà muovere la situazione geopolitica sempre più dal Sud verso Nord. Il Sud avanza e fintanto che la giustizia non sarà al centro dei rapporti economici fra i popoli, l’immigrazione e lo squilibrio continueranno per transumanze, spostamenti di popoli e grandi migrazioni. Il razzismo non è la risposta, non lo è mai stato per nessuna cosa.
Tahar Ben Jelloun ci offre allora un ampia trattazione sulle diversità delle generazioni, su come nel tempo la mentalità occidentale sia cambiata, tanto quanto quella dell’emigrante che in occidente chiederà asilo per lavoro. Vi sarà spazio per analizzare cosa sono gli Stati Mercanti, come l’emigrante vive il mito del ritorno in terra natia e come il ritorno diverrà invece un peso quando – generando figli – questi ultimi adotteranno il paese ospitante come patria unica e riconoscibile, generando cosi confusione (in quanto ospiti sia del paese d’origine – essendo nati all’estero – che del paese ospitante – riconoscendo quest’ultimo la loro estraneità), il maturare di un razzismo tranquillo, popolare e radicatissimo quanto dannoso e per controparte l’indignazione che si fa selettiva, ancor più ignorante perché affermata per casistica. Si scaglia contro il vox-populismo dei media e dell’intellettualismo mobilitato perché l’argomento fa moda e viene allora affrontato snaturando la questione.
È un argomento scomodo, fastidioso, da non sollevare. Come dice proprio l’autore, chiudendo il libro, l’immigrazione non è abbastanza mobilitante (…) non ha lo stesso valore di quelle faccende in cui si resta con le mani pulite e col viso sereno dell’emozione convocata per la circostanza.
 
Tahar Ben Jelloun, Ospitalità francese, Bookever edizioni, pagg. 155, € 12,00
 
 
Tahar Ben Jelloun è nato a Fés in Marocco, nel 1944. Dal 1971 vive a Parigi. È giornalista ed autore di romanzi, racconti, poesia e drammi, ha ricevuto il premio Goncourt nel 1987; nel 1996 ha vinto il premio Flaiano.
In Italia ha pubblicato con Bompiani, Einaudi, Bookever ma sono innumerevoli le pubblicazioni con altre case e le traduzioni all’estero.
Per il profondo messaggio contenuto nel volume Il razzismo spiegato a mia figlia il 16 novembre 1998 gli è stato conferito dal Segretario delle Nazioni Unite – Kofi Annan – il “Global Toulerance Award”.
 

Fabiano Alborghetti


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