Perché il Parlamento “avrebbe” potuto fare una legge sul testamento biologico? Guardando le legislazioni straniere la risposta è univoca: estendere il diritto della persona capace di rifiutare o di accettare delle cure anche alle persone che si trovassero nello stato di incapacità di esprimere quel consenso. Disciplinare con una dichiarazione scritta anticipatamente come guida per il medico nel momento in cui il paziente non può esprimere le sue volontà, che oggi devono essere ricostruite (come nella vicenda di Eluana Englaro) oppure interpretate e delegate ad altri, familiari e amici. Nei Paesi che hanno prodotto leggi sul testamento biologico, infatti, tale condizione costituiva la base necessaria per predisporre una legge.
Altra è la risposta per cui è stata approvata dal Senato questa legge. Nessuno deve più morire di “fame e di sete” e nessuno deve essere più “ucciso con sentenze” della magistratura. Questi i due pilastri del testo Calabrò che, tradendo il senso delle parole, ha creato un istituto giuridico -le dichiarazioni anticipate di trattamento- per svuotarlo di significato e di valore anche giuridico, aprendo a nuove interpretazioni della stessa magistratura.
Le dichiarazioni dovranno essere fatte e sottoscritte insieme al medico, rinnovate ogni tre anni, indicando un fiduciario affinché vengano rispettate. Infine saranno raccolte dal ministero della Salute, ma non saranno vincolanti. Avranno, quindi, lo stesso valore di una cartolina postale, di un sms o di una telefonata. Il medico potrà rispettarle, oppure no.
Fino a questo punto potremmo essere solo amareggiati di aver usato male il tempo delle istituzioni, ma rassicurati in parte dall’inutilità dell’operazione.
Purtroppo la legge non si limita a questo. Nel primo comma anticipa la gravità della norma sancendo l’indisponibilità della propria vita da parte di se stessi: la vita diventa un obbligo di vivere e morire nelle condizioni decise dal Parlamento. Il diritto alla vita è diritto a vivere o dovere, obbligo di vivere? Si potrebbe addirittura arrivare a situazioni grottesche, con conseguenze disumane, in cui la vita sarebbe indisponibile per se stessi ma diventerebbe a disposizione del medico, obbligato per legge a curare anche contro i propri principi, la scienza e la propria coscienza.
Questo principio si traduce -articolo 3, comma 5- nell’obbligo di nutrire e idratare artificialmente un paziente nel momento in cui entra in stato vegetativo.
Come tutti i trattamenti medici, la nutrizione artificiale ha indicazioni, controindicazioni ed effetti indesiderati; prevede il consenso informato del malato o del suo delegato, secondo le norme del codice deontologico. Scrivere nella legge che questo trattamento medico è sostegno vitale e fisiologicamente finalizzato ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita, è un mostro scientifico e giuridico.
Viene perfino citata la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, creando un parallelo pericoloso tra soggetto disabile e soggetto incapace di intendere o di volere, e quindi di esprimere un consenso ad un trattamento.
«Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Così recita testualmente il secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione, scritto dopo avere visto gli effetti devastanti degli Stati totalitari sui corpi delle persone: i padri costituenti volevano impedire l’applicazione della medicina al servizio di uno Stato etico.
Oggi, con una legge che apparentemente si occupa di sanità, si stravolge il senso del rapporto tra la persona, il cittadino, l’individuo e lo Stato. Si passa da caratteristiche salienti dello Stato liberale, come l’inviolabilità dei diritti dell’uomo e l’autodeterminazione, ad imporre dettiamo tipici di uno Stato etico, che decide cure, vita e morte dei propri sudditi.
Chi ha sostenuto la necessità di una legge contro le sentenze della magistratura, che nel rispetto della Costituzione si rifacevano al principio dell’autodeterminazione della persona e al consenso informato, con questa legge otterrà l’effetto opposto. Una norma così scritta obbligherà i tribunali a interpretare divieti e obblighi imposti. Se i medici avessero avuto bisogno di una norma chiara per avere certezze su come muoversi, la risposta del Parlamento è stata opposta: cavilli e complicazioni.
In tre articoli diversi si ricordano l’esistenza del Codice Penale e i divieti su suicidio assistito ed eutanasia. Una sorta di ossessione, un mantra ripetuto per scacciare la possibilità che una persona decida da sola sul momento in cui morire.
Un medico con questa legge rischia di più se sospende una terapia nel rispetto della volontà del paziente o se la mantiene contro la sua volontà?
Aver negato che nutrizione e idratazione artificiale siano trattamenti sanitari, avrà conseguenza sulle persone capaci di esprimere il consenso? Potranno questi trattamenti essere ancora rifiutati?
Aver sancito l’indisponibilità della vita, quale conseguenza comporterà su pazienti coscienti che rifiutano cure vitali e che non hanno redatto la Dichiarazione anticipata dei trattamenti (dat)?
Forse dopo aver fondato il Popolo della Libertà verrà compreso il significato della parola libertà e dello Stato liberale, e forse si potranno abbassare luci e urla che hanno contraddistinto questa vicenda.
L’emotività, i sentimenti, il cuore, la passione… tutti sentimenti positivi purché non prevalga l’irrazionalità.
Denunciava Goya come “Il sonno della ragione produce mostri”. L’irrazionalità può sposare la fede, ma non può sposare la scienza e non può essere a fondamento di una legge di uno Stato laico.
Il Parlamento ha invece prodotto una legge mostruosa, scientificamente e giuridicamente.
La forza dei numeri non sempre è sinonimo di democrazia: negare diritti, cancellare libertà individuali a colpi di maggioranza parlamentare non è caratteristica dello Stato di diritto. Senza il quale non può esserci diritto alla vita.
Donatella Poretti