Gentile Ministro
delle Poste e Telecomunicazioni,
(non si allarmi per il “gentile”, è convenzionale), mi dicono che il problema sia di sua competenza, e perciò mi permetto di disturbarla. Pur non essendo in possesso di telefono cellulare, sento l'obbligo di informarla che tali attrezzi, di qualsiasi marca e con qualsiasi status contrattuale, nelle mani degli italiani non funzionano.
Ho le prove di quanto affermo, stia a sentire: il mese scorso, a Cosenza, un uomo sequestra una donna alla stazione degli autobus, davanti a decine di persone. La donna chiede aiuto, grida, resiste. Nessuno muove un dito o dice una parola. È vero, signor Ministro, la vittima dell'aggressione era rumena, mi rendo conto che questo è un deterrente all'intervento della società civile, per non parlare delle ronde di probi cittadini. Ed è legittimo avere paura o essere sotto shock di fronte ad un atto di violenza.
Ma è assolutamente impossibile che nessuno abbia digitato i numeri 1-1-3 sul cellulare che aveva in tasca o in borsetta. Per cui, devono averlo fatto, e l'attrezzo non ha funzionato. Un vero peccato, non crede? La giovane donna è stata violentata per dieci giorni dal rapitore, che infine l'ha ricondotta alla stazione degli autobus dove è stata presa in carico da un secondo stupratore per ulteriori cinque giorni di abusi. Anche in questo caso, nessuno è intervenuto. Ma, ripeto, sicuramente hanno provato ad allertare la polizia tramite i loro dannati e inutili telefonini.
Come in gennaio, a Pordenone, dove un invalido civile al 100% viene pestato in una pubblica piazza da tre farabutti perché omosessuale, in mezzo a una folla che i media hanno giudicato indifferente: non era vero signor Ministro, noi italiani siamo brava gente, ci teniamo alla sicurezza e all'ordine pubblico, e comunque la nostra umanità non ci permetterebbe di voltare la testa dall'altra parte: è solo che i cellulari non ci funzionano, mannaggia.
Maria G. Di Rienzo
(da Notizie minime della nonviolenza in cammino, 18 marzo 2009)