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Yoani Sánchez. Rifugio da hobbit
19 Marzo 2009
 

Dal blog Generación Y

18 marzo 2009

 

 

Agujero hobbit

Salí del preuniversitario en el campo sintiendo que nada me pertenecía, ni siquiera mi cuerpo. Vivir en albergues crea esa sensación de que toda tu vida, tus intimidades, tus objetos personales y hasta tu desnudez han pasado a ser bienes públicos. “Compartir” es palabra obligatoria y se llega a ver como normal el no poder estar –nunca– a solas. Después de años entre movilizaciones, campamentos agrícolas y una triste escuela en Alquízar, necesitaba una sobredosis de privacidad.

Había leído por primera vez los libros de J. R. R. Tolkien y la cálida casa de Bilbo Bolsón era mi ideal de refugio para esconderme. Añoraba un espacio donde poner mis libros, colgar mi ropa, decidir qué foto pegar en la pared y pintar una señal de “stop” en la puerta. Estaba agotada de bañarme en duchas sin cortinas, de comer en bandejas de aluminio e intercambiar los piojos y los hongos con mis colegas de alojamiento. El universo ilusorio de El Hobbit me ofrecía ese cálido y reservado hogar que la realidad no me había dejado disfrutar. Hacia ese ficticio agujero en un árbol, me escapaba cuando la promiscua convivencia llegaba a niveles insoportables.

El individuo vapuleado que llevo dentro comprendió en estos años que no sólo en los campamentos y las escuelas internas se irrespeta la intimidad de las personas. Mi Isla es, por momentos, como una secuencia de literas donde todos saben qué come el otro, con quién se reúne y de cuál manera piensa. La mirada torva de mi director del preuniversitario fue reemplazada por la vigilancia del CDR. Aquel me pedía que llevara el uniforme planchado y los zapatos lustrosos, éste espera que mantenga una determinada postura ideológica.

La impresión de ser un “bien público” o un “objeto de uso social” no ha desaparecido, pues con los años he confirmado que vivo en un enorme albergue controlado por el Estado. En él se escucha la campana llamando al comedor –trastocada ahora en el grito de una vecina, que anuncia un nuevo producto en el mercado racionado–. Sin embargo, ante esa convocatoria no salto inmediatamente de la cama, sino que me tomo mi tiempo para guardar algo bajo el colchón. Es un libro extraño y peligroso, donde un enano de pies afelpados fuma su pipa y disfruta de una cálida e íntima guarida en un árbol.

 

Yoani Sánchez

 

 

Rifugio da hobbit

Quando ho terminato il liceo in campagna mi sembrava di non possedere niente, neppure il mio corpo. Vivere in alberghi dà l’impressione che tutta la tua vita, la tua intimità, i tuoi oggetti personali e persino la tua nudità siano diventati beni pubblici. “Condividere” è la parola d’ordine, al punto che si arriva a ritenere normale il non poter stare mai da soli. Dopo anni passati tra mobilitazioni, accampamenti agricoli e una triste scuola ad Alquízar, necessitavo di una dose massiccia di privacy.

Avevo letto per la prima volta i libri di J. R. R. Tolkien e la casa accogliente di Bilbo Bolsón era diventata il mio nascondiglio ideale. Desideravo uno spazio dove sistemare i miei libri, appendere i miei vestiti, decidere quale foto attaccare alla parete e dipingere un avviso di “stop” alla porta. Ero stanca di fare il bagno in docce prive di tende, di mangiare in gavette di alluminio e di scambiare pidocchi e funghi con i miei colleghi di alloggio. L’universo illusorio dell’Hobbit mi offriva quella casa accogliente e riservata che la realtà non mi permetteva di sfruttare. Quando la promiscua convivenza toccava livelli di guardia, scappavo nel mio fittizio buco in un albero.

L’individuo maltrattato che porto dentro ha capito in questi anni che non si manca di rispetto all’intimità delle persone soltanto negli accampamenti e nelle scuole interne. La mia Isola è, per il momento, come una serie di cuccette dove tutti sanno cosa mangia il vicino, chi incontra e come pensa. Lo sguardo torvo del mio preside del liceo è stato rimpiazzato dalla vigilanza del CDR (Comitato di Difesa della Rivoluzione – ndt). Il primo pretendeva che portassi l’uniforme stirata e le scarpe lucidate, il secondo spera che mantenga una determinata posizione ideologica.

L’impressione di essere un “bene pubblico” o un “oggetto di uso sociale” non è scomparsa, perché con il passare degli anni ho compreso che vivo in un enorme albergo controllato dallo Stato. Qui si ascolta la campana che chiama a tavola, confusa al grido di una vicina che annuncia un nuovo prodotto sul mercato razionato. Tuttavia, di fronte a questa convocazione non salto subito giù dal letto, ma mi fermo a guardare qualcosa sotto il materasso. È un libro strano e pericoloso, nel quale un nano con i piedi felpati fuma la sua pipa e sfrutta un accogliente e intimo rifugio in un albero.

 

Traduzione di Gordiano Lupi


 
 
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