Il 18 Novembre 2007
Ei c’è! Qual soprammobile,
ritto sul predellino,
fece un discorso nobile
a un popolo asinino
e proclamò all’attonito
la propria libertà.
Lui folgorante in podio
vide il mio genio e rise,
quando nel picciol schermo
con la faccia rifatta,
col parrucchino esiguo,
promise qua e di là
che avrebbe la penisola
ridestata e sospinta,
mentre al presente pisola,
e la faccia dipinta
di lui si screpolava
qual cera che si sfa.
E al ciel puntando l’indice
proclamò che lui solo,
della Diccì egli vindice,
avrebbe i comunisti
distrutti fino all’ultimo
senza alcuna pietà.
E a chi, col ciglio tremulo,
chiese: “perché danzare
ancora su un cadavere?
Son solo quattro gatti,
in fondo folkloristici…
Abbine un po’ pietà.”
Silvio col suo terribile
sguardo, scotendo l’unto
parrucchino risibile,
disse: “finché io ci sono,
ci saranno anche loro!
Sennò come si fa?
Dov’è il nemico provvido
da sbattere sul grugno
al popolino stolido?
Anzi, una mano diamogli
perché ancora bocchéggino:
un Bertinotti e oplà!”
Ei si nomò: due secoli
d’immobile politica
sommessi a lui si volsero,
l’Italia bottegaia
in lui si riconobbe,
che ancor successo avrà.
E a governare un cumulo
di nani e di vallette
mise insieme, e nostalgici
rinverginati, e celtici
di verde mascherati,
che ridere si fa
il mondo intero; e ancora
ha da venir la comica
finale, quando i tacchi
portati ad astronomica
altezza, il Quirinale
ascendere vorrà.
Fu solo boria? Ai posteri-
ori, col buco in mezzo,
la fetida sentenza;
ma intanto, in questo trogolo
si farebbe anche senza
quel paraculo là.
Marco Cipollini