Si ipotizzi che in Francia, o in Regno Unito, in Germania o Spagna, o negli Stati Uniti, si debba procedere alla sostituzione e all’avvicendamento di direzioni ai vertici delle televisioni nazionali. Si avanzano candidature, si valutano i curriculum, si sceglie il responsabile più idoneo. L’idoneità sarà determinata dalle capacità professionali, e certamente – direbbe Totò siamo uomini di mondo – dalle amicizie e dai collegamenti che il candidato ha saputo consolidare. Difficilmente però in Francia o in Regno Unito, in Germania o Spagna o negli Stati Uniti, il possibile candidato deve fare i conti con le rispettive Conferenze episcopali, con monsignori e cardinali, con il Vaticano. E ove accadesse, quella Conferenza episcopale, quei monsignori e quei cardinali sarebbero rudemente rimessi al loro posto a occuparsi di anime e teologia, e non di direzioni e tubi catodici. Ovunque, meno che in Italia. Da giorni, infatti, tra l’indifferenza generale, come se sia “normale”, si assiste alle lamentazioni e alle bacchettate di cardinali: lamentano chissà quali aggressioni giornalistiche ai danni del pontefice subito dopo i suoi più che discutibili interventi africani; e poi un fiorir di notizie che informano che il candidato Tizio è gradito alla curia, mentre il candidato Caio è visto con diffidenza; al contrario del candidato Sempronio, in grado di esibire un curriculum tutto incenso, rassicura il Vaticano. Ma scherziamo?
Fatti loro, se gli interessati ci stanno a passare per “laici in gonnella”, per rubare la bella e calzante definizione di Gaetano Salvemini. Ma non c’è bisogno di scomodare Podrecca e Galantara, per capire (e dire) che c’è molto che non va. Non si mastica di teologia e sull’argomento non ci si azzarda più di tanto; però si può escludere con sufficiente sicurezza che tra i compiti pastorali dei monsignori vi sia quello di occuparsi delle direzioni televisive. Che lo facciano è semplicemente l’ennesima ingerenza, l’ennesimo intervento falloso; ma la frequenza di questi interventi non è una buona ragione per farci l’abitudine rassegnati, per accettarle a capo chino e inginocchiati.
Qui si arriva al cuore del problema. Queste arroganze, queste manifestazioni di prepotenza non sono state minimamente rintuzzate da chi doveva e poteva. Non si è letto su alcun giornale progressista una qualche reazione; le agenzie di stampa non hanno diffuso alcuna dichiarazione di laici che ricordino l’elementare dovere del Vaticano di obbedire al “comandamento” di lasciare che sia Cesare, a occuparsi delle cose di Cesare.
Sono queste “assenze”, queste indifferenze, silenzi e omissioni, evidentemente, che maggiormente devono inquietare e preoccupare. Dalle parti del PD ritengono “normale” apprendere che un giornalista con l’ambizione di fare il direttore si debba sottoporre (e superare) al vaglio di un esame vaticano? E per gli stessi giornalisti, è “normale” che sia il giudizio di monsignori e vescovi a “pesare”, come e più del loro curriculum; che a determinare se si sia o no idonei a ricoprire un incarico che non ha nulla a che fare con dogmi e questioni di fede, vi sia la frequenza alla messa domenicale, l’amicizia di un cardinale, la patente di affidabilità fornita dalla CEI, dall’Osservatore Romano o dall’Avvenire?
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 27 marzo 2009)