Nel corso degli anni il patrimonio faunistico è stato stravolto da un gran numero di attività antropiche, tra cui in maniera particolare quelle legate alla caccia. Complice il bracconaggio, queste ultime hanno causato l'estinzione più o meno localizzata di diverse specie di interesse venatorio e di altre percepite come scomodi competitori di specie cacciabili. Agli inizi del secolo scorso l'attività venatoria ha favorito l'estinzione di molti ungulati in gran parte del loro areale di distribuzione: tra questi lo stambecco, il camoscio d'Abruzzo, il cervo, il capriolo e il cinghiale. Tuttavia la caccia ha compromesso l'integrità dell'ambiente naturale anche in maniera più indiretta, attraverso ad esempio la promozione di ogni genere di immissioni faunistiche fin dall'antichità.
Sebbene i ripopolamenti e altri generi di immissioni praticati per "rinsanguare" le specie indigene e di interesse venatorio possano comportare in un primo momento un discutibile "aumento" della biodiversità locale, essi hanno determinato gravi episodi di inquinamento genetico, di competizione ecologica e di diffusione di malattie e parassiti. Le immissioni di specie originarie del nostro Paese effettuate con esemplari appartenenti a popolazioni non indigene, oltre a causare l'irrimediabile perdita di biodiversità a livello genetico, hanno interferito pesantemente anche sul loro adattamento locale. Il caso più emblematico è probabilmente quello del cinghiale dell'Italia centrale e meridionale. Un tempo questo animale era di dimensioni più modeste, meno fecondo e meno vorace di quanto lo sia oggi, ed il suo impatto sull'ambiente era proporzionalmente minore. La conservazione dell'integrità genetica del nostro cinghiale avrebbe forse limitato gli ingenti danni all'agricoltura e gli aspri conflitti di interesse che tanto complicano la gestione di questa specie, spiacevole conseguenza dei ripetuti incroci effettuati con esemplari originari dell'est europeo. Va ricordato che ogni anno ci sono Province che spendono centinaia di migliaia di euro in risarcimenti per i danni causati dai cinghiali alle produzioni agricole. Ma se è vero che la prolificità del cinghiale centro-europeo, immesso sul territorio sin dagli anni '60/'70 a fini di ripopolamento venatorio, è una delle principali fonti del problema, desta stupore che ancora da poco diverse amministrazioni pubbliche, ad esempio in Campania, Calabria, Molise, Basilicata, abbiano emanato bandi di gara per l'acquisto di cinghiali da immettere in natura.
Per questi motivi, con la collaborazione della Lega per l'Abolizione della Caccia, assieme al senatore Marco Perduca abbiamo depositato un Disegno di legge che si propone di vietare ogni immissione in natura per esemplari della specie Cinghiale e prevede adeguate sanzioni amministrative per i contravventori.
Donatella Poretti
Qui il disegno di legge